19 mar 2017

Amuri: The Sacred Flavors of Sicily



AMURI is a year's journey through the colorful cuisine of five religious festivals across the island. This is a Sicily rarely seen by outsiders, a Sicily where it is the bread-kneading grandmother and the village priest in the camera’s focus. AMURI is an intimate portrait of the culinary and religious traditions at the center of the Sicilian spirit, traditions that have outlasted centuries of invasion, earthquake and corruption. From the sculptural breads of Saint Joseph day in March, to the castanet-like clatter of snails cooked in Palermo for Santa Rosalia in July, the documentary takes viewers on a mouth-watering tour around Sicily.

ERICE E LA PROSTITUZIONE SACRA



Il mito di Venere - Ad Erice, il culto di questa divinità femminile assunse, con il passare dei secoli e dei popoli, nomi diversi. Il culto fenicio della dea Astante, poi trasformato dai Romani in quello di Venere, aveva una natura per molti versi oscura che comprendeva l’allevamento delle colombe e la prostituzione sacra all’interno del tempio.

Migliaia di pellegrini ogni anno raggiungevano il santuario in occasione della partenza delle colombe sacre alla dea che si dirigevano verso l’Africa, a Kef, dove si trovava un santuario gemello per poi far ritorno ad Erice dopo nove giorni. Durante questo periodo ad Erice si svolgevano grandi feste.
Il mito di Venere era poi alimentato dalla prostituzione sacra delle Ierodule.

Da tutto il mediterraneo, commercianti e naviganti arrivavano qui per godere della compagnia delle belle sacerdotesse di Venere che, dietro cospicue offerte, assicuravano la protezione della dea.

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C’è una Sicilia segreta e misteriosa, fatta di tradizioni e di costumanze che si perdono nella notte dei tempi; una Sicilia mitica e leggendaria, i cui protagonisti balenano ora in un rito che ha sfidato i secoli, ora in un relitto che l’archeologia ha riportato alla luce, ora in una favola che uno scrittore antico ha raccolto.
È la Sicilia prospera e geniale di sempre, accesa dal sole e fecondata dal mare, luogo di incontro dei popoli più diversi, creatrice inesauribile d’arte e di civiltà. Attraverso questa terra, attraverso le testimonianze millenarie dei suoi splendori, si può compiere un viaggio affascinante, che solo in parte coincide con gli itinerari del comune turismo: perché il turismo guarda le bellezze estrinseche, mentre di rado conosce quelle celate nei cuori degli uomini o nelle viscere del suolo. 

Ma s’intende che i luoghi più suggestivi sono anche quelli in cui più antico fu il concentrarsi della vita, più ricco e intenso il dispiegarsi delle tradizioni e delle leggende; sicché in ultima analisi il nostro viaggio non deluderà neppure il comune turista, ed anzi costituirà per lui la rivelazione di itinerari che invano cercherebbe nelle guide usuali.
Tanto per rimanere nel regno della fantasia, seguiamo il cammino dell’eroe Ercole che secondo una suggestiva leggenda, giunto allo stretto che separa la penisola italiana dalla Sicilia, lo attraversò a nuoto con la sua mandria di buoi, tenendosi stretto alle corna di uno di essi. Quindi, con la velocità che solo le leggende consentono, costeggiò l’isola lungo le sue rive settentrionali, puntando verso l’estremo occidente. Per ristorarlo da così immensa fatica, le Ninfe benevole fecero sgorgare dalla terra due fonti d’acqua calda, presso Imera e presso Segesta. Ma né l’uno né l’altro luogo vide sostare l’eroe, la cui meta era il picco montano di Erice, in vista delle isole Egadi.

Oggi, ad Erice, noi giungiamo piuttosto da Trapani, che giace ai suoi piedi stendendosi in forma di falce verso il mare. La montagna, alta quasi ottocento metri, le sta a ridosso, tanto più imponente quanto più è isolata nella pianura circonvicina. Torna alla mente la descrizione che ne diede un geografo arabo: «Presso l’istmo di Trapani si leva una montagna grande, assai distesa ed alta. I Cristiani occupano un picco unito alla montagna da un ponte e posseggono una città considerevole sulla montagna stessa. Si dice che le donne di questo paese siano le più belle dell’Isola. Che Dio le faccia diventare schiave dei Musulmani!».
Trapani, coi suoi grattacieli, è un segno vivente del moderno sviluppo della Sicilia. E forse ancor più per questo è suggestivo il contrasto con la campagna che la circonda, e che percorriamo in auto dirigendoci verso l’altura. Ampie lagune si diffondono tra i campi, cumuli di saline si levano qua e là; e le une e gli altri scintillano al sole estivo, diffondendo all’intorno una luce rarefatta che agevola il distacco dalla realtà e l’immersione nella leggenda. Poi è salita ripida, a tornanti, lungo la via che s’apre nella roccia rosea, tra cespugli gialli di ginestre. Ampie pinete chiazzano di scuro il monte, eleganti ville lo punteggiano di vividi colori.
Appena s’entra in Erice, la vita sembra sostare. Lungo le vie selciate a singolari riquadri, nei quali l’acciottolato si dispone come in elegante mosaico, tra i muri di pietre a secco che segnano le pareti ininterrotte delle case, non c’è anima viva, non si vede né s’ode persona alcuna. Occorre sostare a lungo per comprendere il segreto di questa città del silenzio: la sua vita si espande nei cortiletti, separati dalle strade a mezzo di muri senza aperture. Ma quale differenza tra l’esterno e l’interno! Là il grigio chiaro e monotono delle pietre, solo interrotto da rade chiazze di muschio; qui il rosso e il giallo e il verde dei fiori lussureggianti, che si diffondono tra gli alberi più ricchi e vari.

