31 ago 2016

"Palermo come nessun'altra in Europa": "The Guardian" si innamora della città

"Palermo come nessun'altra in Europa": "The Guardian" si innamora della città


Il noto quotidiano britannico pubblica un ampio servizio sul capoluogo siciliano, esaltandolo: "Crocevia del Mediterraneo, set cinematografico dall'architettura imperdibile". Il paragone con L'Avana“

"Palermo come nessun'altra in Europa": "The Guardian" si innamora della città
„L'autorevole quotidiano britannico The Guardian dedica a Palermo un servizio ampio e molto interessante che riparte da quanto conosciuto e che elenca, a partire dal riconoscimento Unesco nel 2015 di Palermo arabo normanna, tante eccellenze artistiche, monumentali, ambientali, ricettizie, della cucina aggiungendo delle notazioni nuove, specie nella parte del testo in cui assimila alcune zone di Palermo al cuore de L'Avana, divenuta oltreoceano riferimento di flussi turistici straordinari come quelli che si registrano in questi ultimi anni a Palermo."Palermo come nessun'altra in Europa": "The Guardian" si innamora della città

"Palermo è come in nessun'altra città in Europa - scrive il quotidiano britannico -. E' il crocevia del Mediterraneo: ha creato un mix frizzante di cibo arabo, strade spagnole, torri normanne. Il centro storico è ricco di palazzi barocchi. Le famiglie vivono sulla loro porta di casa, come nei film degli anni Cinquanta. La vita di strada è vibrante in ogni angolo. Il parallelo più vicino è probabilmente con L'Avana, un'altra decadente ex colonia spagnola piena di fantasmi, storie ed eroi. Non è mai troppo tardi per visitarla, con il suo lungo e caldo autunno".

"E’ la conferma – dichiara il sindaco di Palermo Leoluca Orlando - della visione e del progetto di una città che sappia coniugare radici e ali, che sappia uscire dall'isolamento soffocante e provinciale, che sappia coniugare vivibilità e sviluppo economico; e' autorevole conferma della ormai forte e crescente internazionalizzazione di Palermo e del suo riferimento come città dell’accoglienza e dei grandi flussi turistici”.

(da www.palermotoday.it)



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E’ LA SICILIA LA TERZA ISOLA PIÙ BELLA AL MONDO

La Sicilia terza isola più bella al mondo, in assoluto. A stabilirlo sono i lettori di una celebre casa editrice, la “Condè Nast S.p.a” che ha la sua sede in P.zza Castello a Milano.

“L’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra. Chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”. Con queste parole Goethe rende omaggio, alla Sicilia nel suo “Viaggio in Italia”, pubblicato nel 1817. La Sicilia ha sempre ispirato ai suoi più famosi visitatori versi e parole che ne esaltano il fascino e la bellezza. 

Nel terzo millennio è considerata ancora una delle isole più belle dell’intero pianeta. Il golfo di Patti e Tindari, l’Etna, Mondello, Agrigento, Taormina, lo Stretto di Messina, la Scala dei Turchi, Modica, la costa jonica e tirrenica, Cefalù sono solo alcuni dei luoghi che contribuiscono a rendere l’isola tra le più suggestive e interessanti. 

(da www.siciliabook.it)

Trapani sarà la location del film “Maria Maddalena”


Ancora una volta Trapani scelta per un nuovo film

La Lotus production realizzerà in Italia la produzione esecutiva per il film dal titolo “Maria Maddalena” che sarà prodotto dallaWater Produtions Limited e dalla Spirit Film Productions Pty Ltd.

Il film ripercorre la vita di Maria Maddalena, quindi ambientato al tempo di Gesù Cristo, nel periodo che lo vede accompagnato dai suoi apostoli. Sarà realizzato interamente in Italia, le riprese in Sicilia sono previste nel mese di ottobre 2016.

L’unica provincia siciliana ad essere interessata alle riprese è la provincia di Trapani. Oltre Trapani le aree principali sono: Riserva Monte Cofano – Tonnara del Secco – Erice – Riserva dello Zingaro – Spiaggia San Vito Lo Capo.

La preparazione ha avuto inizio per i diversi reparti a partire dal 29 agosto 2016. Le riprese sono previste nel periodo che va dal 3 al 30 ottobre 2016.
Trattandosi di un film per il cinema di portata internazionale, il territorio trapanese avrà certamente grande visibilità e legherà alla memoria dei luoghi un film che realizza un’importante ricostruzione storico-culturale della nostra civiltà.

