La storia del territorio di Trapani, durante i primi secoli dell’antichità e almeno fino al 260 a.c., appare parte integrante della storia di Erice.
Il sito dove sorgerà Trapani sarà ancora definito da Diodoro Siculo nel 368 a.C (XV, 73) “porto di Erice”, un approdo in grado di ospitare una notevole armata, dato che in quell’anno, durante l’ennesimo scontro siracusano-cartaginese, vi si ancorarono ben 130 triremi greche.
Diodoro Siculo [XV, 73, 2-4]
(368 a.C.) Il tiranno Dionisio… dopo aver saccheggiato l’intera regione ed essersi impadronito della città di Erice, pose l’assedio a Lilibeo ma, poiché qui si trovavano molti soldati, tolse l’assedio. Sentendo che gli arsenali erano bruciati e ritenendo che tutta la loro flotta fosse andata distrutta, ebbe disprezzo per loro: inviò nel porto di Erice 130 trireme, le migliori, fece tornare a Siracusa le altre. I Cartaginesi, avendo inaspettatamente armato 200 trireme, mossero verso quelle siracusane all’ancora nel porto di Erice: l’attacco fu improvviso ed essi trascinarono via la maggior parte delle triremi.
Durante il periodo precedente l’intero comprensorio drepanitano dovette essere parte integrante dell’antica chora (territorio) ericina.
Il nome di Erice appare per la prima volta nel 510 a. C. , ma soltanto come chora (territorio), in Erodoto (Storie libro V, 42, 3), in riferimento alla spedizione di Dorieo, e oggetto, appunto come territorio, della sua rivendicazione in quanto discendente di Eracle, anche se ancora non viene designata come una polis ben determinata.
Prima di questa data della "chora ericina" si hanno notizie che affondano le radici nel mito in riferimento alla lotta fra Erice ed Eracle.
Diodoro Siculo, narra che quando Eracle giunse in Sicilia, dove aveva spinto le vacche sottratte a Gerione come pegno della decima impresa, si avvicinò alla zona di Erice dominata dall’eroe eponimo (Erice), figlio di Afrodite e Buta. Erice invitò Eracle alla lotta, ponendo come premio il territorio sul quale governava e pretendendo le vacche insieme alla perdita dell'immortalità da parte dell'eroe greco in caso di vittoria.
La battaglia fu vinta da Eracle che, però, riconsegnò la regione agli abitanti del luogo accordando loro di prenderne i frutti finché non fosse giunto un suo discendente a rivendicarne i diritti, come avvenne, appunto, molte generazioni dopo con Dorieo secondo la testimonianza di Erotodo di Alicarnasso.
Dorieo, figlio del re spartano Anassandrida, quale discendente di Eracle (la sua famiglia vantava il mitico eroe come progenitore), rivendicando il possesso dei territori ericini, con uno sparuto esercito, per circa un trentennio mantenne il controllo di un insediamento coloniale denominato Eraclea, ma una coalizione di forze ostili elimo-puniche lo affrontò in battaglia, nella quale lo stesso Dorieo trovò la morte. Poco tempo dopo, fu la stessa Eraclea ad essere distrutta.
Una connotazione propria comincia a delinearsi con l'inizio della prima guerra punica tra romani e cartaginesi. A questo periodo si può fare risalire la fondazione di una vera è propria città (Drepana ) distinta da quella elima d'origine (Erice), anche se comunque le due rimarranno ancora strettamente legate per via degli eventi che seguiranno.
Nel 262 a.C., a soli due anni dallo scoppio della prima guerra punica (264-241a.C.), i Romani erano già giunti a Segesta, città che, dopo secoli di solida alleanza con Cartagine, era passata di colpo nel campo avversario.
L’incalzare degli eventi, con i Romani che rapidamente conquistavano i maggiori centri dell’isola, aveva spinto i Cartaginesi ad edificare, nel 260 a.C., sulla penisola falcata un nuovo insediamento fortificato, a protezione del porto, un centro che prese il nome Drepana (l’odierna Trapani), popolato grazie al trasferimento forzato degli abitanti di Erice, la quale rimase una roccaforte militare controllata dai Cartaginesi.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.)
[XXIII, 9]… Anche il forte di Mazara fu assoggettato dai Romani. Allora Amilcare il Cartaginese prese per la seconda volta Camarina con l’inganno, e dopo pochi giorni s’impadronì anche di Enna. Fortificò Drepana e costruì una città nella quale trasferì la popolazione di Erice; fece abbattere Erice stessa, tranne l’area intorno al tempio.…
Dione Cassio (II-III a.C.)
[Zon. 8.11] Amilcare fortificò il luogo chiamato Drepanon (esso è un porto comodo), depositò lì gli oggetti di più grande valore e vi trasferì tutta la popolazione di Erice. Quest’ultima città, poiché occupava una salda posizione, egli rase al suolo, per impedire ai Romani di impadronirsene e farne una base di operazioni per la guerra.
Polibio evidenziava la funzione strategica del porto di Drepana nelle Storie:
«tanto favorevole era, infatti la posizione e tale la bellezza del porto di Trapani, che sempre i Cartaginesi dedicarono alla sua difesa la massima cura».
Come narrano le fonti storiche (in particolare Polibio, I, 49-59), il territorio ericino e drepanitano, da quel momento e fino alla fine della guerra, divenne il principale teatro degli avvenimenti bellici.
