30 nov 2016

IL PORTO DI TRAPANI: DALL'APICE AL TRAMONTO


Il porto di Trapani ha costituito, da sempre, l’epicentro dell’attività economica della città e del territorio. Come scrive lo storico prof. Salvatore Costanza, tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900, lo scalo trapanese aveva guadagnato il sesto posto tra i porti d’Italia. 

«Nel periodo della centralità mediterranea di Trapani (almeno fino alla prima guerra mondiale) i flussi commerciali, periodici e intensi, s’indirizzavano entro i circuiti marittimi tra la Sicilia e la costa maghrebina e, dopo l’apertura del Canale di Suez (1869), si dirigevano anche sulle vie dell’Africa orientale e delle Indie. Il commercio del sale ampliava poi la direzione dei traffici fino ai paesi scandinavi e all’America del Nord, affidando ad una marineria assai qualificata le sorti della navigazione atlantica».

Continua lo studioso, poco dopo, parlando dell'economia del mare:

«Le merci che uscivano sulle navi del traffico internazionale e di cabotaggio erano per lo più il sale, il tonno e il tufo. Queste merci segnavano i 4/5 del movimento commerciale marittimo, con variazioni, in ascesa o in diminuzione, a seconda dei periodi storici più o meno favorevoli. [...]

La maggior parte della produzione derivante dalle mattanze dei tonni, così come quella del sale, passava attraverso il porto di Trapani, alimentando un movimento commerciale che, nel periodo considerato (fine ’800-primo decennio del ’900), aveva collocato lo scalo trapanese al sesto posto tra i porti d’Italia. Una schiera numerosa di marittimi (9000 circa erano gli iscritti nel compartimento di Trapani, oltre ai 1600 pescatori) assicurava il tragitto sulle navi da cabotaggio, o su navigli da traffico internazionale.

Nel 1907 il senatore Giuseppe D’Alì costituì la società di navigazione transoceanica La Sicania (per collegamenti anche con gli Stati Uniti), in un momento in cui la marineria trapanese, forte del prestigio ottenuto in passato con la navigazione a vela, raggiungeva ormai gli approdi dei cinque Continenti.

L’incremento dei traffici marinari, che doveva però esaurirsi all’indomani del primo conflitto mondiale, aveva fatto pensare, nel 1865, alla possibilità di collocare nel porto di Trapani un bacino di carenaggio, a servizio delle numerose navi che transitavano nel Canale di Sicilia. 
Del resto, era vanto della marineria trapanese l’attività dell’antico Arsenale, nel quale si erano formate le maestranze dei calafati e carpentieri che avevano costruito i navigli di piccola velatura e i famosi liutelli, alla cui fabbricazione aveva dedicato, nel ’500, le sue eccezionali doti inventive e di mastro artigiano (era anche un mirabile cesellatore di coralli) quell’Antonio Ciminello ricordato con ammirazione dallo storico Pugnatore.

Alla fine dell’800, un centinaio di operai erano occupati nei sei arsenali che costruivano, in Trapani, barche da pesca (2/5 tonnellate) e da piccolo cabotaggio (14/55 tonnellate), adoperando rovere e pino. Non era però raro il caso che in questi cantieri, di proprietà di piccoli costruttori (Luca e Alberto Bascone, Francesco Paolo De Vincenzi, Giuseppe Greco, Gaspare Frusteri e Pietro Cavasino) si costruissero navigli di maggiore tonnellaggio.

L’iniziativa della costruzione di un bacino di carenaggio nel porto di Trapani era partita dal Comune e dalla Provincia, ed era stata sostenuta dalla Carnera di Commercio ed Arti, tutti enti consapevoli che i problemi dello sviluppo economico della città e del suo territorio dovevano affrontarsi, nel nuovo contesto politico unitario, con una precisa individuazione della funzione mediterranea che la Sicilia estremo occidentale era chiamata ad assolvere.

“Questa parte del Mediterraneo - scriveva infatti Giuseppe Mondini – è destinata storicamente a ridivenire il teatro delle rivalità commerciali e politiche delle nazioni marittime; ed e impossibile che l’Italia si faccia da parte, anche per poco, a costo del suo decoro, del suo interesse, della sua esistenza. Se in questo travolgersi di eventi, più o meno prossimi, ma inevitabili, noi non sapremo preparare tutte le nostre risorse, subiremo le conseguenze della nostra irnprevidenza [....]
Il bacino di carenaggio in Trapani, dove tutte le condizioni di opportunità, di spesa, di risparmio sono favorevoli, non potrà che ritornare a beneficio degl’interessi nazionali”.

