26 feb 2017

Trapani: Storia della ricerca archeologica



La forma toponomastica al plurale (Drepana), che ricorre nella maggioranza delle fonti letterarie più antiche, fu attribuita originariamente, secondo Columba (C 1906), al complesso di isolotti antistanti la costa, che presentano la forma di falce. Tali affioramenti erano in antico assai più numerosi rispetto all’età moderna e contemporanea, durante cui la linea di costa ha subito mutamenti a causa della realizzazione delle saline. Anche il luogo in cui sorse la città era un’isola falciforme, la cui estremità occidentale costituiva il promontorio Drepanum, separata dalla terraferma da uno strettissimo e poco profondo braccio di mare, progressivamente colmato nei secoli seguenti: in età normanna esisteva ancora un ponte di collegamento all’estremità orientale della città, come confermano diversi geografi arabi (Amari,1880), ed ancora nel XVIII secolo è menzionato solo un sottilissimo istmo. La data generalmente adottata per la fondazione di Trapani è il 260-259 a.C. (cfr. A. fonti letterarie); per il periodo precedente le fonti non lasciano supporre l’esistenza di un centro urbano nel sito dell’emporio degli Ericini. 
La presenza di strutture connesse alle attività portuali (moli, fari, cisterne), ma anche alle esigenze difensive (torri), è comunque ipotizzata da alcuni studiosi già per il perido ‘sicano’. Amilcare, nel 260-259 a.C., avrebbe dunque in parte riutilizzato, ristrutturandolo e potenziandolo, un impianto difensivo già esistente (Tamburello, 1995). Secondo altri, Eraclea di Dorieo sarebbe stata fondata, alla fine del VI sec. a.C., sul sito della futura Drepanon (Freeman, 1891; Van Compernolle, 1984; Braccesi, 2000).
Le testimonianze archeologiche utili alla ricostruzione della topografia urbana della città antica, relativamente scarse, sono fornite da eruditi dal XVII secolo in poi: si tratta di rinvenimenti, generalmente occasionali, di frammenti ceramici, strutture e tombe. Pace (1935) accenna a scavi condotti a Trapani durante il decennio 1920-1930 da Sorrentino, non altrimenti noti, di cui non sono specificati né l’ubicazione né, tantomeno, i risultati, ad esclusione del ritrovamento di otto pani di rame nel porto di Trapani (Sorrentino,1921; Filippi, 2005). Sulla base delle informazioni contenute nelle opere di eruditi locali del XIX secolo, è stato ipotizzato lo schema del sistema fortificato della città antica. Sembra che il ‘Castello di Mare’, sito nell’isoletta della Colombara, posta all’imboccatura del porto, presentasse tracce di una fase edilizia di età antica, riferibile all’epoca del conflitto fra Cartagine e i Greci di Sicilia (prima metà del V sec. a.C.), sebbene attualmente manchino testimonianze monumentali o archeologiche a conferma di tale attribuzione. Al sistema di difesa del porto sarebbero da attribuire anche i resti di una struttura composta da blocchi squadrati, che congiunge le isolette della Colombara e del Lazzaretto (Filippi C 20022; C 2005). 
Le fortificazioni sulla terraferma dovevano invece comprendere torri quadrate poste ai quattro angoli della città, da collocarsi, rispettivamente, presso il monastero della Badia nuova (angolo no), nella zona di S. Agostino (angolo So), presso la ‘Torre dei Pali’ (angolo SE) e nell’ambito del ‘Castello di Terra’ (angolo nE); le porte urbiche, almeno cinque, erano poste presso le torri o lungo le cortine (Tamburello C 1995). 
Il ‘Castello di Terra’ era stato ricordato dal Polizzi (C 1880) per aver contenuto un’iscrizione marmorea a testimonianza della costruzione da parte di Amilcare Barca (cfr. A. fonti epigrafiche). Secondo una notizia ufficiosa, nella stessa zona sarebbe stato riportato alla luce nel 1989, durante i lavori per il metanodotto, un tratto di muratura antica (Tamburello,1995). Tale rinvenimento confermerebbe un’osservazione del Freeman (1891), che accenna a tratti di cortina, forse precedenti alle fortificazioni di Amilcare, inglobati nei paramenti di età moderna. Successivamente, nel 1992, il Castello è stato oggetto di ricerca archeologica da parte della Soprintendenza (scavo condotto da E. lesnes). Lo scavo aveva la finalità specifica di stabilire la data di primo impianto del complesso fortificato, da porre, secondo i risultati della ricerca, al periodo aragonese, ma ha permesso anche il recupero di materiali più antichi: in un deposito di riempimento, al di sotto di un livello con ceramica del XIII secolo, è stato individuato uno strato di sabbia contenente frammenti ceramici «a pasta rossa, sabbiosa», presumibilmente di età punica (V-III sec. a.C.), ma non è stata rinvenuta alcuna struttura riferibile a tale ambito cronologico. Dalla torre interna proviene inoltre una moneta romana in bronzo dell’imperatore Valente (364-378 d.C.) (Lesnes - Maurici , 1994; Lesnes, 1995; cfr. A. fonti numismatiche). 