Ora possiamo tornare alla leggenda. L’epica lotta che Ercole condusse contro il re del luogo (il primo ponendo in palio i buoi, il secondo il regno) si concluse naturalmente con la vittoria dell’eroe, il quale affidò la città agli abitanti in attesa che venisse a governarla qualcuno della sua stirpe. Chiara trasposizione, nel mito, del preannunzio del dominio greco… Ma a noi interessa piuttosto quel re valoroso e sfortunato, che la leggenda chiama proprio Erice e del quale fa dunque il progenitore del luogo. Di più: Erice viene detto figlio di Afrodite, la dea dell’amore. E così la leggenda spiega, a suo modo, il fatto che questa dea appunto fu la vera sovrana della città, oggetto di un culto che mutò nomi ma non mutò sostanza, sfidando e vincendo il passare dei secoli.
Afrodite dei Greci, Tanit dei Cartaginesi, Venere dei Romani: la rugiada, si narra, cancellava al mattino le tracce dei sacrifici che alla sera si compivano, all’aperto, nel suo luogo sacro; ed ogni anno un volo di colombe recava sull’antistante costa africana il segno di un rito sovranamente mediterraneo, tornando poi indietro a significarne la reciprocità. Infine, più di un autore afferma che si praticava la prostituzione sacra: anch’essa segno inconfondibile del culto che in antico si rese alla dea dell’amore.
Ora interviene la leggenda più importante dell’antica Roma, quella del viaggio di Enea e della fondazione della città eterna.
In Sicilia, canta Virgilio, venne a mancare il vecchio padre dell’eroe, Anchise; e fu sepolto proprio sul monte di Erice, dove si svolsero cerimonie grandiose in suo onore. V’è forse un caso fortuito in questo collegamento? O non è vero piuttosto che Enea, figlio di Venere, doveva pur sostare nel celebre santuario della dea tanto più in quanto gli abitanti del luogo si ritenevano anch’essi di provenienza troiana? Così accade che Enea fondi sul monte, per la divina madre, «una sede vicina alle stelle»; e che il culto si diffonda in Roma, dove a Venere Ericina vengono dedicati un tempio sul Campidoglio e poi un altro presso la Porta Collina.
Cosa resta, oggi, di Erice antica? Sulle pendici nord-occidentali del monte, tratti imponenti di mura, dalle quali sporgono grandi torrioni, risalgono certamente a prima dell’età cristiana: ne fanno fede alcune lettere puniche incise sulle pietre. Quanto al celebre santuario della dea, poi rifatto in epoca romana, poi trasformato in chiesa, restano oggi sulla vetta del monte, nell’area del Castello che domina l’abitato, le fondazioni di un edificio punico ed un pozzo, finora detto di Venere, nel quale i turisti si recano a gettare le monetine come nella fontana di Trevi: sarà per augurarsi il ritorno o per propiziarsi l’amore? Alcuni anelli d’oro e d’argento, sempre con la immagine di Venere, sono quanto rimane della leggendaria ricchezza del luogo sacro. Gli scavi compiuti in passato, e che dovranno essere dopo lunga pausa ripresi, indicano la presenza ad Erice di un notevole insediamento punico, confermando i dati già offerti dalle lettere incise sui blocchi di pietra delle fortificazioni; suggeriscono che nella fase antica di tale insediamento fosse attivo l’influsso dei più remoti e fecondi centri della civiltà mediterranea; mostrano che l’occupazione si protrasse per alcuni secoli, confermando le notizie storiche sul permanere dei Cartaginesi ad Erice fino alla conquista romana. Così, l’archeologia illumina i racconti degli antichi scrittori, rivelando la complessità delle credenze e dei riti di queste terre.
Nel che i lettori, se credono, potranno ravvisare un motivo in più per venire da queste parti. Ma, anche se non si interessano di cose antiche, vengano lo stesso a vedere le feste dell’«Estate ericina», le processioni allegoriche, i concorsi di bellezza (sempre Venere, dunque!). E se poi neppure questo li interessasse, provino almeno la cucina locale, le ricette elaborate per secoli nel segreto dei monasteri, ed in particolare quel cuscus di origine africana che ricorderà loro (anche questa è una via per la diffusione della scienza) i secolari rapporti con le civiltà dell’opposta sponda mediterranea.

(di Sabatino Moscati)

14 mar 2017

San Vito Lo Capo vuole salvare la Tonnara del Secco


La Tonnara del Secco a San Vito lo Capo, eletta “Luogo del cuore” in Sicilia e tra i più amati in tutta Italia, sta mestamente crollando su se stessa portandosi dietro secoli di storia, cultura, tradizioni. Per cercare di bloccarne il degrado, per restituire alla fruizione questo enorme patrimonio antropologico, architettonico, ambientale, l’Amministrazione comunale sanvitese ha formulato una “manifestazione d’interesse” indirizzandola ai commissari che gestiscono il bene attualmente in amministrazione controllata. Il sindaco Matteo Rizzo spera di riuscire nell’intento: “Abbiamo chiesto ogni informazione utile sia sotto il profilo documentale sia sotto quello economico e procedurale, per potere valutare concretamente ogni possibile iniziativa per salvare la nostra Tonnara”.

Nei giorni scorsi il F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano) ha ufficializzato la graduatoria dei “luoghi del cuore” più amati da italiani e stranieri, e la Tonnara del Secco è risultata la prima in Sicilia e settima in Italia: “L’Amministrazione da tempo ha avviato un’opera di valorizzazione dei beni di interesse storico, artistico e archeologico presenti sul territorio – conferma il sindaco Rizzo – e l’amore mostrato da residenti e turisti nei confronti della Tonnara impone di provare con tutte le forze a preservarla dalla distruzione. Non sarà facile dal punto di vista finanziario, ma non possiamo non tentare”.

La Tonnara del Secco fu acquistata nel 1999 dalla Valtur, che però non realizzò nulla dei progetti turistici annunciati, e da allora l’antico fabbricato è stato abbandonato all’incuria, anche a seguito del successivo sequestro dei beni del patron della Valtur, Carmelo Patti. Set d’eccezione per film e fiction di successo (Cefalonia, Viola di Mare, Il Commissario Montalbano e altri) si è imposta per la bellezza architettonica e ambientale, ma fino ad ora nessuno si fatto avanti concretamente per ripristinarne l’antica bellezza.

Questa Tonnara ha operato per quasi quattro secoli, dal 1600 al 1970 (ma il tonno veniva pescato già nel IV secolo a.C. come dimostrano le vasche cetarie qui esistenti): dopo la dismissione dei beni ecclesiastici (era di proprietà del Monastero di Santa Rosalia in Palermo) intorno al 1860 venne acquistata da Vito Foderà, già proprietario delle tonnare di Scopello e Magazzinazzi, e nel 1930 dalla famiglia Plaja che calò le reti fino al 1970, dovendo poi abbandonare l’attività per la scomparsa dei tonni nel grande golfo di Castellammare rovinato dall’inquinamento (nel 1965 furono catturati solo 50 tonni, nessuno negli anni ’69 e ’70 quando si tentò di riprendere la pesca dopo tre stagioni di fermo).

