22 nov 2017

Un bagno nelle sorgenti siciliane d'acqua dolce



Dalla provincia di Messina a quella di Siracusa: ecco i luoghi da visitare per scoprire gli scorci d'acqua dolce più belli e suggestivi della Sicilia, premiati da Tripadvisor


Se lo stretto legame tra la Sicilia e l'acqua salata è assodato e se pensando all'Isola l'associazione con il mare è immediata, un po' meno immediata è l'idea che tra un salto a San Vito e un bagno alla Riserva dello Zingaro ci si possa fare il bagno anche in alcunipreziosi scorci d'acqua dolce.






















Sì, perché la Sicilia è fatta anche di specchi d'acqua dolce che diventano sempre più luoghi d'attrazione e punti di riferimento tanto per i siciliani che per i turisti. Un notevole incremento di visitatori è stato registrato, negli ultimi anni, alle Gole dell'Alcantara, parco fluviale che si snoda su una superficie di circa 1928 ettari. Il costo d'ingresso per gli adulti è di 3 euro, ma sono previste diverse riduzioni.


Altrettanto gettonate sono le Gole di Tiberio, un canyon naturale incastrato nelle Madonie. Alle Gole si accede gratuitamente e prenotando sull'apposito sito: è possibile navigare sul fiume, fare diverse escursioni ammirando le specie animali presenti e, naturamente, è possibile fare il bagno.


Altro posto dove passare una piacevole giornata è senza dubbio la Cascata delle Due Rocche a Corleone: lo scenario è spettacolare ed è possibile bagnarsi, cercando di stare sempre molto attenti.


Altrettanto bello è il Lago Maulazzo: un invaso artificiale di circa 5 ettari vicino Cesarò, nei cui dintorni si trova anche un'area attrezzata. Non ci sono costi d'ingresso e per arrivare (e fare il bagno) basta seguire il sentiero e godersi la bellezza della faggeta che lo circonda.


Uno dei luoghi più gettonati degli ultimi anni è la Riserva Naturale di Valle dell'Anapo (Sortino) l'ingresso è gratuito e all'interno della riserva è possibile fare il bagno sia nel fiume che nei vari laghetti che negli anni si sono formati grazie all'azione di quest'ultimo. A proposito di laghetti, è impossibile non citare la Riserva Naturale di Cavagrande del Cassibile (Avola), dove uno dietro l'altro si trovano laghi di piccole dimensioni, tutti incontaminati.


A Pantelleria, infine, i trova il Lago Specchio di Venere: alimentato dalle piogge e dalle sorgenti termali al suo interno, che raggiungono temperature intorno ai 40°/50°, il lago è un cratere naturale di un antico vulcano.

Non resta dunque che pianificare un'escursione per un giorno di vacanza diverso. 

(da www.balarm.it)

20 nov 2017

I SITI UNESCO IN SICILIA


AREA ARCHEOLOGICA DI AGRIGENTO


L’arte, la storia e la natura hanno reso questo posto famoso dall’antichità ai giorni nostri come testimoniato dagli scrittori classici Pindaro, Polibio, Diodoro Siculo e altri, dagli storiografi del 16th e 17th secolo e artisti e viaggiatori del 18th e 19th secolo che hanno lasciato dietro di loro tesi e immagini memorabili. Basta pensare a Houel, Saint-Non, Denon, Swinbume, Brydone e su tutti Gothe, che nel suo Italienische Reise (Viaggio in Italia) dedica la maggior parte delle sue pagine alle bellezze naturali e artistiche di Agrigento. 


LA VILLA DEL CASALE, PIAZZA ARMERINA 


La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina è unica. Altre strutture che rispecchiano così dettagliatamente non solo l’antico stile di vita ma anche un complesso sistema economico che costituisce un momento di unione tra differenti culture nel bacino del Mediterraneo (quella Nord-africana e quella Romana) semplicemente non esistono in nessun altra parte del mondo.


LE ISOLE EOLIE


I peculiari aspetti vulcanici delle Isole Eolie rappresentano in maniera esemplare l’oggetto degli studi della vulcanologia mondiale. Grazie alle ricerche avviate nel XVIII secolo, le isole hanno consentito l’approfondimento dei due tipi di eruzione (vulcaniana e stromboliana) e la trattazione dei temi più importanti della vulcanologia e geologia moderne contribuendo alla formazione di una classe di scienziati in oltre 200 annidi ricerche. Le Isole Eolie continuano ancora oggi ad essere un ricco terreno di studi e continui processi che ancora stanno mutando l’aspetto del paesaggio e la composizione geologica dell’arcipelago.


LE CITTA' BAROCCHE DELLA VAL DI NOTO 


Per il periodo Barocco in Europa, non esistono fenomeni urbani e architettonici di comparabile interesse. Le 8 città nominate nel sud-est siciliano furono tutte ricostruite nel 1693 sopra o vicino alle città esistenti al tempo del terremoto di quell’anno.


Queste rappresentano un notevole impegno collettivo, condotto con successo ad un alto livello di realizzazione architettonica e artistica, compresa nello stile tardo barocco dell’epoca ma con innovazioni distintive nella urbanistica ed edilizia urbana. Le otto città sono: Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa, Scicli, Caltagirone  e Militello in Val di Catania.


SIRACUSA E LE NECROPOLI RUPESTRI DI PANTALICA 


Sostituendo la precedente cultura preistorica che è aveva il suo centro a Pantalica, la cultura della civiltà greca che si insediò e si sviluppò a Siracusa ha rappresentato il centro del Mediteranneo per un significativo arco di tempo della storia dell’umanità. Questo fu predominante sui rivali Cartaginesi e Ateniesi e crebbe fino a diventare il cuore del pensiero, dell’arte e della cultura.


La storia ha lasciato anche straordinari segni del suo passaggio nella pianificazione urbana delle città e nelle sovrapposizioni architettoniche dei secoli successivi, che sono stati sviluppati sul modello della città greca e conserva straordinarie tracce dell’esistenza e integrazione di diverse culture della più significativa era del mondo occidentale. Questa stratificazione culturale fa di Siracusa un patrimonio unico.


IL MONTE ETNA


L'etna è un imponente vulcano che contraddistingue che si innalza sull’isola della Sicilia. La diversità e la complessità del paesaggio intorno al vulcano, la colorata giustapposizione dei substrati vulcanici, la vegetazione boschiva e non boschiva si combinano sopra la vista della Sicilia e del Mar Mediterraneo. [criterio di bellezza naturale ed importanza estetica]. Il Monte Etna è uno dei vulcani più attivi ed icona tra gli stessi, eccezionale esempio di processi geologici evolutivi e di formazione di piattaforme vulcaniche. Il vulcano è caratterizzato da attività eruttive continue dai suoi crateri sommitali e abbastanza frequenti emissioni di fiumi di lava dai crateri laterali. Questa eccezionale attività vulcanica è stata documentata da almeno 2700 anni. Le diverse e accessibili caratteristiche vulcaniche come i crateri sommitali, i coni vulcanici inattivi, i fiumi di lava, le grotte di lava e la depressione della Valle del Bove hanno fatto del Monte Etna una destinazione primaria per ricerche e istruzione. Oggi il Monte Etna è uno dei più studiati e monitorati vulcani al mondo, e continua ad influenzare la vulcanologia, geofisica ed altre discipline della scienze della terra.

