Alla data di questa lettera (fig.1), 21 febbraio 1821, i moti rivoluzionari in Sicilia sono quasi al loro epilogo.
Occorre fare un passo indietro per inquadrare anche sommariamente la situazione precedente.
I primi fermenti rivoluzionari si erano avuti nella parte peninsulare del Regno all’alba del 2 luglio 1820 ad opera dei Tenenti Silvano Morelli e Giuseppe Salvati. Appena quattro giorni dopo il Re promise la Costituzione, secondo il modello della Costituzione spagnola di Cadice e contemporaneamente trasferì i poteri sovrani nelle mani del figlio ed erede Francesco, Duca di Calabria, che assunse il titolo di Vicario Generale.
In Sicilia, Messina, Catania e Siracusa aderirono subito al nuovo regime, mentre a Palermo il 14 luglio scoppiò l’incendio rivoluzionario che ebbe due anime, una aristocratica ed una popolare. In un primo tempo si cercò di ottenere il ripristino della costituzione siciliana del 1812 poi, preso il sopravvento l’anima popolare e antibaronale, si accettò la Costituzione spagnola ma con la condizione che Napoli riconoscesse alla Sicilia Governo e Parlamento propri. Napoli interpretò questa richiesta come volontà di separazione e, rifiutatala, inviò un esercito di 25.000 uomini affidato a Florestano Pepe per reprimere la ribellione di Palermo. La mancanza di unione tra le province della Sicilia e tra le varie anime dell’insurrezione provocò gravi disordini sia nella Sicilia orientale che in quella occidentale, dove ad esempio Trapani si schierò contro Palermo e subì numerose violenze da parte di bande di rivoltosi palermitani facinorosi e sfrenati.
Il Generale Pepe, giunto a Palermo il 25 settembre, ingaggiò una difficile lotta contro i rivoltosi ma poi ottenne una capitolazione firmata il 5 ottobre nella quale concesse ai siciliani onorevoli condizioni. Napoli, però, annullò la convenzione firmata dal Pepe che per questo motivo si dimise e fu sostituito dal Generale Pietro Colletta, il cui eccessivo autoritarismo esasperò gli animi di tutti i siciliani. Lo stesso Colletta, in una lettera del 7 dicembre diretta ai Ministri di Guerra e Marina, scrive: “La Sicilia ha in sè tutti i germi di uno sconvolgimento generale (…). Non è in aperta insurrezione, ma non è tranquilla; gli abitanti e fra questi li Palermitani, distintamente non ci combattono, ma ci aborrono; le autorità sono piuttosto sofferte che rispettate; e le leggi più tollerate che obbedite. Da questo stato a quello di aperta rivolta il passaggio è brevissimo, e perciò i rimedi parziali sono inefficaci.”
In questa situazione di grande confusione politica e amministrativa, il 9 febbraio 1821 giunse la notizia che era stata ritirata la Costituzione, in conformità alle decisioni prese a Lubiana da un “vertice europeo” manovrato dall’ Austria e con il consenso del Re Ferdinando che lì era stato richiamato. Contemporaneamente un contingente austriaco di 50.000 uomini al comando del Generale Frimont fu inviato verso il Regno delle due Sicilie. A Napoli, Francesco, Vicario Generale del Re, dichiarando che il padre parlava e agiva sotto costrizione del governo della Santa Alleanza, autorizzò misure di sicurezza contro l’intervento austriaco, forse temendo più l’ingerenza austriaca che le limitazioni imposte da un governo costituzionale. I napoletani e i siciliani si resero conto del pericolo di farsi trovare divisi e il 16 febbraio 1821 firmarono un accordo: promossa dal Vicario Generale del Re, fu formata una Commissione di 7 membri, uno per ciascuna provincia della Sicilia, presieduta da Ruggero Settimo. Ma ormai era troppo tardi, il 23 marzo gli austriaci entrarono in Napoli e il 31 maggio a Palermo.
Nella lettera qui riprodotta leggiamo testualmente: “Signori, mi viene segnalata per telegrafo una disposizione di S.A.R. il Principe Reggente, per la quale è ordinato l’arresto di tutti i legni austriaci che possano esistere nei Porti e Rade del Regno, e di vietarne all’istessi l’uscita.”
Da quanto sopra esposto si capisce il motivo dell’ordine impartito da Francesco di Borbone, che riteneva l’ingerenza austriaca più pericolosa degli stessi rivoluzionari siciliani.
(di Tonino Perrera - da http://www.larisaccamensiletrapanese.it)
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