La storia della Tonnara del Secco, finora inedita, rivivrà in un libro oggi in fase di stampa che Ninni Ravazza, già autore di volumi e saggi sulla pesca del tonno, ha tratto dai “Diari” della tonnara messi a disposizione da Ettore Plaja, ultimo testimone della epopea della pesca al Secco.

“Speriamo che assieme al libro giunga anche la bella notizia della possibilità di far rivivere questo monumento, e con esso una parte importante della memoria del paese” confida Matteo Rizzo.

Il 25 e 26 marzo la Tonnara del Secco sarà una dei protagonisti delle Giornate del Fai, con visite guidate e momenti di riflessione sul ruolo che il monumento ha avuto nell’economia e nella vita sociale di San Vito lo Capo.

(da http://www.turismotrapani.net/san-vito-lo-capo-vuole-salvare-la-tonnara-del-secco)

Monte San Giuliano e la concessione del privilegio di Federico II



Il territorio di Monte San Giuliano (Erice), nel Medioevo ed ancora fino alla prima metà del secolo scorso, era uno dei più estesi della Sicilia. Includeva, infatti, anche gli attuali comuni di Valderice, Buseto Palizzolo, Custonaci, San Vito lo Capo e varie contrade che oggi fanno parte del territorio di Castellammare del Golfo’ come Scopello, Inici, Balata di Baida, Fraginesi, ecc.
Questo vastissimo comprensorio agricolo sarebbe stato concesso, secondo gli storici ericini, all'Universitas di Monte San Giuliano da Federico II con un privilegio nel 1241, durante il Parlamento generale tenuto a Foggia, dove l’Imperatore consegnò ai rappresentanti della terra di Monte San Giuliano il diploma di assegnazione perpetua delle terre già concesse alla città dal cugino Guglielmo II (diploma del 1161), alle quali aggiunse tredici casalia inhabitata (Scopello, Fraginesi, Handiriluare, Bumbuluni, Busith, Arcodaci, ecc.). 
I tredici casali del territorio erano stati spopolati quasi certamente in seguito alle rivolte musulmane sedate con ferocia da Federico II, a cui i ricchi "borgesi" latini del Monte avevano fornito un consistente aiuto militare, ottenendo in premio la generosa concessione dall'imperatore.

Il documento giunto in copia è però ritenuto non autentico e probabilmente si tratterebbe di una errata ricostruzione.
Al riguardo lo storico e archeologo Ferdinando Maurici ci dice che « il condizionale è obbligatorio dal momento che del documento, il cui contenuto era noto già al Castronovo, conosciamo solo un transunto del 1445 scoperto da H. Bresc fra le imbreviature del notaio palermitano G. Comito ed una copia più tarda (con alcune varianti) custodita nella Biblioteca Comunale di Erice ed edita da V. La Mantia nel 1887’. 
Il transunto presenta diversi punti problematici. In primo luogo, la datatio topica e cronica (Foggia, 1241 maggio) non si accorda con ‘l’itinerario’ federiciano ricostruibile in base alla documentazione pubblicata da Huillard-Breholles e Winkelmann.
In secondo luogo, nella narratio del documento si fa riferimento alla supplicatio presentata dai rappresentanti della terra di Monte San Giuliano post sollempnem curiain quam Capue celebravimus ubi de resignandis privilegiis universis edictum fecimus. Com’è a tutti noto, la dieta di Capua è del 1220, ventun’anni prima, quindi, della data del documento in esame. 
Ed ancora, fra gli altri elementi anomali, si fa riferimento nel testo agli obblighi militari degli abitanti di Monte San Giuliano i quali, nel caso che la Sicilia
fosse stata invasa ab hostibus, avrebbero dovuto accorrere a difesa laddove loro fosse stato ordinato. È una clausola, questa, che meglio si addice agli anni di Federico III, quando tutto il litorale trapanese fu ripetutamente meta di raids e sbarchi angioini, che non all’età federiciana. 
In ultimo, il supposto privilegio federiciano enumera nel conto dei casalia exhabitata anche Arcudachi che invece è certamente ancora in vita, anche se ancora per poco tempo, nel 1282.
Il documento è quindi quasi certamente un falso: ma è un falso antico e che venne probabilmente costruito per far valere una situazione tradizionale e ben conosciuta, ipoteticamente sancita da privilegi perduti ma di cui si conservava chiaro e preciso ricordo. È un falso che fornisce, in definitiva, importanti ed attendibili notizie storiche.
Nella copia del presunto documento federiciano sono menzionati due altri privilegi, rispettivamente emanati da Guglielmo II e da Markwald von Anweiler (tutore e balio di Federico II), che attribuivano a Monte San Giuliano libertates et terras sufficientes eidem universitati. 
Tutto ciò è perfettamente verisimile, dal momento che è probabilissimo
il rilancio o addirittura una vera e propria rifondazione di Erice - Monte San Giuliano nell’età dei Guglielmi. O, più precisamente, fra l’anno di edizione del "Libro di re Ruggero" di Idrisi, che ricorda sul monte solo l’esistenza di un fortilizio abbandonato, e la testimonianza di Tbn Giubayr (1184-1185) che attesta invece, e con vivaci particolari, la presenza di un abitato popoloso e
riservato soltanto ai cristiani. Non è inverosimile, allora, che alla comunità latina stanziatasi sul monte Guglielmo II abbia attribuito con privilegio un territorio agricolo, confermato poi negli anni della reggenza da Markwald. Questo nucleo territoriale originario, di cui non conosciamo l’estensione ma che i sindici di Monte San Giuliano presentavano all’imperatore come insufficiente, sarebbe stato quindi ex amplio... munere arricchito da Federico II
con l’attribuzione di tredici casali spopolati.