L’Amministrazione Comunale ha già dato la propria disponibilità a fornire i necessari servizi e a supportare la produzione, tenuto conto non solo della visibilità che ne avrà il territorio, ma soprattutto per il notevole ritorno economico dei vari settori merceologici e dei servizi. Infatti durante il periodo delle riprese la troupe italiana e straniera, che soggiornerà a Trapani, sarà composta da circa 160 persone.

(da www.lagazzettatrapanese.it)

Cose che devi sapere se vai a San Vito Lo Capo



San Vito Lo Capo, che si trova nella Sicilia nord occidentale, è una piccola perla che si affaccia sul Tirreno, in provincia di Trapani. E' una delle zone più belle della Sicilia e se ci vai, non ti puoi perdere una serie di cose che solo qui puoi trovare. Leggi e parti subito!

1. Fai una sosta (prolungata) nella splendida spiaggia caraibica nella baia di San Vito: il mare è una favola, ha i colori dei Caraibi appunto e una sabbia bianchissima. 

2. Tardo pomeriggio dopo il bagno non sai cosa fare? Te lo dico io! Vai a prenderti un gelato rigorosamente al pistacchio di Bronte. Gustalo mentre "sciavatti" lentamente in via Savoia, la via dello shopping.


3. Dedica una serata a Erice, uno dei borghi più belli d'Italia sulla collina sopra Trapani. La città di origini antichissime sta a circa 750 metri sul mare: per questo l'ideale è andarci in una giornata limpida prima del tramonto per una vista favolosa sul golfo e selfie fantastici. Prenota in uno dei ristoranti tra le viuzze del borgo, gusta uno dei piatti tipici (il couscous alla trapanese o le busiate al pesto alla trapanese). Per il dolce devi andare alla pasticceria Maria Grammatico dove la signora Maria sforna cannoli da urlo (e non solo quelli!).

4. La giornata è molto ventosa e non hai voglia di stare in spiaggia? Approfitta per fare una visita alle saline di Trapani, allo Stagnone e all'isola di Mozia, di origine fenicia. E quando sarai sull'isoletta capirai perché i fenici da lì non si volevano proprio spostare, nonostante le continue guerre con i Siculi che da lì li volevano scacciare (ce la fecero nel 397 a.C., ma qualcuno rimase sull'isola, come dimostrano i ritrovamenti archeologici).

5. Se il meteo prevede bel tempo e mare calmo, è opportuno programmare con qualche giorno di anticipo una gita alla Egadi. La partenza in nave avviene da Trapani, ci sono diverse compagnie che fanno il giro passando dall'isola Favignana (cittadina deliziosa, celebre per la tonnara dei Florio) dove ti puoi prendere una granita al limone davvero fantastica nel bar di fianco alla Chiesa Matrice. Da lì si va a Levanzo, la più piccola delle tre, dove farai un bagno in acque blu e trasparenti. A Marettimo in genere il tour non arriva: ci sono però aliscafi che fanno la gita in giornata (non tutti i giorni, informati bene). Ma l'aliscafo non parte se c'è mare troppo mosso, perché l'isola è parecchio lontana dalla costa.

6. Se dici San Vito Lo Capo, dici Riserva dello Zingaro, una riserva naturale dove puoi arrivare solo camminando (l'auto la lasci al parcheggio da dove parte il sentiero per le baiette). Da San Vito puoi arrivare fino a Scopello, ma ricorda: sono 7 km andata e 7 al ritorno e sotto il sole cocente della Sicilia può essere molto faticoso. Un avvertimento: vai con scarpe chiuse, scendere alle baie non sempre è facilissimo. Una baia vicina Cala dell'Uzzo: pietre bianche, mare cristallino, ma ci devi arrivare presto perché, essendo una delle prime, è presa d'assalto. Ricorda: all'interno della riserva non ci sono chioschi. Porta con te acqua e cibo se vuoi passare la giornata lì. Se non ami camminare, puoi scegliere di fare una gita in barca: dal porto di San Vito ci sono diversi tour che percorrono tutta la riserva per mare, fino ai Faraglioni di Scopello. Ti fermi a fare il bagno, vedi spiagge fantastiche e ti mangi pure il pane cunzato, una specialità gustosissima della zona: pane, pomodoro, acciuga formaggio primo sale, olio, sale e pepe.

7. Se vuoi andare a Segesta e a Selinunte fallo, ma parti molto presto al mattino:camminare tra le rovine greche con il sole alto e senza un filo di brezza può essere davvero tremendo.