PERCORSO ARABO-NORMANNO DI PALERMO, MONREALE E CEFALU'



Situato nella costa Settendrionale della Sicilia, Il percorso Arabo Normanno di Palermo include una serie di 9 strutture civili e religiose, la Cattedrale della città, il Ponte e le Cattedrali di Cefalù e Monreale. 


L’insieme delle costruzioni rappresentano un esempio di un sincretismo socio-culturale tra la cultura occidentale, quella islamica e quella bizantina che in questa terra diedero vita a nuove forme di spazi, strutture e decorazioni. Rappresentano inoltre la testimonianza di come differenti culture e religioni coesistettero per secoli in Sicilia dando vita a nuove forme di arte.


Le strutture Patrimonio Unesco sono: il Palazzo dei Normanni e la Cappella Palatina, la Zisa, La Cattedrale di Palermo, La Cattedrale di Monreale e la Cattedrale di Cefalù, la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, la Chiesa di Santa aria dell’Ammiraglio, la Chiesa di San Cataldo e il Ponte dell’Ammiraglio.

(da www.visitsicily.travel)

I Castelli più belli della Sicilia

IL CASTELLO DI CACCAMO


Il primo cancello, risalente al Quattrocento, conduce all’ingresso del complesso, con a sinistra un imponente costruzione, l’ala Prades. Qui erano organizzate le scuderie del castello, mentre all’esterno sono ancora presenti le feritoie o calditoie in cui venivano versate olio bollente o scagliate frecce contro i nemici. Sulla roccia si trova un bassorilievo che esorta in latino, la benevolenza di chi esercita la giustizia. Si giunge al secondo cancello, realizzato nel ‘600 in ferro battuto che dà l’accesso ad un cortile, detto della Cavalerizza. Da qui si giunge alla grande cisterna e ad un ambiente di ridotte dimensioni, usato in passato quale ossario. Proprio sopra tali ambienti si trova la sala delle udienze dei Prades, trasformata nell’Ottocento in teatro. Le carceri invece hanno tutt’altra atmosfera: basse, scure e umide riportano ancora i disegni e le scritte dei detenuti in attesa di giudizio. La stanza più grande poteva ospitare sei detenuti mentre la più piccola era costituita da un vano piccolissimo in cui il prigioniero poteva a stento a muoversi. E’ presenta inoltre una stanza delle torture.

All’interno si giunge da un portone in legno, sovrastata da una scritta in onore della famiglia Amato. Si arriva al Salone delle armi, o Sala delle congiure, un tempo riccamente abbellita con tappeti e arazzi, oggi abbastanza semplice, ma grande nelle dimensioni: è la stanza più ampia dell’intero complesso, con due bei balconi da cui si godono belle viste sul panorama circostante. Nella parte ovest si trova la stanza del camino e una stanza da letto, con pavimento in maiolica, rifatto secondo l’originale. Si giunge quindi all’ampio terrazzo che domina l’intero paesaggio, da cui si ci rende conto come tale luogo era strategicamente ideale per il dominio della zona. Diversi indizi fanno presupporre che qui venivano giustiziati gli avversari politici e i personaggi più rilevanti. Nel versante est del complesso, si trova la stanza da pranzo, con pavimento in mosaico e tracce di affresco sulle pareti, oltre ad un bel terrazzo esterno. In questa parte dell’edificio si trovava anche la cappella per gli ospiti. Dalla terrazza si giunge ad altre camere, nella parte superiore dell’edificio, interamente ricostruiti.

Cenni storici
Le prime notizie documentate si hanno nel 1093, ma la zona fu certamente abitata anche in periodi antichi. Il frequente utilizzo di termini di derivazione araba nel dialetto locale, rappresenta più di una prova che qui la dominazione d’oriente aveva messo radici profonde. La struttura del castello nacque probabilmente come semplice torre di avvistamento, alla quale venne aggiunta una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Fu intorno al XII secolo che il castello di Caccamo assunse le dimensioni odierne: vennero alzate possenti mura e ampliata la struttura, che diventò una fortezza di primaria importanza. Fu durante il regno dei Chiaramonte, nel Trecento, che il castello vide la costruzione della parte sud-est e il consolidamento del sistema difensivo, al quale vennero aggiunte nuove torri. Furono molte le dinastie che si succedettero al regno della città e alla dimora del castello: dai Chiaramonte agli Amato, passando per gli Henriquez-Cabrera, il castello subì sempre nuove modifiche e aggiunte. Dopo il periodo degli Amato (XVII secolo) però i lavori di restauro e manutenzione furono sempre minori fino ad un totale degrado della struttura. Nella seconda metà del Novecento, il castello di Caccamo fu acquistato dalla Regione Siciliana che provvide al restauro del maniero e di alcuni dipinti e affreschi presenti all’interno del castello.

Il sistema difensivo
Il castello e la cittadella erano dotati di un sistema difensivo che prevedeva un primo complesso, costituito da spesse mura e da quattro torri per fronteggiare un eventuale attacco: la Torre della Piazza, distrutta nel XVII secolo; la Torre delle Campane, oggi divenuta Torre campanaria del Duomo di Caccamo; la Torre di Byrsarone, collegata al castello da un passaggio segreto; infine la Torre che oggi funge da torre campanaria della chiesa di Santa Annunziata. Una seconda fila di mura costituiva la cinta difensiva interna, dalle quali spiccavano tre torri: la Torre Maestra, la più grande, ma andata distrutta nel 1823 a causa di un terremoto; la Torre Gibellina; e la Torre della Fossa. Il castello non fu mai espugnato.


IL CASTELLO DI CARINI


L’affascinante complesso del Castello di Carini si deve alla volontà di Rodolfo Bonello, fedele condottiere del Conte Ruggero che alla fine del XI secolo decise di realizzare una imponente costruzione difensiva nel sito in cui precedentemente sorgeva un avamposto arabo. Nel 1283 il Castello diviene proprietà della famiglia Abate, che ne fa una un’elegante dimora residenziale. A queste opere seguirono massicci cambiamenti durante la prima parte della reggenza della dinastia La Grua-Talamanca, progettati dai migliori architetti siciliani dell’epoca. Le imponenti mura della parte frontale, aperte da un ingresso ad arco, risalgono all’XI secolo: entrati all’intero si apre un ampio cortile su cui prospetta la facciata interna, in passato intonacata. Al pian terreno si susseguono quattro portali, tutti sormontati da diversi stemmi, come l’emblema araldico della gru, uccello simbolo della famiglia La Grua, o le zolle di terra a simboleggiare la dinastia dei Chiaramonte. 