Continua Maurici dicendo che sulla base dei toponimi menzionati nella copia del 1445, e ancora oggi rintracciabili sulla cartografia, di evidente etimo arabo (Busit, Farginisi. Scupelli ed Ynnichi l’identificazione è immediata: Busit è il comune di Buseto Palizzolo o il suo territorio; Farginisi è l’attuale contrada Fragginesi, appena nell’entroterra fra Castellammare e Scopello, la ben nota località balneare che corrisponde evidentemente al casale Scupelli.
Ynnichi è da localizzare fra il monte (m. 1064) ed il baglio che ancora oggi portano quel nome, con maggiori probabilità per l’area del baglio o ‘castello’ d’Inici ) , suffragata da una presenza islamica già in età prenormanna attestata anche dalla ricognizione archeologica di superficie, «si può quindi ragionevolmente ipotizzare che il vasto territorio dalle pendici dell’Erice a Castellammare ed a San Vito lo Capo fosse punteggiato da piccoli insediamenti agricoli già prima del rilancio dell’abitato sul Monte e verosimilmente già prima della conquista normanna.La rifondazione di Erice-Monte San Giuliano mediante lo stanziamento di coloni latini valse quindi ad
inquadrare un’ area abitata altrimenti prevalentemente od esclusivamente da saraceni ed a proteggere la parte cristiana della popolazione trapanese, offrendo un sicuro rifugio a poca distanza». 

«Al di là dei vari problemi topografici, mi sembra però che il falso datato 1241 presenti in tutta la sua rilevanza un problema chiave della storia siciliana a cavallo fra XII e prima metà del XIII sec.: la fame di terre delle colonie di ‘borgesi’ latini e la inevitabile conflittualità con le comunità musulmane. E questo un fatto su cui ha ripetutamente e giustamente più volte richiamato l’attenzione H.Bresec che trova un’ulteriore conferma nel privilegio per
Monte San Giuliano. 
Nel privilegio si sottolineano le lamentele dei rappresentati della terra per l’insufficienza dei territorio agricolo assegnato ai tempi di Guglielmo Ilpro eorum massariis. In seguito a ciò l’imperatore concede i tredici casali, ormai spopolati. 
L’ipoteca sul cambiamento era però già stata posta alla fine del XII sec. con il rilancio di Erice. La presenza latina introduce un elemento dirompente: per i ‘borgesi’ impadronirsi della fertile fascia pianeggiante e collinare punteggiata di casali era un’esigenza sempre più pressante e vitale. Per le popolazioni dei rihal, d’altra parte, la massa azzurrina e gigantesca del Monte, ben visibile da lontano con il suo profilo di case, di mura e di torri, si trasformò in una minaccia incombente, in una promessa di annientamento».

«Il culmine dello scontro con i musulmani del Vai di Mazara si registrò, com’è noto, fra 1221 e 1225 con il primo assedio di Jato e la morte di Muhammed ibn Abbad, ‘principe dei credenti’ e capo riconosciuto della resistenza 47.La guerra, che ebbe il proprio epicentro nell’entroterra monrealese, si combattè
presumibilmente anche nella parte più occidentale dei Val di Mazara. Le fonti scritte, al di là di un generico accenno di Giovanni Villani alla presenza di musulmani ribelli sulle monta gne del trapanese 4,sono su questo punto del tutto mute. Soggiorni di Federico a Trapani sono però attestati il 25 settembre 122l e quindi nel novembre 1224°: la presenza dell’imperatore potrebbe collegarsi proprio con questi eventi militari. Si può ragionevolmente ipotizzare che l’universitas di Monte San Giuliano abbia fornito truppe per la dura e lunga repressione, mentre è certo che i casali del territorio fossero almeno in parte in via di spopolamento già prima del 1241. Nel 1239 Federico aveva
infatti ordinato di trasferire gli uomini di Arcudachi in un casale che avrebbe dovuto costruirsi fra Sciacca ed Agrigento, influmine Sancti Stephani ».

«L’evoluzione dell’ insediamento medievale in questo territorio offre quindi un’ulteriore verifica ad un modello che dimostra sempre più la sua validità.
Ad una realtà di popolamento sparso le cui origini si possono far risalire almeno all’XI sec., si sovrappone con i Normanni un episodio di incastellamento nella forma eclatante del rilancio o della vera e propria rifondazione di una città antica (Erice). 
Le rivolte musulmane del XIII sec. e la repressione voluta da Federico Il costituiscono anche qui una cesura epocale, cancellando, azzerando l’insediamento intercalare.
Il territorio resterà, dopo il 1240 circa, praticamente vuoto di abitanti ed abitati. Un castello isolato nel feudo Baida ed alcune torri costiere a difesa delle tonnare costituiranno per secoli i segni più evidenti della presenza umana.
È nelle vicende postmedievali che il territorio di Erice presenta aspetti originali. Non si verificò infatti quel fenomeno di programmata ricolonizzazione della campagna per iniziativa feudale che costituisce il Leitmotiv della storia dell’insediamento siciliano fra XVI e XVIII sec. Il territorio rimase sempre saldamente in mano all’Universitas del Monte, città demaniale, e nessuno o pochissimi e marginali spazi di manovra vennero lasciati ad esponenti della feudalità. Il ripopolamento avvenne quindi lentamente, in maniera disorganica e per così dire ‘spontanea’, attorno a vecchie preesistenze territoriali (il santuario e la tonnara di S.Vito o la chiesa di Custonaci, ad esempio) senza, apparentemente almeno, interventi pianificatori».

Tratto da :
SECONDE GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDI SULL’AREA ELIMA

INSEDIAMENTI MEDIEVALI NEL TERRITORIO DI ERICE
FERDINANDO MAURICI

Publio Claudio Pulcro prima della Battaglia di Trapani 249 a.C.



Se davvero non vogliono mangiare, almeno bevano!" esclamò
beffardamente il console Publio Claudio Pulcro, stizzito del responso negativo fornito dal pullario nel constatare che i polli sacri non uscivano dalla loro gabbia per andare a mangiare.
Quell'auspicio chiaramente infausto, verificatosi proprio sul ponte della sua nave ammiraglia, risultò insopportabile al comandante in capo romano, visto ch'egli voleva attaccare immediatamente la flotta punica ormeggiata a Trapani, sicuro di coglierla di sorpresa. Ordinò pertanto di gettare quella gabbia a mare e si diresse con la sua flotta di 120 quinqueremi verso la più vicina imboccatura del porto.

Così iniziò l'infelice battaglia navale di Trapani (249 a.C.), a proposito della quale gli scrittori romani hanno posto l'accento sulla questione degli auspici (VAL. MAX. 1, 4, 3; FLOR. epit. 1, 18, 29; EUTR. 2, 26).