8. Se sei arrivata in aereo da Palermo, l'ideale sulla via del ritorno è fare una sosta a Scopello, un borgo molto carino con il suo piccolo baglio. Da lì vai a Castellammare sul Golfo: il castello normanno vale la pena e lungo la via principale ci sono una serie di locali dove ti puoi prendere un'insalata buonissima con arance e noci, condita con un aceto balsamico speciale, a base di succo d'uva. Deliziosa.

(da www.cosmopolitan.it - di Stefania Sperzani)

Testa di Moro: mai tradire una Siciliana



La Testa di Moro è un oggetto caratteristico della tradizione siciliana. Si tratta di un vaso in ceramica dipinta a mano utilizzato come ornamento che raffigura il volto di un Moro e talvolta di una giovane donna di bell’aspetto. 

Un’antica leggenda narra che intorno all’anno 1100, durante il periodo della dominazione dei Mori in Sicilia, nel quartiere Kalsa di Palermo, viveva "una bellissima fanciulla dalla pelle rosea paragonabile ai fiori di pesco al culmine della fioritura e un bel paio di occhi che sembravano rispecchiare il bellissimo golfo di Palermo". 

La ragazza era quasi sempre in casa, e trascorreva le sue giornate occupandosi delle piante del suo balcone. Un giorno si trovò a passare da quelle parti un giovane Moro, che non appena la vide, subito se ne invaghì e decise di averla a tutti i costi. Quindi senza indugio entrò in casa della ragazza e le dichiarò immediatamente il suo amore. 

La fanciulla, colpita da tanto ardore,ricambiò l’amore del giovane Moro, ma ben presto la sua felicità svanì non appena venne a conoscenza che il suo amato l’avrebbe presto lasciata per ritornare in Oriente, dove l’attendeva una moglie con due figli. Fu così che la fanciulla attese la notte e non appena il Moro si addormentò lo uccise e poi gli tagliò la testa. 

Della testa del Moro ne fece un vaso dove vi piantò del basilico e lo mise in bella mostra fuori nel balcone. Il Moro, in questo modo, non potendo più andar via sarebbe rimasto per sempre con lei. Intanto il basilico crebbe rigoglioso e destò l’invidia di tutti gli abitanti del quartiere che, per non essere da meno, si fecero costruire appositamente dei vasi di terracotta a forma di Testa di Moro. 

Ancora oggi nei balconi siciliani si possono ammirare Teste di Moro spesso denominate anche"Teste di Turco" di pregevole fattura, un simpatico monito per tutti i mariti!

(da www.siciliafan.it)

30 ago 2016

Il corallo trapanese oro del Mediterraneo


Il corallo trapanese oro del mediterraneo. Il corallo mediterraneo sebbene conosciuto ed apprezzato fin dall’antichità, soltanto nel XIV secolo divenne un articolo di grande interesse economico a seguito della scoperta di nuovi banchi nella zona di Trapani, che resero la città un porto di riferimento per il commercio del corallo tra l’oriente e l’occidente. Mercanti ed artigiani ebrei che avevano già creato una rete di trasporti nelle maggiori città costiere, si stabilirono a Trapani usufruendo di esenzioni daziarie sul pescato concesse da Federico III nel 1314, e crearono una delle reti commerciali più interessanti del medioevo. 

Il corallo poteva essere commercializzato grezzo o lavorato e quest’ultimo in particolare aumentava notevolmente gli utili degli investitori che in breve tempo organizzarono dei veri e propri laboratori avvalendosi di artigiani del luogo. Il corallo quindi veniva pescato e poi distribuito agli artigiani o agli scultori in base alla forma ed alla qualità. I pezzi più grossi e preziosi venivano affidati a veri e propri maestri scultori che ne realizzavano opere religiose commissionate dalle chiese, o regali di nozze per famiglie aristocratiche, ma anche presepi, scrigni o reliquari. 

Il corallo normale veniva invece lavorato in maniera seriale creando dei cilindretti levigati o piccoli grani da utilizzare per la decorazione di oggetti o per la creazione di monili, e lo scarto veniva infine venduto agli speziali che lo impiegavano in alcuni preparati medicali. Più il commercio era fiorente e più la città si urbanizzava, si trasferirono infatti intere famiglie di svariate provenienze perfino islamiche. Convivevano diverse civiltà pacificamente nel comune interesse del commercio e della lavorazione del corallo, fino a quando nel XVI secolo gli ebrei furono espulsi da Trapani. 