All’interno un grande salone, una volta aperto all’esterno tramite tre finestre e con colonna centrale, e nella parte est del complesso un lavatoio ed una cappella affrescata, in cui è presente una statua marmorea della Madonna di Trapani. Tramite uno scalone, si giunge al piano superiore, dove un portale in marmo reca un scritta, riferita ai lavori di ristrutturazione del Quattrocento. Qui si trova il Salone delle feste, in cui spicca lo stemma dei La Grua nel soffitto, in parte originale dell’epoca, con una scritta latina e una figura leonina, a simboleggiare la dinastia dei Lanza. Tramite diverse scale si giunge alle cucine e ai piani superiori ed infine alla torre del Castello, dove grazie a un balconcino di recente fattura si può ammirare il paesaggio tutto intorno la città di Carini.

La storia di Carini
La città di Carini fu conosciuta nell’antichità con il nome di Hyccara, dinamico centro marittimo già durante il periodo fenicio. Venne distrutta da truppe ateniesi giunte in Sicilia a supporto di Segesta e Selinunte nel 415 a.C. e riedificata per scopi difensivi lontana dal mare. Carini ritorna a splendere durante il periodo arabo, grazie alla grande maestria dei conquistatori nella coltivazione dei fertili campi. Dopo la conquista normanna, la baronia di Carini venne affidata a Rodolfo Bonello, al quale si deve la costruzione del castello-fortezza di Carini. Dal 1397 al XIX secolo l’intero feudo fu di proprietà della dinastia La Grua-Talamanca, formatasi grazie al matrimonio combinato tra Ilaria e Gilberto. L’intero periodo medievale fu un periodo di relativo benessere per la popolazione di Carini, grazie anche all’influenza positiva derivante dalla vicinanza con Palermo. La città di Carini si distinse inoltre per essere stato centro di fermento durante tutto il Risorgimento, e testa di ponte delle truppe garibaldine prima della conquista di Palermo.

L'amaro caso della Baronessa di Carini
Classica opera della letteratura popolare siciliana, ballata tramandata da generazioni in generazioni con canzoni e cantastorie, l’Amaro caso della Baronessa di Carini è stato rivisto come sceneggiato televisivo nel 1975. La storia, avvolta tutt’oggi in un alone di mistero, narra dell’amore tra Laura Lanza di Trabia, figlia del Conte di Mussomeli, Cesare Trabia, e un giovane nobile del luogo, Ludovico Vernagallo. La giovane donna spinta al matrimonio dal padre a soli 14 anni con il Conte di Carini, si innamora del giovane Ludovico: scoperti in fragranza di adulterio, i due vennero uccisi dal padre e dal marito, entrambi feriti nell’orgoglio. La stanza dell’accaduto doveva trovarsi nella parte ovest del castello, andata completamente distrutta: si narra che la giovane lasciò una sua traccia insanguinata sulla parete, ma non mancano altre dicerie sul fantasma della baronessa, ancora vagante all’interno del Castello di Carini.


IL CASTELLO DI DONNAFUGATA


L’ingresso al Castello di Donnafugata avviene tramite due cortili interni, che si concludono con un’ampia scala che conduce al piano superiore. Sono diverse e ben ricostruite le stanze, con sedie, lampadari e tappezzeria originale dell’epoca. La Sala delle donne, la Sala per i fumatori, la Sala della Musica, la Sala degli Specchi, la Sala del biliardo erano un tempo il luogo dove si consumavano importante vicende della nobiltà siciliana Il percorso si conclude con l’ampio Salone degli Stemmi, in cui tutte le pareti sono ornate con 734 stemmi nobiliari delle famiglie del Regno delle Due Sicilie. All’esterno, il grande giardino vanta enormi ficus secolari e piante esotiche. Nascosto, si trova l’attrazione più curiosa e avvincente del Castello di Donnafugata: il labirinto, costruito nella caratteristica pietra bianca, con numerosi vicoli e viottoli che non consentono di trovare facilmente la strada d’uscita.

La storia
Il nome Donnalucata deriva dall’ arabo Aian as iafaiat, fonte della salute: nella zona erano presenti sorgenti di acqua salutare. La denominazione subì notevoli, fino a essere la definitiva Donnafugata. Questo luogo, di eccezionale valore strategico, fu prontamente fortificato dagli arabi, che ne issarono una torre. Ma fu soltanto nel XIV che il complesso assunse le sembianze proprie di un moderno castello. Ma no fu abbastanza: la dinastia degli Arezzo lo cambiò notevolmente durante l’Ottocento, conferendogli le dimensioni che sono oggi ammirabili: posto in un parco di oltre 2500 ettari, il Castello di Donnafugata fu dotato di ben 122 stanze, oggi solo in parte aperte al pubblico.

La leggenda

Alla morte del Re di Sicilia Martino I nel 1410, sua moglie Bianca di Navarra divenne reggente e regina di Sicilia. Il Conte di Ragusa, Bernardo Cabrera, invaghito dal fascino della nuova regina e dalla possibilità di divenire Re, chiese la mano alla Regina. La donna, fedele al marito, rifiutò senza indugi la proposta del Conte. Bernando decise allora di punire la Regina per l’affronto subito, rinchiudendola in una stanza del castello di Donnafugata. Venuti a conoscenza della scomparsa della Regina, i suoi fedeli sudditi riuscirono a liberarla e a catturare il Conte Cabrera. Secondo alcuni, il nome Donnafugata deriverebbe proprio da questo episodio romanzesco.



IL CASTELLO DELLA ZISA 



La Zisa, edificio del XII secolo, risale al periodo della dominazione normanna in Sicilia. La sua costruzione fu iniziata sotto il regno di Guglielmo I e portata a compimento sotto quello di Guglielmo II. La Zisa delle origini era una residenza estiva creata nelle vicinanze della città per il riposo e lo svago del sovrano. I Normanni, subentrati agli Arabi nella dominazione dell'Isola, furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori. I sovrani vollero residenze ricche e fastose come quelle degli emiri ed organizzarono la vita di corte su modello di quella araba, adottandone anche il cerimoniale ed i costumi. Fu così che la Zisa, come tutte le altre residenze reali, venne realizzata alla maniera "araba " da maestranze di estrazione musulmana, guardando a modelli dell'edilizia palazziale dell'Africa settentrionale e dell'Egitto, a conferma dei forti legami che la Sicilia continuò ad avere, in quel periodo, con il mondo culturale islamico del bacino del Mediterraneo.

Al Aziz (lo splendido, il nobile)
Il nome Zisa deriva probabilmente da al-Aziz (che in lingua araba significa nobile, glorioso, magnifico). Il vocabolo (in caratteri nashi), rinvenuto nella fascia epigrafica del vestibolo dell'edificio, denota la caratteristica d'uso islamico di contraddistinguere con un appellativo gli edifici civili più importanti. La costruzione venne commissionata dal re normanno Guglielmo I ad architetti arabi di cui apprezzava lo stile ed il gusto e nasce come "casa di villeggiatura" nella quale sovrane, dilettandosi nell' attività della caco la, poteva riprendersi dalle preoccupazioni del regno. La dimora era immersa nel verde e Invitava ali ozio con lo sciabordio delle acque che dalla sala della fontana scorrevano alla peschiera e poi st riversavano nel parco, favorendo li rigoglio dei palmizi e delle piante, alcune delle quali emanavano un intenso profumo. La sala della fontana, con le sue decorazioni simboliche richiamava il sovrano a quelle che erano le sue responsabilità, ricordandogli che il suo potere discendeva direttamente da Dio e non doveva perciò essere trascurato.