Per i Romani, i polli in questione non erano una "specie protetta", né erano oggetto di specifici tabù religiosi, ma il comportamento sprezzante del console fu comunque un errore imperdonabile perché fornì agli equipaggi la sensazione di affrontare il combattimento in un contesto nefasto e, pertanto, di andare incontro ad una inevitabile sciagura. Cosa che si verificò puntualmente. La superbia e l'impulsività erano sempre stati i difetti congeniti della gens Claudia, ma in nessun'altra occasione avevano provocato delle conseguenze di tale gravità.

Affogato il pollame, l'arroganza del console si era ben presto tramutata in viva preoccupazione e poi nel disperato tentativo di salvare il salvabile, perché la contromossa dei Cartaginesi, usciti dall'opposta imboccatura del porto mentre le navi romane ancora stavano entrando, aveva scompaginato a tal punto la flotta del console da far subire ai Romani la prima ed unica grande sconfitta navale della loro storia. Il console riuscì a portare in salvo solo una trentina delle sue navi - con un temerario stratagemma che ingannò il nemico - mentre le rimanenti caddero in mano punica.

E siccome le disgrazie non vengono mai sole, l'esiziale psicosi dei perdenti si impadronì anche della seconda flotta, comandata dall'altro console, Lucio Giunio Pullo. Costui, per sottrarsi all'ingaggio del nemico affrontò nel modo peggiore la burrasca, venendo quindi sconfitto da questa anziché da quello. ( DIOD. 24, 1: Raggiunse Lilibeo con due sole quinqueremi, mentre tutte le altre navi affondarono o divennero inservibili per i danni subiti.)
In tal modo i Romani, nell'arco di una sola estate, persero entrambe le flotte di cui disponevano: in totale un migliaio di navi, da guerra ed onerarie. (Cic. nat. deor. 2, 7: Pulcro fu condannato dal popolo, Pullo si suicidò).

Tratto da: 
Corsari romani di
DOMENICO CARRO

Insediamenti rurali nell'agro ericino-trapanese



Tra la fine del VI e nel corso del V sec. a. C. si ha un primo incremento degli insediamenti sparsi per le campagne, con l’occupazione di sei siti posti lungo le principali vie di collegamento fra Segesta, Erice e Mozia. In queste località, in particolare a Torre Canalotti, Borgo Fazio e in contrada Falconera, troviamo
ceramiche dipinte decorate con le tipiche bande parallele o con motivi geometrici di tradizione ‘Elimo-indigena’. 
Soltanto dalla seconda metà del IV sec. a. C., in linea con i dati noti da altre ricognizioni archeologiche nella Sicilia Occidentale, si avrà una vera affermazione dell’abitato rurale sul territorio con l’occupazione di siti che, nella gran parte dei casi, rimarranno in vita sino alla tarda antichità e talvolta anche in età arabo-normanna.
L’assenza di un grosso centro per un raggio di almeno 30 Km (la distanza fra Segesta e i siti posti lungo la costa), e le favorevoli potenzialità agricole del territorio, consentiranno per molti secoli un incremento costante degli abitati rurali di dimensioni medie e piccole, collegati attraverso una fitta rete viaria agli approdi costieri di Lilibeo e Drepana. Durante la prima età ellenistica si assiste al proliferare di quegli insediamenti posti in prossimità dei percorsi viari di collegamento fra Segesta, Erice, Lilibeo e lungo le altre direttrici che dalla costa meridionale (Mazara, Selinunte) e dall’entroterra (Alicia-Salemi) convergono ad Erice e all’approdo di Drepana. [...] I maggiori centri relativi a questo periodo s’individuano nelle contrade Canalotti, Stella, La Chinea, Cuddia, presso Torre Canalotti, a N del Baglio Misiliscemi e ad E della masseria Torre Chinisia.

La prima guerra punica, che alla metà del III sec. a. C. vide questo territorio protagonista dello scontro romano-cartaginese per oltre un decennio, crea una momentanea frattura nello sviluppo dell’abitato rurale.
[...]
Dopo la parentesi bellica della prima guerra punica, durante l’età repubblicana, si ha una lenta ripresa di gran parte degli abitati rurali già esistenti nella prima metà del III sec. a. C. Tale ripresa appare più accentuata nel corso del I sec. a. C.; in questa fase è documentata la presenza su tutto il territorio di cospicue
importazioni di ceramiche sigillate ed anfore vinarie italiche. 
Nel corso della prima età imperiale si ha un ampliamento degli abitati rurali, evidenziato sul terreno da aree di dispersione dei manufatti che talvolta raggiungono anche i quattro ettari di superficie. I materiali relativi a questo periodo sono costituiti in prevalenza da ceramica africana.
[...]
Nella tarda età imperiale alcuni siti assumono maggiore rilevanza per estensione e per qualità dei materiali che mostrano in superficie.
È il caso di quelli posti lungo la cosiddetta ‘via vecchia di Palermo’, identificabile a mio avviso con il tratto dell’Itinerarium Antonini Longarico (presso Alcamo) - Lilibeo, come il sito presso Baglio La Chinea (Trapani), dove s’individuano i resti di un’estesa villa rurale e quello di Baglio Cuddia (Marsala), quest’ultimo da porre in relazione con la statio romana di Ad Olivam.

Il periodo compreso fra il VII e la metà del X sec. non appare documentato da resti archeologici indicativi. Dall’analisi dei reperti nei diversi siti si evidenzia però come su 25 insediamenti relativi alla prima età bizantina, 14 presentano materiali attribuibili all’XI sec.. Durante la dominazione islamica si delinea l’abbandono dei siti posti lungo l’asse viario Segesta-Drepanum, intensamente abitato in età ellenistico-romana, mentre gli insediamenti rurali sembrano concentrarsi soprattutto lungo la direttrice viaria Segesta-Lilibeo e alle pendici dei sistemi collinari dell’entroterra, come nel caso dei siti di contrada Palazzello, Borgo Fazio, Case Adragna, Case Zena. Nell’area pericostiera troviamo un gruppo di insediamenti posti lungo l’importante percorso viario medievale Trapani-Mazara, che s’identificano in alcuni casi oltre che dai resti archeologici anche dalla toponomastica, come per i siti di Misiligiafar e Misiliscemi. In questa fase un consistente agglomerato rurale dovette costituirsi nei pressi dell’attuale Baglio Ballottella, dove le tracce archeologiche si estendono su oltre 10 ettari di superficie. Nell’area si rinvengono cospicui materiali ceramici caratterizzati in prevalenza da bacini dipinti con vivaci motivi ornamentali e numerosi resti di anfore dalla superficie corrugata, dipinte a bande rosse e brune.