I loro figli ormai integrati e convertiti rimasero e crearono insieme ai cristiani la prima struttura consolare dei corallai. La corporazione dei maestri corallai si arricchiva soprattutto grazie al lavoro dei maestri scultori che realizzavano opere vendute a prezzi elevatissimi, e dei lavoranti artigiani che producevano la quantità dei semilavorati. 

Nei primi del ‘600 gli scultori del corallo stanchi di essere dei sottoposti rivendicarono all’interno dell’associazione il diritto di poter commercializzare le loro opere autonomamente tutelati da una speciale licenza che ne riconosceva il ruolo. Fu proprio in quel periodo che furono realizzatele più preziose e raffinate opere commissionate da tutta Europa, e proprio quelle ad essere considerate oggi le più interessanti dai musei e dai collezionisti privati. 

Nel XVIII secolo il corallo trapanese cominciò ad esaurirsi determinando un cambiamento nell’ambito dell’artigianato consistente nell’abbandono del corallo e l’introduzione di nuove materie semi preziose quali l’avorio, la tartaruga, l’ambra, l’onice e l’alabastro. Oggi a Trapani sono rimasti pochi laboratori per la lavorazione del corallo dove maestri scultori insegnano ancora le tecniche di una volta a coloro che volessero apprendere questa antichissima e meravigliosa arte.

(da www.siciliafan.it)

LA LEGGENDA DEL PRETE FANTASMA


Una leggenda popolare ericina, tratta dall’omonimo libro di leggende dell’illustre filosofo e storico cittadino Vincenzo Adragna, riscosse gran successo all’epoca della sua pubblicazione nel 1980

Vincenzo Adragna, classe 1928, fu un ericino erudito e studioso instancabile che dedicò la sua esistenza alla cultura ed alla ricerca, con un’esperienza quarantennale alla direzione della biblioteca e nel museo di Erice.

La fantasiosa storia di cui diremo, dal tipico sapore noir, si attaglia perfettamente a quell’atmosfera quasi sospesa e piena di suggestioni che solo ad Erice, luogo di sua ambientazione, possiamo ritrovare.

Questa leggenda popolare ericina racconta che una donna di nome Maria, una mattina, si svegliò ai rintocchi della campana di una vicina chiesa.
Le campane annunciavano l’inizio della prima messa, a cui Donna Maria teneva ad essere presente ogni mattina.
Si affrettò dunque per far in tempo ad assistere alla funzione non avendo il tempo di sbrigare le solite faccende domestiche.

Così, vestitasi in tutta fretta, ebbe solo il tempo di dar da mangiare alle sue galline, di prendere il suo mantello e di avviarsi in fretta verso la chiesa.
Uscendo di casa si meravigliò del fatto che il cielo quella mattina era ancora nero, di un buio pesto, tanto che sembrava ancora notte. Giunta in chiesa, si accorse che non c’era ancora nessuno perché come sempre era lei la prima ad arrivare, allora cominciò a recitare il rosario in perfetta solitudine, finché non ebbe inizio la messa.

Ma Maria si accorse ben presto che quella mattina e quella stessa messa avevano qualcosa di molto strano. Era insolito, infatti, che non vi fosse nessuno quando la messa era già iniziata; la cosa si fece ancora più curiosa quando la donna si rese conto di avere assistito da sola e che oltretutto non c’era il solito parroco a concelebrare, ma un prete a lei sconosciuto, che iniziò una messa funebre.

Al termine di quella strana funzione la donna tornò a casa e cominciò a sbrigare le faccende di casa: il bucato e poi il pane e mentre aspettava che la pasta del pane lievitasse, tornava con la mente a pensare a quella strana messa a cui aveva assistito, al modo in cui si comportava il sacerdote e a tutte le altre stranezze di quella mattina.

Più tardi, quando stava per sfornare il pane, la campana della vicina chiesa suonò nuovamente, quindi la donna lasciò il pane e si avviò verso la chiesa perché, secondo quanto segnalava la campana, una nuova messa stava per iniziare. Arrivata in chiesa vide che questa volta, c’era il solito parroco a celebrare. Alla fine della messa, la donna sempre più meravigliata e incuriosita, raccontò al parroco di quella strana messa a cui aveva assistito e dello strano modo di comportarsi che aveva avuto il sacerdote.