Le vicissitudini del Castello sono state varie e non sempre felici e la sua costituzione architettonica ha risentito del trascorrere dei secoli e dello stato di abbandono in cui è stato. Nel 1951 divenne demanio regionale ma per essere preso in considerazione Al Àziz ha dovuto lanciare un ulteriore "grido di dolore" con il crollo di un'ala nel 1971; solo cosi si è dato il via al restauro. Il lifting non è ancora completalo, ma noi del quartiere speriamo vivamente che esso ritorni ad essere "il paradiso terrestre che si apre allo sguardo". 

Il parco del Genoardo
La Zisa delle origini si trovava inserita nel grande parco reale di caccia del Genoard (paradiso della terra), che si estendeva ad occidente della città. Tutti gli edifici reali ricadenti in esso (oltre alla Zisa, il palazzo dell'Uscibene ed i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana) erano circondati da splendidi giardini, irrigati ed abbelliti da fontane e grandi vasche, utilizzate anche come peschiere.

Le trasformazioni nei secoli
La Zisa delle origini subì nei secoli numerose trasformazioni. Nel Trecento, tra le altre modifiche apportate, fu realizzata una merlatura, distruggendo parte dell'iscrizione in lingua araba (a caratteri cufici) che faceva da coronamento all'edificio. Radicali furono le trasformazioni seicentesche intervenute quando il palazzo, in pessime condizioni, venne rilevato da Don Giovanni di Sandoval, a cui risale lo stemma marmoreo con i due leoni, oggi posto sopra il fornice di ingresso. Per le mutate esigenze residenziali dei nuovi propri etari furono modificati alcuni ambienti interni, soprattutto all'ultima elevazione, furono realizzati nuovi vani sul tetto a terrazza, fu costruito un grande scalone e vennero modificate le finestre sui prospetti esterni. Nel 1808, con la morte dell'ultimo Sandoval, la Zisa passò ai Notarbartolo, principi di Sciara, che la utilizzarono per usi residenziali fino agli anni '50, quando la Regione Siciliana la espropriò. Il restauro della fine degli anni '70 ed '80 ha restituito la Zisa alla pubblica fruizione. Nella parte dell'ala Nord crollata nel 1971 si è proceduto alla ricostruzione delle volumetrie originarie, adoperando, per una piena riconoscibilità dell'intervento, cemento e mattoni in cotto, materiali differenti dalla originaria pietra arenaria.

L'esposizione
Nelle sale sono esposti alcuni significativi manufatti di matrice artistica islamica provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo. Tra questi sono di particolare rilevanza le eleganti musciarabia (dall'arabo masrabiyya), paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di loro a formare, come merletti, disegni e motivi ornamentali raffinati e leggeri) e gli utensili di uso comune o talvolta di arredo (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati prevalentemente in ottone con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine sottili) in oro e argento.

Le origini del quartiere
In origine, il territorio del quartiere faceva parte del "Parco normanno", luogo di caccia e di villeggiatura dei sovrani e si estendeva da fuori le mura fino a sotto i colli. L'aria salubre, la ricchezza di acque (quelle del torrente Gabriele), la rigogliosa vegetazione e lo stupendo Castello che lo caratterizzava dandogli il nome, ne avevano fatto un luogo rinomato da salvaguardare. Per questo motivo, quando Palermo cominciò ad estendersi fuori le mura, la Zisa resta ancora "zona verde" (campagna). La prima delibera comunale che la cita è quella del 1860 che la definisce "territorio suburbano n. 2" unitamente all'Uditore. Solo nella delibera comunale del 1889, che da un nuovo assetto alla città di Palermo il nostro quartiere appare come "Sezione urbana n, 6" della città. Da allora, è stato un continuo espandersi e popolarsi, talvolta con uno sviluppo edilizio poco razionale, di questo quartiere che, a ridosso del vecchio centro storico, è stato delimitato dalla nuova circonvallazione che ne costituisce il confine, Iato monte, e lo separa dagli altri quartieri, cui in origine era unito.



Oggi, amministrativamente, il quartiere fa parte (insieme con i quartieri di Noce, Uditore, Passo di Rigano e Borgo Nuovo) della quinta circoscrizione del Comune di Palermo. Vi possiamo distinguere tre diverse realtà urbanistiche: Zisa Olivuzza, dal palazzo di Giustizia fino a Piazza Principe di Camporeale, Zisa Ingastone, dal Corso Alberto Amedeo (subito fuori le mura) fino a Piazza Zisa (ai piedi del Castello), Zisa Quattro Camere, dalle spalle del Castello della Zisa fino ai Viale della Regione siciliana, anche se tale distinzione non ha nessun supporto formale. Dal punto di vista sociologico-culturale, rappresenta ancora oggi un punto di unione tra antico e moderno, tra vecchia e nuova Palermo, tra la civiltà dei venditori ambulanti che chiamano i clienti per nome e quella dei grandi discount massificanti.


IL CASTELLO DI ADRANO


La Costruzione del Castello di Adrano si deve ai Normanni, che dopo aver scacciato gli Arabi decisero di porre una poderosa costruzione a difesa dello strategico sito, entrando a far parte di un più ampio progetto di militarizzazione della Sicilia. Durante la dominazione normanna, il centro, rinominato in Adernò, conobbe un prolungato periodo di prosperità, dove Arabi, Normanni e gente del luogo riuscirono a convivere e rendere l’odierna Adrano un centro fiorente. Nel Trecento, Adrano passò in mano alla famiglia Sclafani, che adibì il castello in propria dimora, edificando all’interno anche una cappella di famiglia. Oggi Adrano si presenta con sembianze moderne, all’interno del quale si trovano luoghi di sicuro interesse storico che lo rendono uno dei centri più importanti posto alle falde dell’Etna.

L’opera di edificazione del castello avvenne sotto il Gran Conte Ruggero, alla fine dell’XI secolo. La costruzione militare venne stranamente posta in una posizione che, a differenza degli altri bastioni, non si trova nella parte più alta della città. Questo probabilmente a causa di una sorgente d’acqua che vi scorreva vicino. Oggi si presenta imperioso e perfettamente mantenuto al centro della piazza principale di Adrano, con la struttura allungata a parallelepipedo, rafforzato da una cinta muraria, con torri ai lati costruita in epoca successiva. Durante il periodo normanno doveva presentarsi protetto da una cinta muraria esterna, all’interno della quale trovano collocazione le stalle, magazzini e abitazioni per i servi. All’interno del Castello è stato organizzato già dal 1958 il Museo Archeologico di Adrano, comprendente cospicui materiali che ripercorrono tutte le tappe storiche della città, dalla preistoria fino al periodo medievale. Non mancano inoltre, resti di altri siti archeologici di Sicilia.