Nel corso della seconda metà del XII sec. nelle campagne di Trapani l’insediamento rurale appare fortemente in crisi. Certamente i noti eventi legati alla repressione dell’elemento musulmano nell’isola, che provocarono lo spopolamento di gran parte delle aree rurali nella Sicilia Occidentale, non lasciarono indenne nemmeno l’agro ericino e trapanese. All’abbandono delle campagne si contrappone un maggiore sviluppo di Trapani e il massiccio ripopolamento, dopo molti secoli di scarsa frequentazione, di Erice - Monte San Giuliano che diverrà il capoluogo di uno dei più vasti distretti agricoli della Sicilia. A questo periodo sono attribuibili nelle campagne soltanto due siti di limitata estensione, ma posti in posizione fortificata a controllo del territorio: Pizzo del Soldato, un cocuzzolo roccioso fortificato a guardia di un percorso viario secondario fra Marsala e l’entroterra, e Timpone Ummari, dove la popolazione del casale che da secoli viveva alla base del poggio roccioso si trasferisce sulla cima, cingendo il sito con un perimetro murario. 
Nel XIII sec. Trapani e Monte San Giuliano rimarranno gli unici abitati di una vastissima regione agricola, fino a quando, oltre due secoli più tardi, lentamente inizieranno a ricostituirsi quei nuclei rurali sparsi che ancora oggi caratterizzano gran parte di questo territorio.

(Antonino Filippi «INDAGINI TOPOGRAFICHE NEL TERRITORIO DI ERICE E TRAPANI»)

12 mar 2017

L'ABBRACCIO DI VENERE



Da giù il panorama è da incanto, con la nebbia che avvolge la montagna di Erice regalando al tramonto sfumature meravigliose. Uno scenario ancora molto più suggestivo dalle saline di Trapani, dove i colori all’imbrunire ed i riflessi tra canali e vasche regalano paesaggi davvero unici. Praticamente trecentosessantacinque giorni l’anno. Anche durante l’inverno. Lo spettacolo è assicurato! Con quelle montagnette di sale e gli antichi mulini che fanno da contorno. I fenicotteri e tutti gli altri uccelli che vivono in questo angolo di paradiso ad un tiro di schioppo dalla città: un luogo che pulsa di trapanesità, avvolto nei silenzi ed in un’atmosfera di quiete e pace. Con il solo sottofondo dei gabbiani che fanno da spola con il vicino mare. Che emozione passeggiare da queste parti. E sullo sfondo c’è sempre “lui”, il Monte, così imponente e maestoso, che tutto osserva e domina. Con quella sua “nuvoletta” che sembra quasi volere nascondere chissà quanti e quali segreti, così gelosamente custoditi nei silenzi di questa montagna bellissima, autenticamente tra cielo e mare.

La nebbia che avvolge Monte Erice da queste parti viene chiamata “cappello” o, più romanticamente, come preferiscono gli ericini, “l’abbraccio di Venere”, a ricordo di quella che per secoli fu la montagna della dea dell’amore e della fecondità, identificata, in base alle epoche ed ai popoli che nei millenni si sono susseguiti nell’acrocoro dove sorgeva il tempio, con vari nomi: Ibla per i Sicani, Pothia con gli elimi. Ed ancora Toruc quando arrivarono i fenici e successivamente Astarte con i cartaginesi. Infine Venere sotto la dominazione romana. 

Tanti nomi per quell’immagine femminile simbolo della grande bellezza che non ha mai lasciato questa montagna. E quando ad Erice arriva la nebbia fa un certo effetto pensare a quel banco di umidità come la dea Venere che torna nella sua montagna. Nebbia che sale dal mare, quasi a volere dare ristoro e protezione a questi luoghi che pulsano ovunque di sacralità. Tra l’altro la leggenda vuole che Afrodite, chiamata così dai greci, sia nata proprio dalla schiuma bianca delle onde. Una dea venuta fuori da una conchiglia, venerata per millenni in una montagna che guarda verso il mare e che dalla rocca dove oggi sorge il castello normanno dava protezione ed indicava la giusta rotta ai marinai. Oggi dell’antico tempio della dea non resta più nulla, se non l'area dove sorgeva, anche se non c’è nemmeno certezza sull’esatto punto in cui si trovava l’altare. Ci sono solo diverse ipotesi. E’ invece arrivato ai giorni nostri il “pozzo di Venere“, dove secondo la leggenda la dea faceva il bagno. Ci sono poi le nove croci incastonate sul lato Sud del muro della chiesa madre di Erice, che secondo la tradizione sarebbero state realizzate proprio con il materiale proveniente dal tempio man mano che veniva smantellato. I riti legati alla prostituzione sacra praticata dalle sacerdotesse di Venere, le ierodule, resistettero per diversi secoli anche dopo l’avvento del Cristianesimo, che, come ovvio, cercò in tutti i modi di estirpare le pratiche pagane. Fu attorno al sedicesimo secolo che ad Erice si affermò un nuovo culto, quello legato alla Madonna di Custonaci, oggi la patrona di tutto l’Agroericino. Ma il ricordo della dea è comunque sopravvissuto, anche se restano davvero pochi simboli, come la statua della fontana di Venere, nel cuore dei giardini del Balio. Ci sono poi le mura imponenti mura del Castello normanno, meglio noto come “Castello di Venere”. A memoria di quello che fu il sito che ospitò il tempio della dea dell’amore. E poi c’è la nebbia, “quell'abbraccio” di umidità, a volte fittissima, che arriva dal mare per avvolgere il borgo medievale. Regalando un senso di tranquillità impareggiabile. Unico al mondo. E con un po’ di immaginazione, a volte, in quel gioco di nuvole e nuvolette, tra le mille sagome che la fantasia suggerisce, si intravede anche una figura femminile dai contorni delicati e aggraziati…che fa salire strani brividi lungo la schiena!