Il parroco, ascoltato il racconto della donna trovò che tutto ciò era un gran mistero, poiché rivelò a Maria che proprio nessuno quella mattina aveva detto la messa al suo posto. La donna non avendo ottenuto chiarimenti, ma solo altri dubbi inquietanti, ritornò a casa sempre più perplessa e pensosa. Dopo qualche mese, in una notte di tempesta, accadde che la finestra della casa del sacerdote si aprì per il forte vento ed il prete, qualche minuto dopo, all’incirca a mezzanotte, sentì le campane della sua chiesa suonare ed annunciare una messa.

Il parroco allora, preso dalla curiosità e ricordandosi ciò che gli aveva detto quella donna tempo prima, si vestì di corsa e andò subito in chiesa. Giunto in chiesa, salì dove c’era l’organo e da lassù vide due fiammelle scaturire da una tomba, poi improvvisamente il sacerdote e il sacrestano uscirono e incominciarono la messa.

Ma quella, proprio come aveva raccontato Maria parlando della sua strana esperienza, era una messa funebre, quindi da quel preciso istante il parroco capì che quella era la cosiddetta messa del “prete morto”. Si trattava di una funzione fantasma poichè, dice la leggenda, un prete morto improvvisamente secoli prima, non aveva potuto recitare tutte le messe per i defunti che gli erano state ordinate.

Restava il mistero di chi fosse quel prete, che finita la messa scomparve di colpo ed in quale tempo questi fosse vissuto. Tutto restava un enigma, come avvolto tra le fitte nebbie di Erice.
Da quel giorno, ancora oggi, si narra ad Erice che qualche volta l’anima di quel misterioso parroco e quella del suo sacrestano tornino in quella chiesa a celebrare una messa funebre.

(da www.eventitrapani.it - a cura di Michele Di Marco)

IL MONTE BONIFATO E LE SUE LEGGENDE


Il Monte Bonifato, posizionato nell’entroterra del Golfo di Castellammare, tra la vallata del Fiume Freddo (a ovest) e il Fiume Jato (a est), è un rilievo alto 825 metri, alle cui pendici si estende il territorio di Alcamo

Sulla vetta del Monte sono visibili i resti di un’ampia cisterna detta “Funtanazza”, un’antica opera architettonica che si ritiene abbia avuto la funzione di serbatoio idrico e deposito di viveri.

Vi è poi una porta, detta Porta della Regina, che lascia supporre l’esistenza di una cinta muraria e quindi di un’antica città, che secondo Licofrone, il poeta tragico ed erudito greco, si chiamava Longuro o Longarico.

Non vi sono fonti storiche certe che parlino di costruzioni sul Monte Bonifato prima del XIV secolo, solo nel 1332 si ha notizia che Federico III tentò di ripopolare il Bonifato, iniziando ad edificare sulla sua cima un castello. Mentre nel 1398 è già documentato, con la formula latina dell’epoca medievale, un castrum bonifati, costruito o ricostruito da Enrico Ventimiglia, feudatario a quel tempo del territorio di Alcamo, che venne poi distrutto per ordine di Re Martino.

Il castello, con tutta certezza, venne fabbricato nei primi decenni del XIV secolo con una malta bianca: “la trubba”, una pietra locale costituita da calcare e argilla. Dell’antico castello oggi restano in piedi i ruderi distribuiti attorno alla corte, a pianta triangolare, ai cui vertici sono posizionate tre torri per la difesa, più una mediana, sul lato nord.

A difesa del fortilizio, che presentava quattro torri originarie,
oggi rimane il mastio, un robusto torrione, a pianta rettangolare, dotato di feritoie a toppa, vi erano poi dei fossati da varcare legati alla presenza della stessa cisterna, che si trova al di sotto di un’antica chiesa, possibile sito originario di antichi culti pagani, come quello di Demetra, già attestato nel territorio di Alcamo.

Un atto notarile di tal notaio Balduccio del 1558, è il primo documento che attesta la presenza di una chiesa eretta da “antico tempo” dentro il castello di Bonifato.

Ma si ha notizia che già, anni prima, esisteva sul Monte un luogo di eremitaggio tenuto da preti secolari dediti ai ritmi severi di una vita ascetica. Pochi decenni dopo la chiesa, venne abbandonata e divenne rifugio di bestiame, e fu poi ricostruita dai frati Carmelitani e pochi anni dopo, nuovamente abbandonata.