Piano terra
Il piano terra espone in due sale distinte materiali risalente all’epoca preistorica: nella prima stanza, utensili, armi primitive e piccoli contenitori, proveniente da siti di scavo differenti. Nella seconda invece, sono presenti numerosi corredi funerari rinvenuti nelle grotte che si trovano nei dintorni di Adrano: la difficoltà a scavare il terreno a causa della durezza della pietra lavica, ha favorito l’utilizzo delle grotte naturali quale posto dove collocare i defunti.

I Piano
Il primo piano conserva all’interno della prima stanza reperti risalenti al VII-V secolo a.C. Nella seconda invece materiale provenienti da necropoli, quali corredi e vasi in cui venivano poste le ceneri dei defunti. Tra di essi si trovano materiali probabilmente proveniente dal nord-africa, oltre ad un elmo di battaglia in bronzo. Nell’ultima sala invece, materiale proveniente da diverse zone della Sicilia orientale, tra cui un busto femminile.

II Piano
Al secondo e ultimo piano del Museo archeologico si trovano numerosi materiali, soprattutto vasellame e statuette risalente al periodo della fondazione di Adranon. Nella sala successiva invece, materiale romano,bizantino e medievale testimonia l’importanza che Adrano ha ricoperto in passato.


IL CASTELLO DI NARO


Intatto e potente, il castello di Naro è una delle più belle costruzioni militari presenti in Sicilia. Posizionato nella parte più elevata della città, la sua struttura originaria si fa risalire al periodo arabo. I Normanni lo riformularono nella sua totalità dopo averlo sottratto ai musulmani mentre diverse aggiunte furono operate da Federico III d’Aragona, come la torre a pianta quadrata sulla parte est. La costruzione odierna è il frutto dei rifacimenti voluti da Matteo Chiaramonte durante il periodo feudale. All’interno dell’alta cinta muraria che corre per 166 metri, la parte centrale è occupata dal vasto cortile dove si trovavano le stalle, la cappella ed il pozzo. Al suo interno sono diversi gli ambienti che fanno ritornare con la mente all’epoca che fu. Tra i più belli da annotare il Salone del Principe, situato nella torre aragonese ed illuminato da due finestre di chiare fattezze gotiche. Il castello si trova in splendide condizioni grazie al recente restauro. Dal 1912 è monumento di interesse nazionale.


IL CASTELLO DI SPERLINGA


Sperlinga è una piccola e graziosa città dell’entroterra siciliano. Situata tra i Monti Nebrodi e le Madonie, distante circa 50 km da Enna, Sperlinga è una delle località siciliane che meriterebbero più attenzione da parte dei visitatori: antico borgo d’origine medievale si contraddistingue per il suo castello interamente scavato nella roccia, così come alcune costruzioni civili. Il nome della cittadina, derivante dal greco Spelonca (grotta), si deve proprio all’ attitudine della popolazione del luogo a ricavare le proprie dimore direttamente dalla pietra nuda.

Il castello, edificato in epoca remota da popolazioni autoctone, è uno degli esempi più esaltanti di architettura rupestre nel panorama nazionale ed internazionale. Un tempo fortezza inespugnabile, dotata di ponte levatoio, mantiene intatto tutto il suo fascino: all’interno del complesso si possono ancora visitare le scuderie, le prigioni e gli ambienti dedicati ai numerosi fabbri del possedimento, oltre ad una serie di luoghi di culto. In cima al castello si giunge grazie ad una angusta ma suggestiva scala composta da 80 scalini, anch’essa scavata nella roccia. Nella spianata trovavano posto le armi militari utilizzate per respingere gli assalti al castello (oltre delle cisterne usate per convogliare le acque piovane). Da qui si gode un eccezionale colpo d’occhio sul verde ancora intatto di questo scorcio di Sicilia.

Le grotte di Sperlinga


Le Grotte di Sperlinga o Borgo Rupestre è una zona della città caratterizzata da numerose abitazioni rupestri, probabilmente risalenti a periodi preistorici. Abitate fino agli anni Sessanta, oggi sono in parte visitabili e adibite a piccoli musei locali, al cui interno sono esposti attrezzi contadini. Via Valle è un’altra parte del Paese assai suggestiva dove le costruzioni di recente realizzazione si mischiano alle grotte, formando un panorama davvero insolito.

La storia
Del piccolo borgo di Sperlinga si hanno poche notizie relativamente alla sua fondazione e al periodo antico. In epoca medievale il suo poderoso castello venne sfruttato dai Normanni quale fortezze strategica sulle rotte viarie che collegavano la Sicilia centrale verso il Mar Tirreno. Durante la Rivolta dei Vespri del 1282, la città divenne di fondamentale importanza per le sorti della Sicilia: la dinastia francese degli Angioini infatti, riuscì a trovare riparo dalle rivolte della popolazione siciliana soltanto nella fortezza di Sperlinga. Fu l’esercito di Piero d’Aragona, l’anno seguente, ad espugnare il castello rupestre. Nei secoli successivi, Sperlinga legò il suo nome alla potente famiglia dei Ventimiglia, che vendette nel 1597 il feudo ed il Castello a Giovanni Forti Natoli, primo principe di Sperlinga. Una curiosità è importante sapere: il dialetto di Sperlinga è famoso per aver mantenuto nel tempo gli influssi fonetici francesi, tanto da essere definito una parlata gallo-italica.


IL CASTELLO URSINO


Il Castello Ursino rappresenta l’edificio più imponente di Catania. Costruito per volontà di Federico II e più volte danneggiato e restaurato, era il bastione principale di un sistema difensivo voluto dal sovrano per difendere la parte orientale dell’isola. Il castello al tempo della sua edificazione sorgeva direttamente sul mare: l’eruzione del 1669 lambì l’edificio, riempiendo i fossati della sua colata lavica, e di fatto lo allontanò dalla costa. La sua pianta quadrangolare, le imponenti torri che si innalzano dai vertici e le massicce mura, lo rendono una delle più grandi costruzione dell’epoca normanna in Italia. Durante il corso dei secoli venne usato sia per guarnigione, sia per motivi politici e amministrativi. Mantenuto in eccellente stato, il Castello Ursino ospita il museo civico della città, in cui vengono sono esposti reperti archeologici di epoca classica, dipinti medievali e collezioni di armi e armature di diversi periodi storici.




(da www.visitsicily.travel) 

24 ott 2017

ARRIVANO I MORTI: I DOLCI TIPICI DELLA TRADIZIONE SICILIANA


Si narra che la notte tra l’1 e il 2 novembre i morti tornassero in vita per far visita ai familiari e portare loro dolcetti e regalini testimoniando così il loro passaggio.