Naturalmente una cosa è vederla da giù, una cosa è starci dentro, vivendola in tutto il suo fascino. La nebbia che avvolge la cima di Erice regala nel borgo medievale delle atmosfere magiche. A tratti proprio surreali. In alcuni punti si ha la sensazione di essere avvolti da un alone di mistero. Di ignoto. Spariscono i colori ed i panorami mozzafiato su Trapani, l’Agroericino e Cofano. Tutto diventa grigio. Forse anche un po’ malinconico. Ed i silenzi ancora più penetranti.

L’intero paese, con i suoi campanili, le chiese, le strade selciate e le case in pietra, sembra quasi voler svanire, in un mix di ombre e lineamenti molto suggestivo. Che richiama leggende e spettri del passato. Ogni angolo, qui, ha una storia da raccontare. Dove il “vedo e non vedo” riesce, incredibilmente, a rendere il tutto ancora più stupendo. Come per il Duomo, la splendida chiesa madre di Erice, ancora più affascinante con il suo tipico coronamento merlato e lo slancio verso l’alto del campanile che si perdono nella nebbia. Uno spettacolo ancora più unico di notte. Passeggiare in questo contesto regala delle sensazioni uniche.

Ed un giretto nei sentieri del bosco che costeggiano le millenarie mura elimo-puniche, dette anche ciclopiche, che da porta Trapani arrivano fino al Quartiere Spagnolo, può fare vivere le emozioni di un trekking davvero particolare, con il sottofondo del fruscio degli alberi e le prospettive ridotte che catapultano l’escursione verso una dimensione decisamente più interiore. Dove sembra quasi di entrare in empatia con la natura circostante, capace di accompagnare la mente in un cammino guidato dagli occhi del cuore.

Anche questo fa parte della magia di Erice! Un luogo incantato, dove il tempo sembra essersi fermato in chissà quale epoca: forse al tempo di dame e cavalieri o ancora prima ai fasti di Astarte o Venere che sia. Quando questa montagna era il simbolo della forza dell’amore. Di quel potere che alberga nell’immagine femminile e nell’idea della fecondità di madre natura che tutto può e avvolge. Un antichissimo richiamo che ancora oggi resiste nella bellezza di questi posti meravigliosi. Capaci di entrare dentro il cuore di ciascuno per non lasciarlo mai più. La forza dell’amore, per l’appunto. Che arriva con il primo abbraccio, al salir quella soffice nuvoletta. Che annuncia il ritorno della dea nella sua montagna.

Mario Torrente

ITINERARI NATURALISTICI A SAN VITO LO CAPO


Se svegliarsi e passeggiare lungo tutta la baia di San Vito Lo Capo non dovesse bastare, non avete che l’imbarazzo della scelta su dove trascorrere una giornata a contatto con la natura.
Scopriamo gli itinerari naturalistici intorno a San Vito Lo Capo.

DA CALAMANCINA FINO A ISULIDDA

A pochi passi dalla spiaggia e dal centro abitato si trova Cala Mancina, una baia su cui si ergono spettacolari falesie amate dai climbers (arrampicatori) che arrivano da tutto il mondo.
Il percorso parte da Cala Mancina e arriva fino a Isulidda, sul golfo di Macari; il nome, che in siciliano significa “piccola isola” si deve all’isolotto posto antistante la caletta.
Il percorso, piacevole e appassionante per gli amanti del trekking, parte da un sentiero a ovest del faro. Da lì sarà emozionante trovarsi a costeggiare il mare da un lato e le rocce dall’altro.
Le pareti rocciose sono imponenti e la vista sul mare le rende ancora più emozionanti!

Da non perdere: la grotta dei cavalli, in cui è stato rinvenuto un complesso pittorico risalente all’eneolitico, e le grotte dell’isulidda, con incisioni del periodo paleolitico.


RISERVA DI MONTE MONACO

Quanti di voi, sdraiati in spiaggia e guardando l’imponente montagna che si erge sulla fine sabbia bianca, hanno pensato, almeno una volta, al Pan di Zucchero, il famoso colle sulla spiaggia di Rio de Janeiro?
Il monte si chiama Monte Monaco ed è un sito naturalistico amato da grandi e piccini.

L’itinerario per arrivare fino in cima è semplice da percorrere e può essere una meta adatta anche alle famiglie con bambini.
Da qualche anno l’antico sentiero è stato reso fruibile a tutti, grazie alle segnaletiche e alla sistemazione di tutte le aree percorribili.
In meno di due ore si raggiunge il crocifisso in legno posto in cima e da lì si potrà ammirare San Vito Lo Capo dall’altro, ma anche una grande fetta del territorio circostante.
Diventerete un tutt’uno con l’azzurro del mare e del cielo!



RISERVA DELLO ZINGARO

Una delle più famose riserve naturali d’Italia e la prima istituita in Sicilia; la Riserva dello Zingaro è un emozionante percorso a piedi che conduce da San Vito Lo Capo fino a Scopello.
Il sentiero è lungo 7 Km e ha due ingressi (uno da San Vito Lo Capo e uno da Scopello).
La Riserva è aperta tutto l’anno ad esclusione dei giorni in cui si registrano particolari condizioni meteo (ad esempio, nelle giornate in cui soffia forte vento di Scirocco).
La Riserva è il tripudio della macchia mediterranea, dove si possono ammirare specie vegetali quasi introvabili.
Anche la fauna riserva grandi sorprese, in particolare agli appassionati di birdwatching.
Si può scegliere di percorrere l’intero tragitto alternando la passeggiata a bagni rifocillanti nelle splendide calette di acqua pulita e limpida.
Tappe imperdibili sono: Cala dell’Uzzo, Cala Marinella, Cala Beretta, Cala della Disa, Cala del Varo, Cala Capreria.
Durante il percorso cattureranno la vostra attenzione Torre dell’Uzzo, ma anche il Museo della civiltà contadina che racconta il passato della riserva e il Museo dell’intreccio che, con oggetti realizzati solo con fibre naturali, racconta le tradizioni siciliane legate all’arte dell’intreccio.