Secondo una caratteristica cultural-popolare tipica del pensiero e dell’immaginario umano collettivo, riscontrabile a tutte le latitudini e preso tutte le culture, i luoghi elevati, posti in particolari alture, così come colline e montagne d’ogni sorta, sarebbero dimora di esseri leggendari, di forze sconosciute, di spiriti e divinità varie e si presterebbero meglio ad essere sede di storie e leggende popolari. In Sicilia poi, questa tradizione è da sempre stata particolarmente connaturata con la cultura popolare ed il suo folclore tipico, così sin dalle origini, già per i primi popoli che l’abitarono, i monti sono quasi sempre stati visti come dimora di misteriose creature, sede di leggende e di favolosi miti, di tesori nascosti, di “truvature”, di incantesimi e di manifestazioni soprannaturali.

Allora, proprio sulla cima del monte Bonifato, una leggenda popolare ha collocato una favolosa grotta, colma di monili e monete, oggetti d’oro sorvegliati dal cosiddetto ‘u turcu. Si racconta poi che ai piedi del Monte, in c/da Roccaliscia, vivevano tre cavalli d’oro che si mostravano agli occhi dei curiosi soltanto di notte.

Inoltre una leggenda popolare alcamese racconta di una fata chiamata Delia, la quale abitava nei pressi della “Funtanazza” e che custodiva una truvatura, cioè un favoloso tesoro, nel grembo di una grotta, in stretta relazione alla leggenda della grotta custodita dal “turcu”.

Delia era: “una bona fata, bedda comu lu suli, bianca comu lu latti di carnagione e cu ‘du masciddi comu du rosi avvilutati. Ora c’era un viddanu, cu ’n figghiu, picciutteddu bonu e graziusu di facci, chi abitava in un pagghiaru (una casa costruita con canne), ‘un tantu arrassu di la turri (la torre del castello).
I due giovani si incontrano, inizia un corteggiamento a suon di “friscalettu” (fischietto di canna), nasce l’amore.

I due giovani si sposano ed il giovane, sposo della fata bona, diventa un fatu bonu, bonu fatu.

Dunque, il giovane figlio del contadino, innamorato della buona fata Delia, sposatosi con le diventa un “bonu fatu”, dalla cui espressione sembrano sentirsi le radici del nome del Monte Bonifato, tanto che si può dire che è per questo preciso motivo, ispirato alla leggenda del giovano innamorato di Delia, divenuto un bonu fatu, che la “Muntagna” oggi si chiama proprio Bonifato. Numerosi sono poi i classici “cunti” che ad Alcamo sono legati a fantomatiche “truvature” in questo caso legati a tesori islamici, nascosti in vecchie case abbandonate o sullo stesso monte Bonifato.

A questo proposito, vi era l’antica usanza, per cui quando giungevano i cosiddetti tempi delle vacche magre ed i morsi della fame non davano tregua, o in vista di un pericolo imminente, si mettevano al sicuro i pochi averi, ori e monete, sotterrandoli o nascondendoli in un posto sicuro, con la speranza di tornare a recuperarli in tempi migliori o al ritorno da guerre o lunghe assenze.

Questa usanza tipica siciliana poi, nei secoli successivi, diede vita alla convinzione immaginifica di un custode dei propri averi, della “roba”, che prese forma e corpo nella fantasia popolare, dando così avvio alla tradizione delle “truvature”, leggende di tesori nascosti, spesso protetti da una figura leggendaria e favolistica, come per la fata del Bonifato, legata più alla fantasia del folclore popolare che alla ragione della mente che queste leggende partoriva.

(da www.eventitrapani.it - a cura di Michele Di Marco)


FAVIGNANA... L’ ISOLA DELLA CALCARENITE



Fin da tempi remoti, l’isola di Favignana è stata scavata in lungo e in largo per estrarre la Calcarenite (pietra porosa chiamata impropriamente Tufo)

Grazie alla durezza, compattezza e duttilità ottimali per l’edilizia, tutto il centro abitato e buona parte del lato orientale dell’Isola, sono stati scavati per esportare questo materiale in diverse località del Mediterraneo.

La produzione di “cantuna” (conci di calcarenite) è stata una tra le attività più antiche e tipiche di Favignana; Essa rappresentava l’unica fonte continua di lavoro per gli abitanti dell’isola, non soltanto per i “Pirriaturi” (così venivano chiamati i cavatori) ma anche per trasportatori sull’isola, con le barche per la terra ferma, cantieri edili, artigiani. Curioso è il perché i conci di tufo ( di dimensioni prestabilite di 25 x 25 x 50 cm) venissero chiamati “Cantuna”.

E’ utile, al fine di spiegare ciò, chiarire che, specie con le antiche tecniche d’estrazione, scolpiti con attrezzi a mano, appesi alle pareti di cava, i conci di tufo non risultavano tutti idonei all’utilizzo nell’edilizia; infatti, a volte potevano essere lesionati internamente.

