5 gen 2017

Trapani città del corallo e il maestro Platimiro Fiorenza



Trapani può vantare una gloriosa tradizione artigianale, i cui echi si avvertono ancora oggi nei nomi delle vie Corallari, Arti, Cuba, Argentieri e Scultori,La nostra tradizione storica è rappresentata dall'arte del corallo che fece conoscere Trapani in tutta Europa.

Il canonico Orlandini, cronista del 500, scrive: «I maestri corallari lavorando fanno così onorata mostra ch’altra tale in tutta Sicilia non si vede, né in Italia. Lavorano essi il corallo con leggiadrissimo artificio, morbidezza, intagliandovi vaghissime immagini e lo mandano in lontanissimi paesi per presentarsi a gran principi».

L’inglese Brydone, che venne in Sicilia nel 1770 annota: « La pesca del corallo si fa specialmente a Trapani, ove si è inventata una macchina opportunissima a quest’abbietto. Gli abitanti di Trapani sono in fama di essere i più industriosi dell’isola; essi hanno arricchito le arti di parecchie invenzioni utili. Un artista vi ha ultmamente inventato una maniera di fare i cammei ed imita perfettamente gli antichi sull’onice».

Come scrive il prof. Salvatore Girgenti: Il Braudel nel suo libro "La Mediterranee et le mond mediterranèen à I’epoque da Filippo II" edito a Parigi nel 1949, considera Trapani la città meno siciliana della Sicilia. Ciò che egli ammira è l'ardire, l'intraprendenza, la tenacia e l'attaccamento al lavoro dei suoi abitanti. 

La fortuna di Trapani fu lo sviluppo di un'economia a carattere quasi capitalistico e la formazione di una borghesia industriale che tendeva a rompere i legami, ancora forti nell'isola con un’economia di tipo feudale. La sua ascesa sin dal medioevo e facilmente documentabile.

Nata come porto della città ericina, nel 1374 la sua popolazione, riferendoci alla chiamata alle armi di milites e di fanti decretata da re Pietro il 26 gennaio 1283, aumenta il triplo di quella di Erice. Era il periodo in cui la lunga guerra fra angioini ed aragonesi metteva in crisi il porto di Messina e rivalutava quello di Trapani, poiché era logico che i mercanti cercassero zone più tranquille per i loro affari. Un altro attestato della sua importanza e dato dalla numerosa immigrazione di milites da terre vicine, quali: i de Ferro, i Graffeo, i Milo, i De Bosco ed i Lìotta.

L'esistenza stessa di numerosi consolati stranieri, documenti di dirette relazioni con autorità statali estere, da parte dei giurati trapanesi, che venivano così a scavalcare l'autorità regia, ed i privilegi, di cui Trapani venne a godere con l'avvento della monarchia aragonese, sono testimonianze di una intensa attività economica e di un commercio con l'estero, quale poche città dell'isola potevano vantare.
Ma diverse ragioni concorsero, sin dai tempi dei normanni, a promuovere le attività marinare a Trapani, la quale per l’ottimo suo sito è sempre state città fiorentissima di arti e di industria. Ed è da rilevare che in primo luogo il commercio più ricco si faceva, allora, col Levante.

Trapani, infatti, situata dalla parte del mezzogiorno, offriva un più sicuro e spedito cammino agli occidentali di ogni parte che in quel tempo incrementarono i loro traffici commerciali in Palestina e giudea e in diversi altri luoghi di Soria. Ne sono una prova manifesta gli antichissimi stabilimenti degli Ospedaleri, dei Templari e degli Antoniani, che nella città avevano le loro chiese ed alberghi. Ma soprattutto il porto di Trapani sembrò opportuno al commercio con l’Africa; tanto più che i re normanni e avevi, e sino ai primi Aragonesi, vi avevano in più luoghi e città signoria.

