23 giu 2016

Matteo Bonello e la sua Spada inchiodata sul portone del Palazzo Arcivescovile di Palermo



Sul piano della Cattedrale di Palermo si trova anche il Palazzo Arcivescovile. Posiamo il nostro sguardo sul portale principale e precisamente osserviamo l’anta destra del portone: a circa tre metri di altezza, si trova l’elsa di una spada. E’ quanto rimane dell’arma con cui Matteo Bonello, signore di Caccamo, uccise il primo ministro del Re Guglielmo I, Maione di Bari.Come mai l’arcivescovo sentì il bisogno di inchiodare la spada di Bonello sulla porta del suo palazzo?

Facciamo un salto indietro nella storia: Guglielmo I, tutto preso dai suoi piaceri dell’harem e della tavola, regnava con lo sfarzo e il distacco di un sovrano orientale; il governo effettivo era nelle mani del pugliese ammiraglio Maione, che doveva fronteggiare la pericolosa irrequietezza dei nobili e dell’alto clero. Nel 1168 l’arcivescovo Ugo si mise alla testa di una congiura che aveva come obbiettivo la detronizzazione di Guglielmo I, l’ insediamento di Guglielmo II (ancora bambino )e la presa effettiva del potere da parte di un comitato di nobili presieduta dell’arcivescovo.

Per difendere il Re ed anche se stesso, Maione di Bari tentò di avvelenare il prelato. Gli fece propinare una dose di arsenico, che però non risultò mortale. Impaurito dall’insuccesso cercò di ripetere il colpo con medici di sua fiducia e medicine truccate: ma Ugo non abboccò e, pur debolissimo, fece avvisare Matteo Bonello (capo militare della congiura). Bonello, tra l’altro, aveva un buon motivo per volersi sbarazzare di Maione: fidanzato della figlia, non intendeva più sposarla, essendo nel frattempo entrato nelle grazie di una principessa reale.

L’arcivescovo Ugo ebbe la sua vendetta. Bonello, la fosca notte di San Martino tra il 10 e 11 novembre del 1160 a Palermo, tese una trappola a Maione , collocando molti dei suoi fidati all’imbocco della via Coperta, strada che a quel tempo dalla Cattedrale portava fino a Palazzo Reale. L’ammiraglio si trovò circondato e senza via di scampo. Tento di battersi, ma Bonello l’infilzò. Ugo, raggiante, quella spada volle farsela regalare e l’inchiodò sulla porta del suo Palazzo perché fosse di eterno ammonimento al potere politico. Seguì una sommossa di popolo; il corpo di Maione fu consegnato alla folla che lo fece a pezzi; durante i disordini si dette l’assalto alle case degli arabi, si sfondarono le porte degli harem, le donne vennero violentate. Solo allora Re Guglielmo si svegliò dal letargo. Furioso e disgustato organizzò una rappresaglia memorabile, dopo la quale fu soprannominato IL MALO. Se la prese soprattutto con i Baroni che, essendo arrivati dalla Lombardia avrebbero dovuto essere più prudenti con le congiure.Butera, Piazza Armerina e altre colonie lombarde furono passate a ferro e fuoco. Gli stessi mussulmani si occuparono di inseguire Matteo Bonello, che fu arrestato e processato. Per punizione gli furono cavati gli occhi e tagliati i tendini delle braccia e delle gambe. Ridotto un cencio, poco dopo morì. La lama della sua spada fu spezzata, ma l’elsa rimase inchiodata sulla porta dell’arcivescovo e nessuno la toccò.

Ma è bene ridimensionare li fatti e e guardare con molta attenzione l’arma spezzata.
Non serve un attenta analisi per notare subito che l’elsa della spada che è del tipo “a vela”, tipica del XVI secolo. Quindi è fuor di dubbio che non può essere l’elsa con la quale venne ucciso l’ammiraglio Maione. Inoltre antichi scrittori e cronisti, non ne fanno mai menzione, neanche lo scrupolosomarchese di Villabianca. Ci sono due ipotesi che spiegano il fatto:
La prima, che l’arma venne collocata e attribuita a Matteo Bonello verso la fine del 1800, quando venne cambiato il nome alla “salita dell’Angelo Custode” con l’intitolazione all’uccisore dell’ammiraglio, facendo cosi nascere la leggenda.

La seconda, che l’elsa fosse presente già sul portone ma con un altro significato. Ricordiamo, come La Duca riporta che, in periodo feudale, vigeva il “mero e misto imperio”. Privilegio nonché facoltà dei Baroni di procedere al giudizio dei propri vassalli e con lo “ius gladii et necis” avere anche il diritto di spada e morte. Infatti all’ingresso di ogni feudo la forca denotava proprio questa autorità.

Non risultava esonerato di certo l’arcivescovo di Palermo, proprietario anche lui di un ingente patrimonio terriero, e sicuramente anche lui pose le forche all’ingresso dei feudi,ed è molto probabile che volle sottolineare la sua potestà civile e criminale apponendo come simbolo sul suo Palazzo Palermitano un elemento meno macabro delle forche.Proprio lo ius gladi già citato. Di certo per l’attento Villabianca questo simbolo doveva essere di normale amministrazione e quindi non degno di nota. Aboliti successivamente i diritti feudali, forse l’elsa fu dimenticata e nessuno si curò di toglierla. Ma dopo qualche tempo venne notata nuovamente e quindi si cerco di darle un significato ….ed ecco rispolverata su misura la storia tragica di Maione di Bari e del suo carnefice Matteo Bonello.La storia piacque molto, infatti l’elsa è ancora al suo posto ;alcune guide della città non perdono occasione per racontarla ai turisti che, ammirando un’elsa del seicento, ascoltano la storia tragica sulla notte di San Martino del 1160 e dell’ammiraglio di Re Guglielmo I.


(da http://www.blogsicilia.eu)

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