Sostenne allora questa proposta, nella discussione che si tenne al Senato, l’ingegnere Pietro Paleocapa, che era anche tra i progettisti della via d’acqua che passava per Suez. Pur avendo ritenuto l’ufficio tecnico della Marina italiana che il porto di Trapani presentava condizioni quanto mai favorevoli per la costruzione all’asciutto del bacino di carenaggio, tuttavia alla proposta sostenuta dal Paleocapa non corrispose il parere favorevole del Senato, che preferì approvare un disegno di legge presentato dal generale Luigi Menabrea per la costruzione di un bacino di
carenaggio nel porto di Palermo.

Nel 1879 l’iniziativa venne ripresa dalla Camera di Commercio di Trapani, che prevedeva il concorso dei soli enti locali nella spesa dell’impianto; ma il tentativo era destinato a fallire di fronte alle difficoltà finanziarie che gli si opponevano, e in pendenza della pratica più urgente relativa alla continuazione della scogliera di Ronciglio ».

A proposito delle dinamiche politico-economiche degli ultimi secoli, il prof. Costanza fa le seguenti considerazioni:

«La Liegi del Sud - come aveva chiamato Trapani uno scrittore che
l’aveva visitata alla fine dell’800 - viveva allora la sua stagione più felice; ma fu stagione presto interrotta dalle angustie della crisi, con cui lo spirito imprenditoriale dei Trapanesi dovette fare i conti a causa delle scelte della politica economica nazionale.
Nel corso della lunga recessione e delle crisi post-belliche non sono soltanto mutate le condizioni, diciamo geopolitiche, che avevano determinato le fortune marinare di Trapani, ma e pure cambiata la fisionomia della classe dirigente locale.
Gli ultimi cinquant’anni, durante i quali abbiamo assistito al tracollo del dominio dei proprietari latifondisti (sostituitisi, tra le due guerre, all’attivismo del ceto imprenditoriale), non potevano ridarci la dimensione economica e sociale della borghesia di una volta. Quella più danarosa e ambiziosa si era sostanzialmente alienata in un aristocraticismo d’accatto, sordido e compiaciuto; e il ceto artigiano e della piccola impresa si era ormai disperso o debilitato nel suo assetto produttivo.
Trapani ha pure perduto la sua leadership politica, insieme con la forza economica che le aveva consentito di pilotare finanziariamente non solo le attività del capoluogo, ma anche quelle del suo entroterra agricolo; il quale si è a poco a poco dissociato dal centro amministrativo della provincia, formando interessi propri. Chiamare “trapanese” questo entroterra, che si spinge dalle coste tirreniche alle colline di Alcamo, dalle sciare del Marsalese alla valle del Belìce, è oggi un luogo comune, un semplice riferimento burocratico.
Il terremoto del 1968 ha contribuito a distaccare ancora di più i paesi belicini da Trapani. Un tempo la borghesia latifondistica di quelle zone aveva frequenti rapporti con Palermo, perché vi teneva i propri conti in banca, gli sbocchi del commercio frumentario, gli aviti palazzi. Ed era sempre più facile comunicare con Palermo piuttosto che con Trapani. (Le strade da Gibellina o da Alcamo portavano nell’ex capitale dell’Isola.) Eppure attraverso la posizione dominante del capoluogo in sede politica era possibile mantenere un certo collegamento tra città e campagna. Oggi i legami con Trapani sono quasi del tutto spezzati, perché gli affari, o le pratiche della ricostruzione, si discutono quasi tutti negli uffici della Regione; e la stessa Mazara, con l’autostrada che la collega direttamente a Palermo, ha fondato il suo impianto produttivo legato alle attività della pesca su una “ipotesi” di sviluppo che taglia fuori Trapani e il suo hinterland».

Noi ci auguriamo che come ad ogni tramonto segue la notte per poi vedere rinascere il sole, anche il porto di Trapani possa tornare agli antichi splendori !

Libro completo :
Fra mare e terra metafore del lavoro e microeconomie di ieri e di oggi a trapani e nella sua provincia, di Salvatore Costanza

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