18 giu 2016

LE GUERRE PUNICHE

Asdrubale Maior e Amilcare Barca
Sconfitto Pirro e con lui i greci, per i cartaginesi e i loro alleati trapanesi si preannuncia all’orizzonte un pericolo molto più grave: i Romani che con molta calma e determinazione sono diventati i padroni di tutta l’Italia centale e meridionale. Nel 509 a.c. Roma e Cartagine sottoscrivono un trattato di non aggressione, rinnovato più volte senza sostanziali modifiche, e questo assicura alle due superpotenze una relativa calma che viene usata per sbarazzarsi dei comuni nemici greci. Ma il conflitto è solo rimandato. Nel 264 a.c. i Romani sbarcano in Sicilia chiamati dai alcuni ribelli messinesi autoproclamatisi mamertini, ovvero figli del dio marte. Ma una volta conquistata Messina i Romani non se ne vanno e anzi muovono alla conquista del resto della Sicilia. Nel frattempo Amilcare Barca, padre di Annibale, e Asdrubale Maior, comandante delle truppe cartaginesi nonchè genero di Amilcare, si preparano anche loro alla guerra. Il piano militare cartaginese prevede da un lato rapide incursioni corsare nelle città costiere e dall’altro un avanzamento via terra verso i centri interni della Sicilia. Nel frattempo rinforzano la cinta difensiva di Trapani, facendo costruire due importanti torri a difesa del porto, la torre Pali a ovest e la torre peliade a est. La torre peliade, detta così perchè costriuta vicino ad alcuni scogli a forma di peli, è quell’esagono che ancora oggi fa la guardia alla città e che è conosciuto come Colombaia perchè in essa si custodivano le colombe sacre alla dea Venere, colombe che in epoca successiva saranno usate anche dagli arabi come mezzo informativo.

Rodio
Si arriva così al 250 a.c. quando ad un tratto i Romani mettono l’assedio a Lilibeo per terra e per mare. Amilcare, a cui non manca il coraggio, però riesce con le sue navi a penetrare nel porto lilbetano, che deve tuttavia abbandonare nottetempo quando si rende conto dell’inutilità di ogni tentativo di salvare la città. Si rifugia così a Trapani dove, ad attenderlo, oltre ad Asdrubale, trova un giovane pescatore trapanese, un certo Annibale Rodio, che addirittura lo supera in ardimento. Costui infatti nonostante il blocco navale in atto anche lì, con una piccola imbarcazione costruita secondo la sapiente tecnica fenicia, entra e esce dal porto dileggiando gli attoniti assedianti. Per catturarlo i romani ricorrono ad uno stratagemma: con delle reti da pesca formano una diga chiudendo così l’ingresso del porto. Rodio ci finisce dentro e viene catturato, ma oltre a lui finisce in mano romana anche il segreto di costruzione delle moderne barche. Ma intanto Trapani continua a resistere…

Se non vogliono mangiare che bevano…
L’anno successivo un nuovo esercito romano, ai comandi del console Publio Claudio Pulcro, è inviato in Sicilia e, espugnata Marsala, entra addirittura nel porto di Trapani, quello di tramontana però, meno munito e sorvegliato di quello di mezzogiorno dove si trova il grosso della flotta di Aderbale, comandante della flotta punica. Aderbale salpa immediatamente per circondare la flotta romana che però si muove subito al largo per non farsi intrappolare. Ne segue una battaglia sanguinosissima. Non sappiamo quante perdite ebbero i Cartaginesi, ma lo storico romano Eutropio Flavio ci dice che su 230 navi romane, 180 vengono affondate, 20 sono fatte prigioniere, solo 30 riescono a fuggire mettendosi in salvo. 8000 romani muoiono in battaglia, altri 20000 vengono fatti prigionieri. Una vera e propria carneficina…
I romani faranno ricadere le colpe della sconfitta Publio Claudio Pulcro, che, indispettito dai polli augurali che non volevano saperne di mangiare, li aveva fatti gettare in mare. Famosa la sua frase “Se non vogliono mangiare, che bevano!”

Lutazio Catulo e Annone a Favignana
I Romani comunque impiegano otto anni per leccarsi le ferite e preparare un altro esercito da mandare contro i Cartaginesi. Esso è composto da 300 navi agili e di nuova costruzione sul modello di quella catturata a Rodio nel mare di Trapani. A comandarlo è Lutazio Catulo che nella battaglia precedente era scampato per miracolo alla morte e che dopo otto anni ancora portava le ferite della sanguinosissima battaglia. Appena saputolo, i Cartaginesi si affrettano a mandare una flotta di 400 navi a soccorrere il presidio trapanese. Le due flotte si frontaggiano nei pressi delle isole Egadi. Annone a Marettimo, Lutazio Catulo a Favignana. Lo scontro che ne segue è terribile. Sempre Eutropio Flavio, che non dimentichiamolo era romano e quindi di parte, ci dice che delle 400 navi cartaginesi, i Romani ne catturano 73 e ne affondano 30. I prigionieri cartaginesi sono 32000, i caduti 13000. Di contro i Romani perdono solamente 13 navi. E’ la fine, è la fine della prima guerra punica.

Amilcare Barca guarda la battaglia da Erice
L’ingrato compito di trattare e sottoscrivere la pace tocca ad Amilcare, che aveva seguito la battaglia da Erice. Dopo sette secoli di dominio cartaginese Amilcare si impegna a sgombrare la sicilia, a liberare tutti i prigionieri romani e a pagare 45 (!) tonnellate di oro come indennità di guerra. Ma la cosa che dovette dispiacergli di più fu di abbandonare per sempre Trapani, la città dove aveva passato gran parte della sua vita, per tornarsene a Cartagine. Trapani dal canto suo, dopo sette secoli di splendore punico, passò sotto il giogo romano e si rassegnò a subire le sorti delle città vinte. Ma ancora oggi a fare da guardia al porto di Trapani è la stessa torre che Amilcare e Asdrubale quasi 2500 anni fa costruirono per difendere la città dai Romani.

(da rumpiteste.wordpress.com)

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