Romani e Cartaginesi edificarono, su un ristrettissimo ed accidentato territorio, un complesso sistema di fortificazioni (ancora rilevabili sul terreno) che coinvolse i due eserciti in una lunga ed estenuante guerra di posizione.
La scelta di fortificare Drepanon si rivelò comunque azzeccata, e verso il 250 a.C. era una delle ultime due roccaforti cartaginesi in Sicilia; dacché l'altra, Lilybaeum, era assediata da parte dei Romani.
Fra il 249 e il 241 a.C. il porto di Trapani e le pendici del monte Erice furono teatro dei più importanti avvenimenti storici che questo territorio abbia conosciuti.
Polibio nelle Storie, Lib. I/51 e 52. racconta della "battaglia navale del porto di Trapani" nel 249 a.C.
A quell'epoca i Romani, pensando che conquistando Trapani avrebbero posto fine alla guerra, tentarono di entrare con la flotta nel suo porto; ma i Cartaginesi, comandati da Aderbale, non si fecero sorprendere, e con una ardita manovra navale riuscirono a sopraffare la flotta comandata dal console Publio Claudio Pulcro.
Roma, nel tentativo di forzare il porto perse quasi tutta la flotta, fu una vera è propria disfatta inflitta dai cartaginesi, la più grave sconfitta navale mai subita. La colpa di tale disfatta fu data alla sciagurata decisione dal console Claudio Fulcro che fece gettare in mare i polli augurali che non beccavano il mangime (cosa ritenuta di cattivo augurio). La frase del console: "se non vogliono mangiare, che bevano" è diventata famosa.
La flotta romana formata da 120 navi (Paolo Orosio) guidata dal console Publio Claudio Pulcro salpò ed arrivò nel mare di Drepanum all'alba, tra la sorpresa dell'ammiraglio cartaginese Aderbale.
Polibio così' descrive il fatto.
Al sorgere del giorno, le prime navi erano in vista di Drepanum: Adebale in un primo tempo rimase attonito alla vista improvvisa, ma ben presto si riprese e capì che il nemico era venuto per attaccare.
Giudicò allora di dover fare ogni sforzo e affrontare qualunque sacrificio pur di non esporsi ad un sicuro assedio. Raccolse dunque sulla spiaggia gli equipaggi e convocò con un bando i mercenari della città ..... ordinò di imbarcarsi subito e, guardando la sua nave, di seguirlo a poppa (ordinò che lo seguissero). Detto questo, egli stesso in tutta fretta salpò e condusse fuori i suoi proprio sotto alle rupi dalla parte opposta a quella dalla quale i Romani stavano entrando nel porto. ( Pol. 1)
Publio Claudio Pulcro, mentre parte della sua flotta era entrata nel porto, parte stava entrando e parte era ancora fuori, vide che i Cartaginesi avevano disposto la loro flotta, posta all'esterno del porto e distante dalla sua imboccatura, in posizione di battaglia.
Ordinò che subito tutte le navi invertissero la rotta per uscire e dare battaglia ai nemici. Non considerò l'affollamento eccessivo di navi, in relazione allo spazio disponibile, in un'area che per la sua naturale esiguità intralciò le manovre dei natanti e causò grandi danni.
Molte delle poliere che uscivano, urtarono seriamente quelle che entravano; molte inoltre si danneggiarono reciprocamente i remi: Il tutto in una confusione che rallentò molto l'operazione di disporsi in battaglia, mentre soltanto quelle ancora all'esterno del porto, grazia al maggiore spazio disponibile, furono leste a dirigersi contro la flotta cartaginese. Tra queste v'era la quinqueremi del console, avvantaggiata dal fatto che era posta in retroguardia.
Le navi che erano senza impedimenti, perché ancora fuori dal porto, vennero fatte disporre dai trierachi nelle vicinanze della spiaggia e con le prue contro gli avversari.
Claudio Publio Pulcro si dispose a sinistra dello schieramento, lontano dalla spiaggia, verso l'alto mare. [Pol. 1]
Mentre la flotta romana risolveva le proprie difficoltà, quella cartaginese guidata da Aderbale modificò la propria disposizione e dallo stato di attesa, con cinque delle sue pentere (quinqueremi), si diresse oltre l'ala sinistra romana e quindi verso il mare alto.
A questo punto fece diramare l'ordine alle rimanenti poliere di compiere una manovra tattica uguale alla sua. In tal modo la flotta cartaginese si trovò in vantaggio dato che, con alle spalle il mare aperto, poteva assaltare i Romani o poteva fuggire a seconda dell'esito dello scontro.
I Romani venivano così costretti in uno specchio d'acqua delimitato, da dietro, dalla costa. Ciò precludeva loro la possibilità di manovra.
Completata la manovra le navi cartaginesi indirizzarono la loro prua verso quelle romane; ma queste, tenendosi sotto costa, erano impegnate a presidiare il tratto di mare antistante l'imboccatura del porto, in modo da consentire alle loro restanti navi di uscire indisturbate.
Alcuni anni dopo, nel 241 a.C., Gaio Lutazio Catulo sbaragliò la flotta cartaginese nella famosa battaglia delle Isole Egadi che pose fine alla guerra, senza che però Drepanon fosse mai effettivamente espugnata.
I Romani così conquistarono la città, latinizzandone il nome in Drepanum
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