Trapani, terra sospesa tra due mari e cento anime diverse, estrema punta della Sicilia benedetta dai numi del mangiare bene che qui si accaparrarono il meglio tra campi e onde. Creando ricette che magari citano piatti già mangiati altrove. Ma che quaggiù diventano speciali. E c’è un motive per cui mangiare a Trapani i sapori della Sicilia significa fare un viaggio. Perchè qui sono tante le popolazioni che si sono fermate, che l’hanno colonizzata. E, da questo punto di vista, arricchita. Così il cuscus è ovviamente un lascito arabo come la cassata, il pesto è traccia dei marinai genovesi che buttavano le ancore in porto ritornando dall’Oriente. Ma anche gli spagnoli, per esempio, hanno fatto la loro parte insegnando lo scapece. E ancora, andando indietro nel tempo, le olive e l’origano le concessero in eredità i Greci. E pure i Fenici, solitamente bistrattati dalle nostre parti ovviamente filo-romane, ci fecero un bel dono: con la tecnica delle tonnare e la “coltivazione” del sale.
Insomma, mangiare a Trapani i sapori della Sicilia vuol dire fare una esperienza multietnica”. E da un luogo che è estrema frontiera sul blu, ultimo balcone sporto su quel mare che presuntuosamente chiamiamo “Nostro” – ma che fu di tanti – non ci si potrebbe aspettare migliore lezione.
Una lezione da ripassare camminando e respirando i profumi che filtrano dalle finestre del centro. Che per prendere il tempo alla città occorre proprio partire dalle strade acciottolate di questa fetta di terra protesa a tagliare le acque – Drepanum, l’antico nome latino, significa proprio “falce” – dove da un lato comoda sabbia invita al tuffo sotto l’ombra dei bastioni spagnoli mentre dall’altro si accalcano ciclopiche navi da crociera e aliscafi. In mezzo, lento e in apparenza sonnacchioso, batte un cuore barocco di pietra e tufo. Qui è bello perdersi nei vicoli che sbucano poi nei viali orgogliosi dei palazzi sbrecciati e delle chiese austere mentre, poco più in la, la gente fa la coda per il pesce. Che più che fresco è vivo. Una consuetudine che si spiega anche con la piacevolezza delle ricette: che spremono tutta la ricchezza del mare più povero.
Nelle case ancora oggi si mangia pesce almeno cinque volte alla settimana. “E in alcune anche tutti i giorni», spiegano al mercato raccontando che le preparazioni più comuni, quelle a cui i trapanesi sono più legati, sono spesso quelle a base di pesce azzurro, del pescato a basso costo. La pasta con le sarde e il finocchietto, le sarde «allinguate», i pescetti fritti per accompagnare la pasta all’aglio: l’offerta è grande. E il sapore pure. Anche se lo scontrino del mercato, alla fine, non fa male.
Ma c’è anche chi osa di più: e per spiegare cosa significhi mangiare a Trapani i sapori della Sicilia tira in ballo quasi la filosofia: “Per capire la nostra cultura gastronomica pensiamo all’arte, in particolare ai carretti siciliani: si tratta di poche assi di abete che di per sè non valgono nulla. Ma che dopo essere state lavorate e colorate diventano pezzi unici e preziosi. La stessa cosa accade in cucina: le materia prime sono magari umili: ma manipolate attentamente e trattate con cura danno vita a preparazioni irresistibili e speciali”.
Mangiare a Trapani i sapori della Sicilia: il cuscus
Semola e carretti, zuppa e assi di legno: detto così paiono mondi lontani ma in fondo non sono altro che volti diversi di una cultura fiera e antica, stratificata e arricchita dal fatto che con le onde sono arrivate lingue e saperi diversi. Ma che soprattutto deve dire grazie a terra e mare che, bontà loro, sono sfacciatamente generosi. Al punto che un piatto mitico e in apparenza banale come il cuscus tutto congiura per renderlo speciale: l’incocciatura della semola, la cottura e soprattutto l’aggiunta del brodo di pesce. E poi, ultimo elemento, la mano di chi lo prepara. Che diventa l‘ingrediente segreto. Tanto che – anche questa è certificata vox populi – pare impossibile trovare due cuscus uguali in città. Potete immaginare quante differenze si possano scoprire andando ad assaggiarlo pochi chilometri più in la.