Di altre recenti prospezioni sull’isola della Colombara, che avrebbero messo in luce «antichi tagli di cava nel banco roccioso calcareo», si hanno attualmente solo notizie molto generiche (Filippi C 20022; C 2005). 

La collocazione di due santuari urbani e di una necropoli è indicata, nuovamente, da eruditi del XIX secolo (di Ferro C 1825). I santuari sono attribuiti a Saturno (nel sito della chiesa di S. Bartolomeo) e a Nettuno, in base alla notizia del rinvenimento, nel 1770, durante gli scavi per le fondamenta della chiesa di S. Nicolò, di una statuetta maschile nuda in bronzo raffigurante Nettuno. La necropoli comprendeva sia sepolcri in laterizio con copertura in lastre di marmo, contenenti scheletri e corredo (lucerne, vasellame), sia urne di terracotta «piene di ossa», e sembra essere stata in uso fino al III-IV sec. d.C. (Tamburello C 1995). Da un contesto funerario provengono probabilmente anche altri materiali («un’olletta biansata, una scodella e tre unguentari fusiformi, attribuibili alla seconda metà del I secolo a.C.») rinvenuti all’inizio del XX secolo vicino al Palazzo delle Poste e custoditi nel Museo Pepoli (de Gregorio C 1928; Filippi C 2002). Più recentemente, sono segnalate cisterne romane presso la chiesa di S. Michele (Scuderi C 1965). Due sarcofagi tardoantichi (III-IV sec. d.C.) sono di sicura provenienza urbana: uno è incassato nelle strutture della chiesa di S. Nicolò; l’altro, custodito al Museo Pepoli, proviene dal convento dell’Annunziata. di notevole interesse è anche la segnalazione di un gruppo di epigrafi greche e latine rinvenute alla fine del XVIII secolo durante i lavori alla chiesa di S. Pietro (Filippi C 2002; C 2005), che si trova all’interno del circuito murario antico. 
Iscrizioni con caratteri punici o cufici sono segnalate da orlandini (C 1605). Per una sistematica sintesi dei dati storico-archeologici su Trapani, si veda Filippi C 2005, che contiene anche informazioni su alcuni rinvenimenti inediti da ambito urbano oltre ad un utile apparato fotografico: Palazzo Fardella (1879: rinvenimento di una lucerna), Piazza Vittorio Veneto (anni ottanta del XX secolo), Palazzo delle Poste (immagini dei reperti), Cappella dei Crociati-Chiesa di S. Domenico (frammenti di ceramica a vernice nera ellenistica, in terra sigillata africana, vetri ed un’anfora tardoantichi). 
Attualmente, la zona a S della città è occupata dal vasto comprensorio delle saline di Trapani e Paceco (fino a tempi recenti estese fino alle immediate vicinanze orientali della città: una salina posta presso una delle porte di T., probabilmente quella orientale, esisteva di sicuro nel XII secolo, come conferma il testo di Edrisi: Amari C 1880); questa porzione fu poi interrata in concomitanza con l’espansione edilizia della città moderna. Per l’epoca classica, l’esistenza di saline non è confermata da fonti letterarie o da testimonianze archeologiche, ma potrebbe essere ipotizzata in base alla presenza di stabilimenti per la lavorazione del pesce nel comprensorio trapanese (Purpura C 1988). Solo nell’isoletta della Calcara, attualmente inglobata nel sistema delle saline, è stato rinvenuto uno strumento in ossidiana (Filippi - Zammarano 1995). 
Edrisi e Ibn jal Wardî testimoniano infine la continuità, almeno dall’età romano-imperiale della pratica della pesca al corallo. la ricerca archeologica ha interessato anche il territorio trapanese e porzioni di comuni limitrofi (Erice, Buseto Palizzolo, Custonaci, Paceco), ricche di testimonianze archeologiche a partire dall’età preistorica (dalla rosa C 1870; de Gregorio C 1917; Sorrentino C 1921). 
In particolare, in contrada Falconera, al confine fra i territori comunali di Trapani e Marsala, è attestata ceramica eneolitica e ‘elima’ a decorazione dipinta (Tusa C 1992). nelle vicinanze, in contrada Cuddia Zafarana, è stata identificata recentemente anche una necropoli romana, purtroppo già saccheggiata da scavatori clandestini precedentemente all’intervento delle autorità (Soprintendenza e Guardia di Finanza; v. Todaro C 2002). 129 Trapani un piccolo gruppo di reperti, per la maggior parte di epoca pre e protostorica, provenienti dal territorio, costituisce la collezione del Museo Civico di Preistoria, inaugurato nel 1983 nei locali della Torre di ligny e nato con l’intento, da parte della Soprintendenza, di allestire una struttura didattico-espositiva per la conoscenza della preistoria del comprensorio trapanese, ma anche di far fronte alla continua dispersione di manufatti, spesso prelevati e detenuti da privati ed ‘appassionati’ che, pur in buona fede, causano inevitabilmente, mediante la raccolta di reperti indiscriminata e non documentata, la distruzione dei contesti e delle associazioni tipologiche, oltre che l’impoverimento di depositi archeologici, spesso non più identificabili a livello topografico (Fresina C 1984). 
Numerosi reperti archeologici provenienti dal territorio trapanese, ma anche da altre località siciliane, sono esposti nella Sala delle antichità del Museo Pepoli, museo , nato grazie alla volontà e ai finanziamenti del Conte Agostino Pepoli stesso, che radunò in un unico istituto i nuclei d’arte trapanesi (la quadreria di G.B. Fardella, le opere provenienti dalle soppresse corporazioni religiose) arricchendoli della propria collezione (che includeva anche ceramiche di produzione islamica: Amari C 1854). Successivamente fu acquisita anche la raccolta di reperti archeologici del Museo Hernandez di Erice. la provenienza dei reperti è raramente conosciuta con precisione; alcuni oggetti sono però attribuibili ad Erice, Solunto, Mozia, Centuripe, oltre che a rinvenimenti subacquei (Scuderi C 1965). un altro nucleo di materiali di provenienza trapanese si trova custodito al Museo di Malacologia di Erice: si tratta di frammenti di anfore appartenenti a tipologie databili fra il III sec. a.C. ed il VII d.C., raccolti sulla spiaggia dell’isola del ronciglio, all’interno della rada del porto (Filippi C 20022; C 2005). 