Pertanto, l’unico modo per controllarne la bontà, era dare un colpetto con un attrezzo di ferro e ascoltare il rumore che questo colpo emetteva.

Se questo rumore era tonfo, privo di vibrazioni, il concio era da scartare, mentre se il suono era un tintinnio armonico, come a sembrare un canto, il concio era promosso ad essere un “Cantuni”!

Tale attività ha modificato la morfologia del territorio, dando vita ad un’architettura unica al mondo nell’adattare archi e volte in condizioni sempre diverse e dalle configurazioni mai uguali tra di loro (architettura dello “scava e riempi”).

Il retaggio culturale legato alle Cave di Calcarenite è un patrimonio di inestimabile valore storico. Non sempre viene tenuto in degna considerazione, ma esistono delle eccezioni fatte da persone che ne hanno salvato la ricchezza e che, oltre a portarle all’attenzione dei visitatori, ne hanno fatto, ancora una volta, un lavoro per se e per gli altri.

Primo tra tutti, ad unire creatività e pietra sull’isola, è stato Rosario Santamaria, conosciuto come “u Zu Sarino”, definito un eccentrico artista autodidatta.

Egli conosceva bene la Calcarenitre, in quanto da giovane aveva lavorato nelle cave di Favignana.

Con grande abilità riusciva a trasformare blocchi di tufo in teste suggestive ed espressive.

Il suo “laboratorio” era il porto, dove lo si vedeva sempre intento a lavorare. Con le sue opere divenne uno dei personaggi più caratteristici di Favignana. È scomparso nel 1992, la sua “eredità artistica” è stata raccolta da un altro artista autodidatta, il maestro Antonino Campo, che continua tutt’oggi.

La calcarenite ha sempre avuto un alone di mistero misto a magia, almeno a quanto ci è stato tramandato dai cavatori di pietra, i quali le conferivano proprietà miracolse, donando loro forza e vigore; inoltre veniva utilizzata anche per le sue proprietà curative.

La “Sabbia magica di Favignana”, come ogni leggenda, ha un fondo di verità. Infatti ha proprietà curative se usata come antiemorragico.

(da www.eventitrapani.it - a cura di Vincenzo Campo)


LA RISERVA DELLE SALINE DI TRAPANI






















Tra le svariate ricchezze naturali che caratterizzano il nostro territorio non può certamente non citarsi la pittoresca riserva naturale della saline di Trapani, madre di una secolare tradizione che ancora oggi arricchisce questa terra del suo pregiato “oro bianco”.

Tutt’intorno alla riserva è una sinfonia di colori naturali che si sposano armoniosamente col verde naturale incontaminato, col bianco lucente delle montagne di sale e col rosa dei fenicotteri che, insieme ad altre numerose specie di uccelli migratori in questa oasi naturale trovano quiete.

Dall’uno e l’altro lato, separato da una cintura di montagne di sale coperte con le tradizionali “ciaramire”, l’unico respiro di artificialità è costituito dalla strada che conduce a Marsala attraverso quella che è anche nota come “via del sale”.

Ma perché il sale di Trapani dovrebbe essere migliore? Diverse sono a tal proposito le varietà di sale prodotte, caratterizzate a seconda dei venti a cui sono esposte e per la qualità dei suoli delle vasche dove il sale si concentra.

In particolar modo, il sale che si forma nel centro della vasca salante ha sempre dei cristalli molto grandi ed è il sale più pregiato, mentre quello che si deposita nei bordi è un sale molto più fino ma generalmente meno pulito.

Sia il sale che viene prodotto per precipitazione che quello da superficie, viene raccolto con la massima cura e nel modo più pulito possibile e viene confezionato cosi com’è senza nessun tipo di lavorazione ad eccezione fatta che per la molitura a rulli delle qualità fini.

Basti pensare che, per esempio, il magnesio “vivo” ed il potassio del sale marino integrale, sono molto più preziosi di tanti sali inorganici in vendita nelle farmacie; il sale integrale infine, a differenza di quello raffinato, contiene almeno 70 delle 84 sostanze che sono presenti nell’acqua di mare.

Una ricchezza inestimabile insomma, ma non in termini semplicemente economici, quanto più naturali e soprattutto storici, che incrementa indubbiamente la qualità e l’unicità di questa terra fantastica.

Le saline di Trapani oltre che per la loro inestimabile produttività, sono anche fonte di ispirazione per fotografi ed aspiranti tali, ma soprattutto una meta obbligatoria per i turisti.