Anzi, in quel tempo i trapanesi godevano di tanta stima che il re Giacomo nel 1289 ordinò che il console residente in Tunisi a nome dei re di Sicilia, e che aveva ivi il suo fondaco di mercanzia, potesse eleggersi tra i Trapanesi, quando prima era solito scegliersi solamente tra gli abitanti di Messina. Tutti questi motivi accrebbero i traffici marittimi nella città e non vi fu allora nazione che non vi tenesse un SUO console con una chiesa e un albergo; e lo ebbero particolarmente i Pisani, i Genovesi, i Catalani, i Veneziani, i Fiorentini, ì Francesi e numerosi altri, di cui ancora oggi si indicano le chiese e le logge. La perdita della Terra Santa segnò, nello stesso tempo, il declino del fiorente commercio trapanese.

Con la scomparsa dei pellegrini che sempre più copiosamente si recavano in oriente, venne meno con essi tutta quella abbondante mercanzia che dall‘oriente le navi riportavano. La perdita, inoltre, sotto i re aragonesi, di tutte le dominazioni e gli stabilimenti dell’Africa fecero si che il porto di Trapani, che era esso solo l’emporio e la scala di questo commercio, fosse il primo a risentirne gli effetti. 

E, come se ciò non bastasse, le guerre con gli angioini e, successivamente, la scoperta del nuovo mondo, diedero il colpo di grazia agli antichi traffici marittimi, tanto e vero che da Trapani vennero ritirati quasi tutti i consolati stranieri. Sulla rotta di Trapani rimasero solamente le navi dei potentissimi corsari dell'Asia e dell’Africa, che non solo ma corseggiavano frequentemente il mare, ma addirittura trasformarono in loro rifugio le isole di Favignana e di Marettimo.

Nonostante la decadenza commerciale della città ed i tristi tempi in cui quest’ultima versava, un nuovo genere di traffico si offri all'industria dei trapanesi: la pesca del corallo.

La pesca del corallo ha data antichissima. La testimonianza più antica ci è offerta da Plinio, il quale ci informa che i Galli ornavano di corallo le spade, gli scudi, le corazza e come il corallo giungesse loro delle coste della Provenza, dell'Italia occidentale, della Sicilia, di cui cita Trapani: «Laudatìssimum in Gallico..., in Siculo circa Heliam ad Drepanum ». La parola Heliam ha dato luogo a numerose interpretazioni, in quanto non esiste in Sicilia un luogo di tal nome. Si è anche pensato che fosse poco esatto il passo di Plinio.

Giacomo Delecampio ha infatti corretto Heliam ad Drepanum con Aeolias, ac Drepanum. A meno che non si voglia sostituire la parola Heliam con Hieram, che e l’isola di Vulcano o di Marettimo, chiamate Hiera, cioè sacre. E così, infatti, hanno voluto intendere il Cluverio nella Sicilia Antica e il Massa nella Sicilia in Prospettiva. Ma quale che sia l'interpretazione che si voglia dare, è certo che al tempo di Plinio il corallo veniva pescato anche nel mare di Trapani.

Prima del secolo XI si hanno notizie poco precise e bisognerà arrivare al secolo XVI per trovare i primi documenti di una sistematica lavorazione del corallo.

Nella geografia di Edrisi, scritta nel 1154, è specificato che « si trae dal mar di Trapani corallo di prima qualità». lbn el Wardi, ne la Perla delle Meraviglie (sec. XIV) scrive che nel mare di questa città il corallo vegeta in fondo come un albero. Queste sono le prime testimonianze.