Trapani si pone nel punto di incrocio ideale fra le antiche rotte marine del basso Tirreno e del Canale di Sicilia. la frequentazione di tali itinerari è confermata dalla presenza nelle acque antistanti Trapani (caratterizzate da bassi fondali, da secche sabbiose e scogli affioranti che rendevano spesso insidiosa la navigazione sottocosta) di numerosi relitti di diverse epoche, purtroppo solo di rado indagati scientificamente. La maggior parte dei reperti subacquei è stata infatti recuperata da pescherecci con reti a strascico o da subacquei sportivi, oppure sequestrata a privati dalle forze dell’ordine (Valente C 1995) ed è ora custodita, oltre che al Museo ‘A. Pepoli’, anche al Museo Archeologico regionale ‘A. Salinas’ di Palermo e negli Antiquaria di Terrasini e di ustica (v. PalerMo, TerraSini, uSTica). Sono attestate anfore puniche Maña A (VI-V sec. a.C.), greco-italiche (III sec. a.C.), Pelichet 47 (II-III sec. d.C.), e diverse anfore ‘a bariletto’ (di cronologia e produzione incerte, ma probabilmente riferibili alla tarda antichità). Altre anfore di provenienza ignota (ad esempio alcuni esemplari di Panella 33 del III sec. d.C.) fanno parte di collezioni private a Trapani. 
Alcune segnalazioni riguardano poi un relitto romano contenente, oltre al carico di anfore dressel 2-4 (età tardorepubblicana-prima età imperiale), anche pietre di zavorra e un chiodo di rame a sezione circolare, in località Isolotto Maraone (Purpura C 1986; Parker C 1992). C.

Fonte (Testo completo)

di Donata Zirone

Nessun commento:

Posta un commento