(da www.eventitrapani.it - a cura di Noemi Ferlito)



CASTELLAMMARE DEL GOLFO E LE SUE SPIAGGE


Castellammare del Golfo è uno degli immancabili appuntamenti col patrimonio turistico del territorio trapanese

Incastonato in un tratto di costa eterogeneo che spazia da alte pareti rocciose sino a spiagge sabbiose e meravigliose e caratteristiche calette, deve il suo nome al singolare castello che da secoli domina incontra le acque cristalline che lambiscono le sue pregevoli coste. 

Il pezzo forte di questa meravigliosa località turistica sono indiscutibilmente le sue spiagge, così amene da essere in grado di calamitare ogni anno durante la stagione estiva migliaia di turisti che scelgono questo magnifico scorcio di Sicilia per trascorrere le proprie meritate vacanze al mare: per stimare minimamente la bellezza dei posti di cui stiamo parlando basterà pensare al semplice fatto che l’area balneare in considerazione è delimitata ad oriente da Capo Rama, mentre ad ovest da San Vito lo Capo.

La spiaggia più estesa è la Playa. Distante circa un chilometro e mezzo dal centro urbano, la Playa (così è nota) è la più lunga distesa sabbiosa del castellammarese.

E’ ben collegata al centro urbano dai servizi pubblici, ma a giudicare dal paesaggio e dalla bellezza del posto non dovrebbe essere spiacevole nemmeno raggiungerla a piedi, o magari durante una intesa fase di jogging mattutino. Nel periodo estivo viene messo a disposizione di chi vuol usufruirne un trenino che fa capolinea al porto e che consente ai suoi passeggeri di godere di un singolarissimo giro panoramico.

Il carattere lindo e calmo delle acque della Playa, la manutenzione costante, nonché la presenza di stabilimenti balneari attrezzati, sono soltanto alcuni dei fattori eccezionali che legittimano il motivo per cui essa risulti frequentata soprattutto da famiglie con bambini.

Tra le più importanti spiagge del castellammarese non possono non nominarsi Scopello e Guidaloca, facilmente raggiungibili dal centro urbano, sia tramite mezzi pubblici che attraverso un breve viaggio in auto (della durata di circa cinque minuti).

Il lido di Scopello si trova nei pressi della Riserva Naturale Orientata dello Zingaro, un luogo naturalistico di grande pregio e rara bellezza. Se la natura incontrastata tutt’ intorno dà l’impressione di vivere dentro una meravigliosa tela d’autore, altrettanto favolosi risultano i fondali marini, meta eccezionale per tutti gli amanti di immersioni.

Esattamente di fronte alla affollatissima spiaggia si possono ammirare gli imponenti faraglioni di Scopello, scogliere meravigliose che rendono il paesaggio ancora più suggestivo. Imperdibile la visita guidata all’ antica tonnara, luogo unico ed eccezionale dove assaporare una delle più intense pagine della storia e della cultura della Sicilia marinara.

A pochissima distanza dalla già citata spiaggia di Scopello si può raggiungere la piccola ma caratteristica “baia di Guidaloca”, una striscia di ciottoli di circa 400 metri che termina ad occidente con una antichissima torre di guardia risalente al XVI secolo.

In questo tratto di costa le acque sono particolarmente cristalline ed assieme alle numerosissime grotte marine che punteggiano il litorale roccioso, rendono la costa ancora più affascinante e misteriosa.









(da eventitrapani.it - a cura di Noemi Ferlito)


2 ago 2016

Scoperto il più antico granaio islamico del Mediterraneo occidentale


Secondo gli archeologi che hanno scavato si tratta di un granaio fortificato collettivo (Aghadir) datato al periodo islamico, «un caso unico in Italia - spiega l'archeologa Rossella Giglio, dirigente della sezione archeologica della Soprintendenza ai beni culturali di Trapani - è il più antico sito islamico di questo tipo nel Mediterraneo occidentale».

La scoperta è stata fatta su Pizzo Monaco, nel territorio di Custonaci, sul versante che si affaccia a Castellammare del Golfo, nell'ambito della terza campagna di scavi archeologici, realizzata in par tnership tra Soprintendenza ai beni culturali di Trapani, Università di Granada, Palermo, Padova, Córdoba, Sheffield.

L' insediamento trovato è un posto di rifugio sulla cima calcarea della montagna. Già nel 2012 uno scavo aveva confermato l' alto potenziale archeologico dell' insediamento.

(da trapani.gds.it - di Max Firreri)