Le origini della Festa risalgono all’anno 835, quando papa Gregorio II cercò di sradicare gli antichi culti pagani legati alla tradizione celtica (il cui calendario indicava nel 31 ottobre l’ultimo giorno dell’anno) e secondo cui il 1 novembre era il Samhain, letteralmente “tutte le anime” fine dell’anno e primo giorno d’inverno, in cui la notte era più lunga del giorno. Questa particolarità permetteva al principe delle tenebre di chiamare a sé tutti gli spiriti e poter passare da un mondo all’altro. L’intento del papa però non riuscì. La chiesa aggiunse quindi, nel X secolo, la “Festa dei Morti” il 2 novembre, in memoria delle anime dei defunti.

Come è cambiata la festa oggi? Le tradizioni si evolvono e siamo molto più influenzati dalle mode d’oltreoceano, così da alcuni anni celebriamo anche noi la festa pagana di Halloween, ma i nostri nonni ricordano come la notte dell’1 novembre i familiari lasciassero la tavola imbandita con diverse prelibatezze in modo tale che i defunti, durante la loro visita, rimanessero contenti di ciò e lasciassero doni in cambio. Non si aveva paura dei defunti, poiché erano i nostri cari che ci avevano voluto bene e la giornata era una vera festa gioiosa per tutti che seguiva con la commemorazione al cimitero.
In alcune famiglie i bambini lasciavano durante la notte le scarpe in un angolo e la mattina del 2 novembre al risveglio le trovavano colme di dolcetti e regalini. Altri genitori organizzavano delle cacce al tesoro e una volta trovati i doni i bimbi esclamavano: “li cosi di morti cà su” [sono qui i doni dei morti.]



Non c’è Festa in Sicilia che non sia accompagnata anche da piatti tipici, dai dolci al salato ecco quali sono le pietanze della tradizione dei Morti:
Pupi ri zuccaro: statuette di zucchero dipinte, ritraenti figure tradizionali come i Paladini. La tradizione vuole che vengano chiamati “pupi a cena”, per via di una leggenda che narra di un nobile arabo caduto in miseria, che li offrì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo prelibato. Oggi i pupi assumono le forme più svariate per far contenti i bambini con i loro supereroi moderni.

Ossa dei morti: piccoli biscottini molto duri a base di farina, zucchero, chiodi di garofano, acqua e cannella

Frutta di martorana: dolci in pasta di mandorla a forma di frutta.

Muffuletta con acciughe: la tipica pagnotta calda e cunzata con olio, sale, pepe e origano, filetti di acciuga sott’olio e qualche fettina di formaggio primosale tipico siciliano.



(da www.esploratoridinatura.it)

STORIA DELLE TONNARE SICILIANE


Nel corso dei secoli, lungo le coste del Mediterraneo, sono sorte tantissime aziende dedite alla pesca del tonno rosso, meglio conosciute come tonnare, che rievocano un pezzo di storia e di autentica tradizione marinara. Costruite con le fatiche dei tonnaroti, ci raccontano la vita e la cultura siciliana, divisa tra mare e terra.



La pesca del tonno inizia nel Mediterraneo molte migliaia di anni fa già con i primi insediamenti umani. Successivamente i fenici constatarono che le migrazioni dei tonni avvenivano con intervalli regolari e idearono alcuni sistemi di pesca, ma solo nell’XI secolo con gli arabi venne ideato un metodo di pesca efficace, che prevedeva l’uso delle tonnare.

Da sempre infatti in primavera il tonno (di andata) entra nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra e compie un lungo giro delle coste siciliane per depositare le proprie uova, passando per lo Stretto di Messina. In autunno, una volta giunto nello Ionio e ormai privo di uova, il tonno (di ritorno) si dirige nuovamente verso l’Atlantico.

La tonnara dunque è in realtà un intricato sistema di reti posto in acqua per interrompere e deviare il percorso dei tonni così da imprigionarli, ed è ancora oggi il sistema più utilizzato ed efficace per pescare i grandi pelagici azzurri. L’impianto costiero invece si chiama marfaraggio e racchiude le abitazioni del proprietario e dei tonnaroti, il cortile, i luoghi di pulitura e lavorazione del pesce, i depositi del sale e diversi altri magazzini, ma comunemente viene chiamato stabilimento o più spesso tonnara.



Qualche giorno dopo la cattura dei tonni si procede con la mattanza, costituita da una prima fase in cui le reti vengono ritirate per costringere il pesce ad emergere a galla ed una seconda in cui i tonni vengono arpionati e issati nelle imbarcazioni. Naturalmente, il pescato veniva infine portato nei locali di pulitura, cottura e conservazione attraverso sale.

Successivamente, con l’introduzione del metodo industriale e della tecnica di inscatolamento del tonno, il ruolo della tonnara è passato da attività di sostentamento ad attività pecuniaria basata sul commercio e i marfaraggi si sono ampliati ed evoluti, incrementando anche di dieci volte la forza lavoro e coinvolgendo dunque l’intera borgata, se non tutto il paese. Sorsero anche molte nuove strutture dedite alla pesca del tonno, basti pensare che all’inizio del Novecento Sicilia e Sardegna vantavano oltre 20 tonnare ciascuna.



Tra queste la più grande e florida del Mediterraneo fu quella di Favignana, isola appartenente all’arcipelago delle Egadi, situata di fronte la punta ovest della Sicilia. Come diverse altre tonnare di andata, anch’essa risaliva ai secoli del dominio arabo.

Verso la metà dell’Ottocento l’imprenditore Ignazio Florio acquisì l’intera isola ed i relativi diritti di pesca, dando origine a quello che probabilmente fu il primo stabilimento per la conservazione del tonno sott’olio, reso possibile proprio grazie alla recente introduzione dei metodi di Appert e di Durand, che brevettarono rispettivamente il confezionamento del cibo sterilizzato e le scatole in latta a chiusura ermetica.



Dopo aver rinnovato ed ampliato l’intero marfaraggio, da quel momento conosciuto come Stabilimento Florio, che si estende per circa 32 mila metri quadri, la tonnara di Favignana e l’intera isola si dedicarono alla commercializzazione del tonno rosso sui principali mercati internazionali, divenendo uno dei maggiori centri industriali del Mediterraneo.

Come dicevamo, i nuovi processi industriali giovarono molto all’economia delle aziende ittiche, ma causarono un abbassamento del costo del prodotto e un aumento della richiesta. Di conseguenza vennero ideati nuovi metodi di pesca, come le tonnare volanti, reti mobili collocate non più sulla costa, in prossimità delle tonnare fisse, ma in alto mare, sfruttando imbarcazioni sempre più grandi. In quel periodo inoltre non esisteva ancora la cultura della pesca sostenibile e molti pescavano con le reti a strascico, capaci di catturare tutto il pesce senza distinzioni, sradicando interi habitat in un colpo solo, usate ancora oggi da numerose industrie ittiche.