Magari a Erice, che dall’alto della roccia sembra proteggere Trapani dalle bizze delle onde, o a San Vito Lo Capo dove al cuscus dedicano ogni anno a settembre addirittura un festival. E, pare ovvio, anche questo è multietnico così come arrivavano da lontano le genti sulle navi. Come i pescatori che ancora oggi è facile incontrare seduti a terra nei fondaci delle vecchie case di via Corallai mentre districano le reti prima di uscire al largo. Per fare inciampare in una muraglia di corda la galoppata guizzante dei tonni. I locali re dei tre mari. Si, tre, non due.
Mangiare a Trapani i sapori della Sicilia: i tre mari
Per incontrarli basta percorrere la strada che in pochi minuti porta dall’aeroporto al centro sfiorando la geometrica scansione delle saline. Vista dall’alto sembrano un quadro di Mondrian. Ma senza colori: solo declinato in tutti i bianchi possibili. Qui, 3000 anni fa i Fenici impararono che la vampa del sole sa creare piccoli diamanti evaporando il mare. Il vento poi soffiando sui mulini dava la forza per spezzare i cristalli e farli arrivare sulle tavole. Ora, è ovvio, quelle saline non sono più quella fonte di favolosa ricchezza che furono ai tempi dei mitici navigatori del Mediterraneo ma regalano ancora sapore. Mentre i colori si miscelano poco lontano dove il blu del mare diventa il bianco del sale per poi sfumare nel rosso del prelibato aglio di Nubia. Che a sua volta si inchina al giallo del melone di Paceco. Una tavolozza che non riguarda solo quelli vengono a mangiare a Trapani i sapori della Sicilia.
Dal 2005 l’arrivo dell’America’s Cup ha regalato a Trapani nuova visibilità nel mondo e un rinnovato entusiasmo. La quinta naturale delle case di pescatori è stata così rimessa a nuovo, piccoli locali e aggraziati bed and breakfast sono spuntati a riempire di chiacchiere forestiere il silenzio dei vicoli, musica e divanetti di tendenza hanno arricchito lo struscio dei ragazzi nelle sere d’estate. Fino all’arrivo di nuovi voli low cost che hanno fatto nascere un turismo prima solo sognato.
Eppure basta poi avere la fortuna di essere tra queste strade nella settimana di Pasqua per capire che nessun moderno volo senza fronzoli o nessun lounge bar potrà incidere la vera anima della città e di quest’isola che regala sempre emozioni. Che in quei giorni scende in piazza per la Processione dei Misteri. E dietro le venti statue di legno, portate a braccia dai massari con le casacche scure, da 400 anni sfilano tutti. Per un rito che racconta la Passione ma soprattutto un pezzo profondo dell’animo siciliano. Lo stesso spirito che si ritrova passeggiando in certi scorci del centro, dove i panni sono ancora stesi come un festone e dove la lenta cantilena del dialetto rimbalza dalle finestre. E dove viene naturale cercare l’ombra nelle giornate di sole prima di inseguire la salvezza di una granite da gustare tra le vecchie case.
Il centro della città infatti nonostante tutto continua ad offrirsi come un piatto barocco da assaporare adagio, un fondale di pietra chiara che di colpo emerge dall‘acqua. Per coglierlo appieno percorrete nell’ora arancione del calare del sole il viale delle Sirene o arrampicatevi sulle mura di Tramontana. Già i nomi dei luoghi sembreranno sussurrarvi antiche favole di marinai e racconti di mareggiate feroci ma sarà lo spettacolo del tramonto poi a regalarvi l’emozione che non si scorda. Da qui, magari facendovi accompagnare dalla suadente dolcezza di un bicchiere di zibibbo è facile lasciarsi andare e perdersi nel gioco dei colori. In primo piano la Torre di Ligny, appollaiata sull’ultima zolla di terra e poi oltre, in appena sfuocate, le siluette già in distanza di Favignana e delle altre isole.
In quel momento, prima che cali la sera, in un lampo capirete cosa significa vivere dove la terra definitivamente finisce. E dove inizia il blu.
(di Luca Pelagatti, da /www.travelfar.it)
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