Nel 1315, mentre Roberto d'Angiò assediava Trapani, Federico II d'Aragona, rafforzatosi sul monte San Giuliano, in segno di gratitudine per le due prove sopportate dai Trapanesi, estese ai pescatori della città il privilegio di esenzione dalla gabelia, di cui già godevano Messina e Siracusa. Furono in seguito i viceré di Sicilia a stipulare nel 1542, nel 1543, e nel 1553 con i lomellini le convenzioni con le quali questi ultimi ottenevano la facoltà di praticare la pesca del corallo, riservandone un quinto al re di Spagna (Non bisogna dimenticare che dopo la conquista normanna si ebbero in Sicilia grandi cambiamenti per quanto riguarda le condizioni della proprietà. Fu infatti riconosciuto l'uso dei diritti regali che trasferirono al regio demanio molti proventi di utile rendita, fra i quali la caccia e la pesca).

Gli atti notarili, conservati presso l’Archivio di Stato di Trapani, testimoniano la febbrile attività della pesca del corallo che avveniva a Trapani. [...]

Restando nell’ambito della pesca, c’è ancora da rilevare che proprio ai trapanesi è attribuita l’invenzione dall’ordigno particolare per la pesca del corallo; « ed è - dice il Mongitore nella sua Sicilia Ricercata - col fare una gran croce di legno, alle cui quattro punte pongono delle reti; e nel mezzo un gran sasso. Scendono queste macchine per via di argano in fondo del mare: ed ivi la pietra rompe il corallo, attaccato alle rupi dove nasce cò rami in giù; e s'inviluppa nelle reti».

La seconda metà del secolo XVI e XVII rappresentano il periodo di maggiore attività. Infatti fu proprio in guasti anni che, assieme alla pesca, si andava diffondendo e perfezionando la lavorazione del Corallo, che dovevano fare di Trapani la città tipica di quest'arte.

Anzi, gli stessi trapanesi vantano la gloria di essere stati i primi a lavorare con il bulino il corallo. L’inventore di questo ingegnoso lavoro sembra essere stato, secondo quanto riporta l’Orlandini, il trapanese Antonio Ciminello. E don Vincenzo Nobile nel Tesoro nascosto per le glorie di M. V. di Trapani afferma che «si dilatò poi negli altri trapanesi questa ingegnosissima arte con tanta perfezione, che l’opera uscite dalle loro mani si sono rese ammirabili ed hanno abbellito i Musei e le Gallerie più ragguardevoli de Grandi».

Padre Benigno di S. Caterina scrive: «Lavorano questi il corallo con leggiadrissimo artificio e politezza. Per l’eccellenza della loro perizia, per altro, quasi unica nel Regno, leggasi un privilegio dato da Barcellonesi ai corallari di Trapani, cioè: che in Barcellona nissuno possa lavorar del corallo, che trapanese non fosse». Padre Benigno non precisa la fonte del documento, tuttavia gli si può prestare fede se si considera la vasta e documentata richiesta di lavori e di maestri dall'arte. In un atto notarile dell’8 marzo 1482 si legge che due ebrei trapanesi, Montetera ed Aronne Gergentano, s‘impegnavano in Napoli a lavorare paternostri di corallo per il 
corrispettivo di ducati 300 per vitto e salario.

Da una attività artigianale locale, basata solo sulla politura e tornitura del corallo in globetti ed olivette, si passa nel secolo XVI, grazie anche alla feconda collaborazione che vi fu tra orafi, scultori, intagliatori, corallari ed architetti, allo sviluppo artistico della scultura e dell’incisione.

Erede di questa prestigiosa tradizione dell'artigianato trapanese del corallo è il Maestro Platimiro Fiorenza nato a Trapani nel 1944. Figlio di un artigiano orafo corallaio, cresce nella bottega paterna e a soli sette anni comincia a lavorare l’oro, l’argento e il corallo, a conoscere le pietre e a fare le sue prime incisioni, attirando l’attenzione e l’interesse del maestro trapanese Domenico Li Muli. Nel corso della sua vita, Fiorenza non si dedica solo alla lavorazione del corallo, ma anche ad altre attività artistiche come la pittura, la scultura, il restauro e la poesia.

Recentemente, nel 2013, è stato riconosciuto dall’UNESCO fra i Tesori Umani Viventi ed inserito nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia.

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