Non bisogna dunque stupirsi se nella seconda metà del Novecento il fenomeno della pesca intensiva ha causato un’incredibile diminuzione degli stock di pesce pelagico presente nei mari e negli oceani, nonché il cambiamento di numerose rotte dei pesci, tonno rosso compreso. Anche lo Stabilimento Florio dovette chiudere i battenti, negli anni ottanta, proprio a causa della concorrenza dei grandi pescherecci che operavano al largo delle coste, con cui nessuna tonnara fissa poteva competere.

Con lo scopo di arrestare una simile criticità, nel 1957 venne creata la Politica comune della pesca (CFP), che ancora oggi regolamenta la quantità di pescato per ciascuna specie marina e per ciascuno stato dell’Unione Europea. Grazie a questa efficace gestione delle quote pesca (e non solo ad essa), oggi molti stock di pesce sono nuovamente in aumento, tra cui il tonno rosso.



Contestualmente, grazie all’interesse sempre crescente dei turisti verso l’antica cultura dei tonnaroti e della mattanza, oltre al desiderio dei popoli costieri di riscoprire le proprie radici e con esse le proprie tradizioni, nell’ultimo ventennio molte tonnare del Mediterraneo che versavano ormai in uno stato di abbandono sono state ristrutturate, trasformandosi in agriturismi, bagli, fabbriche e musei. È il caso dell’ex Stabilimento Florio, considerato oggi uno dei principali musei da visitare in Italia e definito dai turisti “un luogo suggestivo dove si fonde il passato con il presente”.

Ma non è tutto. Recentemente è giunta la notizia che la tonnara di Favignana riprenderà presto la sua attività!

Benché sprovvista delle quote pesca, squadre di tonnaroti si daranno nuovamente da fare, intonando le antiche cialome, per scopi culturali, sportivi e turistici. I tonni così catturati verranno subito rilasciati in mare, e non verrà effettuata alcuna mattanza. Tale attività sarà infatti gestita secondo le linee guida dell’Area Marina Protetta delle isole Egadi, nel rispetto dei criteri di sostenibilità e soprattutto del re del mare, il tonno rosso del Mediterraneo.



(da www.esploratoridinatura.it)

Tour della Sicilia Occidentale, da Palermo ad Agrigento

Il punto di partenza scelto per il nostro tour della Sicilia occidentale è Palermo, raggiungibile da tutta Italia sia in aereo, sia in traghetto. La città di Palermo offre davvero moltissimo dal punto di vista culturale ed avendo programmato la nostra sosta per una giornata abbiamo fatto una selezione dei monumenti da non perdere.

Avendo scelto per il nostro soggiorno un hotel nel cuore della città, abbiamo iniziato il nostro tour dai Quattro Canti, in Piazza Vigliena che fa parte di quello stile di Palermo spagnola. Poi a pochi passi c’è la grandiosa Fontana Pretoria, creata per una villa a Firenze, smontata in più di 644 pezzi e ricostruita nella posizione attuale. Sul lato meridionale della Piazza c’è il municipio, denominato Palazzo delle Aquile. Meritano una visita sia Palazzo Chiaramonte Steri, sia la suggestiva Santa Maria dello Spasimo, una vasta Chiesa a cielo aperto perché mai interamente completata.



Per pranzo vi consigliamo di transitare dal celebre mercato di Ballarò per gustare dello street foodlocale, dalle arancine, al pani câ meusa o le panelle la scelta è ampia e sicuramente non vi deluderà. Senza citare le prelibatezze dolci come i cannoli, le cassatine o la Iris con ricotta.

Nel primo pomeriggio abbiamo dedicato ampio tempo alla visita dell’imponente Cattedrale di Palermo, che racconta, come un libro di storia monumentale, la molteplice stratificazione di stili a seguito dei molteplici rimaneggiamenti. Si passa da una base eretta intorno al 1100, trasformata in moschea dagli arabi e poi riconvertita al culto cristiano dai normanni. Oggi è possibile visitarla per scoprire le tombe reali e imperiali tra cui quella di Federico II, il tesoro composto dalla preziosissima tiara d’oro di Costanza d’Aragona, la cripta e il tetto da cui è possibile avere una vista insolita sulla città.

Non molto distante dalla Cattedrale c’è l’imponente Palazzo dei Normanni e le Catacombe di Cappuccini, quest’ultime non adatte ad un pubblico sensibile. Al primo piano del Palazzo dei Normanni c’è invece la Cappella Palatina, sorprendente e altissimo esempio di arte contaminata dalle influenze arabeggianti del nord Africa e le capacità artistiche bizantine.

Infine, più staccati dal pieno centro cittadino segnaliamo il Castello della Zisa. Per cena ci siamo spostati di qualche km per raggiungere Mondello, località di mare. 

Di prima mattina, lasciata Palermo, ci siamo diretti a Monreale. La sosta è d’obbligo per godere dei panorami collinari suggestivi e ammirare il famoso Duomo, capolavoro assoluto di epoca normanna, che sorge proprio al centro del paese. L’edificio racchiude espressioni della cultura islamica, bizantina e romanica collocandosi tra le opere del Medioevo italiano con mosaici di straordinario interesse. Proseguendo nell’entroterra dopo la sosta di Monreale vi consigliamo di dirigervi verso l’area archeologia di Segesta, riconoscibile già da lontano per un tempio isolato sul colle adiacente al monte Barbaro, in un paesaggio spoglio con un bosco alle spalle.

Dall’ampia area di parcheggio, dove è possibile acquistare i biglietti per l’accesso al parco, è possibile salire al tempio velocemente mentre per la salita allo scenografico teatro, posto sulla vetta del monte, c’è un bus-navetta o si può optare per una passeggiata di circa 30 minuti. Durante il periodo estivo vengono attivati degli spettacoli all’interno del teatro, per un tuffo nel passato.

Per l’ora di pranzo siamo giunti ad Erice, attraverso una tortuosa strada ricca di curve e tornanti che parte da Valdèrice. La posizione della città è incantevole, “arroccata” sulla sommità del Monte San Giuliano, ed è possibile raggiungerla anche con la funivia dalla stazione alla periferia di Trapani. Tra le strette viuzze di Erice è imperdibile la Chiesa Matrice affiancata dal poderoso campanile, eretto circa nel 1300, dalla cui cima si può godere di una vista straordinaria sulle Egadi e sule saline di Trapani. Ed è proprio verso le Saline di Trapani che ci siamo diretti per concludere il nostro secondo giorno di viaggio in Sicilia.

Prima di raggiungere le saline ci siamo concessi una granita siciliana di grande bontà nel centro di Trapani da “Colicchia” per poi raggiungere il Museo del Sale, allestito in un’antica casa salina in cui un tempo si macinava il sale.


Per la sera, abbiamo scelto un’accoppiata suggerita dalla Guida Rossa Michelin, il Relais Antiche Saline e la trattoria del Sale in località Paceco. Il primo si è rivelato un affascinante baglio immerso tra vasche e canali delle saline, un posto dallo charme unico e rilassante, mentre il secondo un piacevole ristorante che propone cucina trapanese racchiuso tra le mura dell’antico mulino adiacente al Museo del Sale. Così, tra i mulini che si riflettevano sull’acqua e uno splendido tramonto, abbiamo chiuso la nostra giornata acquistando un po’ di sale di queste terre con cui condire i cibi una volta tornati a casa, per riassaporare almeno in parte gli straordinari sapori di Sicilia.