RISERVA DI MONTE COFANO

A circa cinque minuti d’auto da San Vito Lo Capo, si arriva fino Baia Santa Margherita e da lì alla Riserva di Monte Cofano ( a cui si può accedere anche da località Cornino nel Comune di Custonaci).
A Punta del Saraceno si trovano i resti di un suggestivo borgo di pescatori e la maestosa Torre di Tono costruita per difendere l’antica Tonnara.
La torre suscita un particolare interesse perché unica nel suo genere con la forma “stellare”.
Il percorso si fa ancora più affascinante iniziando a “girare intorno” al Monte Cofano. Il sentiero si arricchisce di adrenalina passando dal “passu a zita” che prende il nome da una leggenda popolare secondo cui una coppia di giovani stava recandosi a Erice per sposarsi, ma una frana fece precipitare in mare la ragazza che morì; da quel giorno chi passa da lì può vedere il “bianco velo” della giovane fluttuare nelle acque sottostanti, tra le foglie di posidonia.
La macchia mediterranea, i colori e l’incontro di uccelli e altri animali (ad esempio, qualche mucca al pascolo!) rendono “l’avventura” affascinante.
Percorrendo il sentiero fino a Custonaci si incontra la Torre di San Giovanni che faceva parte del sistema di fortificazioni borbonico.
Sempre in direzione di Custonaci si possono incontrare diverse grotte, interessanti dal punto di vista naturalistico e geologico.
Sarà divertente percorrere l’intera riserva fermando il tempo e lasciandosi incantare dalle meraviglie della natura; i più allenati potranno salire in vetta fino a 659 metri, ma da lì il panorama è impagabile!





LA PROVINCIA DI TRAPANI E SAN VITO LO CAPO NEI FILM



La Sicilia è una terra ricca di storia, e questo è risaputo. Oggi vogliamo parlarvi però delle storie che hanno preso vita in Sicilia, e in particolare nella Provincia di Trapani e a San Vito Lo Capo: quelle del Cinema.

La Provincia di Trapani e San Vito Lo Capo nei film riempiono le pagine di siti web grazie a piccole e grandi produzioni. Molti ciak sono famosi ai più, molti altri incantano gli spettatori senza svelarsi completamente.
Bisogna dire che non solo il grande cinema si lascia affascinare dal mare, dalla montagna, dalla storia e dalla natura che caratterizzano i comuni della Provincia di Trapani. Sono tantissimi infatti i film per la televisione e la fabbrica degli spot.

Voi che conoscete San Vito Lo Capo per il suo mare e la sua spiaggia, resterete sorpresi da quante cose si possono ammirare anche fuori stagione, immergendosi in veri e propri set cinematografici. Stessa cosa accadrà ad Erice, Bonagia, Custonaci, tutte località che si possono scoprire in una mezz’oretta di macchina dal nostro comune.

Per portarvi dentro questo straordinario itinerario nei luoghi da cinema abbiamo aperto la pagina di wikipedia dedicata, ma paradossalmente, è risultata incompleta, perché abbiamo scovato tanti altri film che vede protagonista il nostro territorio.
“Maltese: il romanzo del commissario” è stato girato nei comuni dell’agro-ericino e nel centro storico di Trapani. Diversi mesi di permanenza dell’intera troupe hanno mandato in visibilio i fan degli attori protagonisti, tra cui il bellissimo Kim Rossi Stuart.
Come si vede in questi scatti dal sito recensito.net Trapani è ritornata negli anni ’60. Giusto per il tempo di terminare la serie tv.

Basta guardare il trailer dell’ultimo film di Pif “In guerra per Amore” per fare un viaggio ad occhi aperti tra Erice e Custonaci (passando per New York!).
Erice e Custonaci diventano magici nel periodo natalizio, con i mercatini di natale e il famosissimo Presepe vivente. 

E mentre la stagione 2016 volgeva al termine, Baia Santa Margherita e la Riserva dello Zingaro si riempivano di tecnici, attori, costumisti provenienti dall’olimpo del cinema.
Rooney Mara e Joaquin Phoenix hanno preso le sembianze di Maria Maddalena e Gesù nel film di produzione americana dedicato alla figura religiosa femminile più controversa.

Se è vero che Il Commissario Montalbano “ha la residenza” tra Scicli, Ragusa, Modica, è pur vero che Luca Zingaretti è di casa a San Vito Lo Capo sia grazie a un episodio della serie Tv sia al film “Cefalonia” del 2005 in cui la Tonnara di San Vito Lo Capo, la Riserva dello Zingaro, e diversi altri luoghi magici, fanno da scenografia naturale ad una delle più importanti pagine della storia recente.
Viola di mare (2009), Giovanni Falcone (2006), Nuovo Mondo (2006), My name is Tanino (2002) ci portano fino al 2000 dove un giovane Gian Marco Tognazzi, in Prime luci dell’alba, dovrà fare i conti con l’omicidio dei genitori uccisi per mano mafiosa.
San Vito Lo Capo appare già nella locandina (e per fortuna si tratta di una trama di fantasia):

Un salto indietro di 10 anni per arrivare a “Stanno tutti bene” di Giuseppe Tornatore con un grande Marcello Mastroianni.
Grazie al sito cineprospettive.it abbiamo due diversi fotogrammi su Macari e Baia Santa Margherita.

E che dire della celeberrima serie tv “La Piovra”? Andata in onda dal 1984 al 2001 è praticamente un catalogo per i luoghi turistici della provincia di Trapani.
Volendo spingerci in direzione Palermo (ma restando ancora in Provincia di Trapani), non possiamo non pensare a Ocean’s Twelve diretto da Steven Soderbergh (con interpreti del calibro di George Clooney e Brad Pitt, solo per citarne due); girato alla Tonnara di Scopello, la location è davvero mozzafiato per il suo mare, ma anche, e soprattutto, per la struttura e la storia che racconta, una storia fatta di riti, tradizioni, fatiche, cultura.
Ecco un frame del film.

C’è un luogo, che dista qualche km in più da San Vito Lo Capo, ma conserva un fascino senza tempo. Chi conosce Poggioreale, distrutta durante il terremoto del 1968, sa che conserva ancora intatto il tessuto urbano.
Poggioreale è spesso set cinematografico e tra i film che hanno preso vita tra le rovine ci sono due capolavori di Giuseppe Tornatore: L’uomo delle stelle e Malèna.

Chi visita la Sicilia Occidentale e ha voglia di inoltrarsi in un percorso che arrivi fino alla Provincia di Palermo, non potrà fare a meno di visitare Bagheria, Palazzo Adriano, Palermo città, location dei film di Tornatore (tra i più celebri, Nuovo cinema Paradiso), ma anche di pellicole storiche come, ad esempio il Gattopardo.

Non vi resta che scegliere quali storie rivivere e di quale personaggio del cinema ripercorrere i passi.
Un territorio magico vi sta aspettando!