18 giu 2016

SIAMO TUTTI METICCI

PERDITA DELLA MEMORIA STORICA

In tanti secoli di storia, siciliana e italiana, parecchie sono state le popolazioni che hanno invaso questo lembo a Sud dell’Europa. Non voglio fare la loro storia ma vado a modo di esempi. Roma furono i discendenti di Enea che si mischiarono con gli indigeni del luogo; in Sicilia si sono alternate sedici popolazioni diverse, lasciando ognuna una propria ricchezza peculiare. La cultura che oggi abbiamo, lo vogliamo accettare o no, è un misto di lasciti e di presenze di popolazioni straniere, tanto da far dire a Tito Livio nelle Decadi, parlando di Roma e della sua grandezza, che essa divenne grande da quando aprì le porte della città ai fuggiaschi e ai viandanti. Viviamo in un mondo anche antropologicamente globalizzato. Nelle vene di ognuno di noi, senza paura di essere smentiti, scorre sangue straniero. I nostri cognomi, come parecchi nomi del nostro linguaggio, delle nostre vie e città, per la maggior parte, fanno riferimento o hanno una radice che si rifà a termini usati dai nostri dominatori. Parecchie colture e culture provengono da essi, come molte invenzioni tecnico-scientifiche. Anche dal punto di vista delle religioni, c’è un travaso di usanze e credenze che si sono trasformate in forme magiche e superstiziose, spesso unico punto di riferimento della povera gente. Possiamo affermare, dunque, che siamo tutti meticci. E questo non è un luogo comune. La purezza non esiste se non metafisicamente e solo in Dio è perfetta. Il termine, che proviene dal latino mixticius, derivato di mixtus, participio passato di miscere «mescolare», indica comunemente chi ha sangue misto poiché nato da genitori di due popolazioni antropologicamente differenti Ma in senso più lato ogni uomo che nasce è il frutto di due diversità cromosomiche e si mescola naturalmente con altri esseri, in un mondo diverso da quello di appartenenza; è dalla famiglia (essa stessa lo è) che si è meticci; i gruppi, le comunità sono formate da incroci. Perché avere paura, allora, dello straniero se la nostra identità è intrinsecamente frutto di una mescolanza? Da dove viene il rifiuto che abbiamo nei confronti degli immigrati che ormai a flotte si presentano sul nostro territorio? Perché tanti fondamentalismi a difesa di un uomo che non è mai identico a se stesso se non nelle dichiarazioni di principio? Una sola mi sembra la risposta da dare: siamo smemorati e non abbiamo il ricordo storico di comprendere chi siamo, da dove veniamo, come noi stessi siamo stati un popolo di migranti. Soprattutto non abbiamo la consapevolezza che l’uomo è in un continuo divenire, umano e spirituale; tutto ci riporta a questa tensione dell’essere migliori e diversi: è il bisogno dell’infinito.

La conoscenza, l’arte, l’ascesi, tutto è elevato a una sublimazione della nostra entità. L’incarnazione di Dio stesso è definita come “uscita esodiale” nella storia della creazione per assumere una natura diversa dalla Sua. Il percorso da fare, prima che politico, è culturale. In questo ci aiutano anche le diverse religioni, singolarmente e in dialogo tra loro. Comprendere noi stessi significa accettare l’altro con il suopatrimonio storico e, in questa osmosi, concepire ontologicamente la provenienza dalla radice comune che è antropologica. L’adattamento in questo mondo alle diversità non compete solo alle specie create ma appartiene a quella umana con una prerogativa in più che dovrebbe essere dell’intelligenza, spesso volutamente non impiegata a dovere.

(Di Salvatore Agueci - da http://www.larisaccamensiletrapanese.it)

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