Per il nostro terzo e ultimo giorno di tour della Sicilia occidentale, ci siamo diretti verso Marsala, lungo la via del sale e del vino che da Erice porta proprio a Marsala come indicato anche nella guida “Itinerari tra i Vigneti” di Michelin. Seguendo la SP 21 ci siamo imbattuti nelle saline Ettore e Infersa, un grande mosaico di vasche interrotte dalle sagome degli antichi mulini tra cui spicca il Mulino d’Infersa, dal tetto rosso acceso. Da qui è possibile imbarcarsi per l’isola di Mozia. Noi abbiamo proseguito lungo la strada che lambisce le acque dello Stagnone per arrivare a Marsala dove abbiamo visitato la Storiche Cantine Donnafugata. Il nome fa riferimento al romanzo di Tomasi di Lampedusa il Gattopardo. Un nome che significa “donna in fuga” e si riferisce alla storia di una regina che trovò rifugio in quella parte della Sicilia dove oggi si trovano i vigneti aziendali. Per chi lo desiderasse è possibile effettuare una visita guidata attraverso la cantina e la barriccaia sotterranea, degustare vini e scegliere tra sei proposte per conoscere queste storiche cantine e i suoi vini attraverso degustazioni professionali e ricercati abbinamenti con le specialità della cucina mediterranea.

Lasciata Marsala ci siamo rimessi in viaggio, per il nostro tour della Sicilia occidentale, verso Mazara del Vallo per visitare la kasba ed ammirare le ceramiche dei suoi vicoli. Un intreccio di stradine lastricate, quelle della kasba, da scoprire con una passeggiata, l’itinerario completo è disponibile sul  sito ufficiale. Prima di ripartire da questo luogo sorprendente non potete non recarvi al museo del Satiro, dedicato alla statua bronzea greca, denominata Satiro Danzante, ritrovata da un peschereccio nel 1998 nelle acque vicino a Pantelleria. Curioso è anche scoprire i resti della Chiesa di Sant’Ignazio, non molto distante dal museo del Satiro.

Da Mazara abbiamo imboccato la strada verso Agrigento lungo la quale vi suggeriamo le possibili soste al parco archeologico di Selinunte, sede di una città greca distrutta una falesia viva costituita da uno sperone di marna bianca e riapparsa verso metà 800, un passaggio a Sciacca e una sosta per ammirare la Scala dei Turchi, una falesia viva costituita da uno sperone di marna bianca, in grado di regalare una visione unica da lasciarvi a bocca aperta.


Se le meraviglie viste fino ad ora non vi hanno ancora saziato è arrivati nella valle dei templi di Agrigento che si raggiunge il culmine della bellezza, un’area archeologica estesa da ammirare con la dovuta calma per non perdervi nulla: il Tempio di Giunone, il Tempio della Concordia uno dei reperti dell’architettura Dorica meglio conservati, le rovine del Tempio di Ercole e il Tempio di Giove insieme alle quattro colonne supertesti del Tempio dei Dioscuri. Per la notte abbiamo scelto il Villa Athena, indicato in Guida Rossa Michelin, con una vista esclusiva sui templi del parco archeologico. Infine, per cena ci siamo affidati ad uno dei ristoranti Bib Gurmand segnalati dalla Guida Rossa, l’osteria Expanificio che offre specialità siciliane ottimamente interpretate. Se vi fermate qui vi consigliamo la pasta Pirandello, una pasta fresca con ricotta saltata, i Brusciuluneddu cu sucu e il Cous Cous di pistacchio, un dolce di Agrigento composto da palline di vaniglia e cioccolato piccante con peperoncino di Modica.

Purtroppo è tempo di riprendere la via verso casa e concludere il nostro tour della Sicilia occidentale. Porteremo con noi il ricordo delle tante cose viste e assaggiate a Palermo, dell’imponente Duomo di Monreale e della graziosa Erice. Sarà difficile dimenticare i panorami mozzafiato sulle saline trapanesi e l’incredibile Scala dei Turchi. Infine sono tante le meraviglie dei parchi archeologici, da Segesta a Selinunte fino alla Valle dei Templi, senza dimenticare il fascino misterioso della kasba di Mazzara. Siamo certi che se sceglierete di seguire questo nostro itinerario non resterete delusi.

(da www.autoappassionati.it)

31 ago 2017

L’intreccio della palma nana in Sicilia, arte e tradizione




Un materiale interamente realizzato a mano, versatile, resistente al calore, al logorio del tempo e all’uso viene fuori dall’intreccio delle foglie essiccate della palma nana e dà vita a molteplici e variegati oggetti. Oggi l’antica tradizione siciliana dell’intreccio della “curina” si sta perdendo, ma c’è chi continua a mantenere viva la produzione: accade a Scopello, ne parliamo con Andrea Anselmo.

Vedere intrecciare la corda di palma nana è rilassante e coinvolgente, come funziona il procedimento signor Andrea?

Ad agosto ‘tiriamo la curina’, ossia tagliamo le foglie delle palme per poi pulirle e farle essiccare. Adesso è già possibile lavorarle: si fa la treccia e da quella si possono realizzare borse, coffe, sacche, tappeti, scope e tantissimo altro.

E’ un materiale molto resistente?

Ovviamente, dura nel tempo e si presta a molti usi: gli zimmili di curina (grossi contenitori con due manici), ad esempio, venivano posizionati sui muli e usati per il trasporto del materiale anche per grosse e ripide distanze.

Poco fa accennava alle “coffe”, di che si tratta?

Sono dei cesti (prodotti sempre artigianalmente) che venivano utilizzati per dare il foraggio ai cavalli e agli asini. Adesso si possono ancora ammirare sui carretti siciliani o come elementi d’arredamento.


Ricordo una storia sulle coppie in merito alla coffa: sapevo che dare la coffa era dare un rifiuto ad una dichiarazione d’amore.

Eh eh, simbolicamente il termine veniva usato per definire il rifiuto della ragazza all’approccio del ragazzo che la invitava a ballare.

Gli intrecci di curina si trovano ancora nei musei della Riserva Naturale dello Zingaro?

Sì, ma c’è anche chi, come me, ancora li produce, li usa e li vende. Ancora si fanno, occorre tramandare la tradizione..io ho imparato guardando mio padre e mio nonno!

Qual è il costo di uno di questi oggetti?

Beh, ad esempio un tappetino come questo che sto facendo adesso può costare sui cento euro. E’ un prodotto artigianale, fatto interamente a mano che richiede due giorni di lavoro: bisogna fare la corda, poi bisogna cucirla, fare la treccia, il bordino di corda più grossa e intrecciare il tutto. Ci vuole tanto tempo e tantissima passione, il risultato però dà anche tanta soddisfazione.



(di Fabio Barbera- www.agoravox.it)