26 feb 2017

Il territorio di Trapani nell'età antica



Durante la prima età imperiale Drepanum è documentata da Plinio il Vecchio come città della Sicilia famosa per la pesca del corallo. Sotto l’impero dei Flavi e degli Antonini si ha una ulteriore espansione degli insediamenti rurali; in questi siti la presenza di ceramica sigillata documenta un consistente flusso di merci che, specie nella seconda metà del I secolo d.C., giungeva dall’Italia. Nella grande fattoria romana segnalata in contrada Stella, alle porte di Trapani, piatti e ciotole riportano i timbri in planta pedis S.M.F., L.R.P.E., L.R.P., riferiti alle fabbriche dei ceramisti pisani, Sex. Murrius Festus (60-150 d.C.) e Lucius Rasinius Pisanus (50-120 d.C.), le cui produzioni si ritrovano in tutto il Mediterraneo centrale. La ricchezza dell’insediamento di contrada Stella, come quella di altri nel territorio, denuncia l’emergere di alcune famiglie, fra le quali quella dei Crispi, nome ben noto ad Erice e nella vicina Lilibeo, che ritroviamo impresso nei bolli sulle tegole di una delle loro aziende in contrada Fittasi Sottano, o nei bolli su tegole ritrovati ad Erice e riferiti alle gentes Aemilia, Furia e Marcia, quest’ultima proprietaria anche di un fondo nella contrada Margi (bollo Cl. Marci).
Nel corso del II secolo l’alessandrino Claudio Tolomeo, nella sua Geografia, annota in questo territorio due toponimi: il fiume Acithios e il promontorio Egitarso. Del toponimo tolemaico Acithios, ritenuto da alcuni autori il fiume Birgi e da altri il fiume di Marsala o Sossio, non si ritrova traccia alcuna nella toponomastica medievale e moderna, nella quale il Birgi viene indicato col nome Culverii. Più interessante è nei documenti la citazione del toponimo Chiti, riferito al fiume di Xitta presso Trapani. Controversa è anche la localizzazione del promontorio Egitarso, da taluni studiosi, fra i quali il Manni, ritenuto lo stesso nome di Egitallo, promontorio citato da Diodoro nel corso della prima guerra punica, sul quale era stata costruita dai Romani una fortezza, sito oggi identificato con le rovine esistenti poco a monte del Pizzo Argenteria, lungo le pendici sud-occidentali del monte Erice.
È da ritenersi, invece, che i due toponimi, al di là dell’assonanza fonetica, identifichino due luoghi ben diversi e che l’Egitarso tolemaico, riconosciuto dal Cluverio presso il capo San Teodoro, sia in realtà nel luogo già indicato dal Fazello: il capo San Vito. Tale localizzazione può essere avvalorata, oltre che per l’importanza geografica del promontorio, quale vertice settentrionale della Sicilia occidentale, soprattutto per la presenza del famoso pozzo, dalle acque miracolose, dal quale ebbe origine il culto dedicato a san Vito Martire. Questa nostra ipotesi si baserebbe, pertanto, sulla segnalazione da parte dei cartografi dell’antichità di punti geografici notevoli, quali sono i promontori, in special modo dove vi erano fonti d’acqua, divenute nel tempo luogo di approdo e di culto, come sarebbe avvenuto, ad esempio, sull’altro importante promontorio di questa parte dell’isola, il capo Lilibeo, il cui culto pagano, legato al pozzo della Sibilla, venne convertito in quello cristiano de dicato a san Giovanni Battista.

Dalla seconda metà del II secolo, specie con l’avvento della dinastia dei Severi, il nostro territorio sembra, dal punto di vista commerciale, volgere le spalle all’Italia, orientandosi verso l’Africa; da questo momento, infatti, scompaiono le ceramiche di importazione italica e gli insediamenti rurali mostrano l’esclusiva presenza di terre sigillate di produzione tunisina. Un commercio, quello delle importazioni di ceramiche africane, che si svilupperà almeno fino alla riconquista del Nord-Africa e della Sicilia da parte del generale bizantino Belisario che nel VI secolo d.C. ricondurrà l’isola nell’orbita dell’Impero giustinianeo d’Oriente.
Facendo un passo indietro e ritornando all’età di Costantino il Grande, è noto come nel corso della prima metà del IV secolo d.C., dopo il trasferimento della capitale dell’Impero a Costantinopoli e il dirottamento del grano egiziano verso la nuova metropoli, la Sicilia ritornò ad essere il granaio di Roma. Le grandi ville senatorie gestivano immensi latifondi capillarmente sfruttati per usi agricoli e per l’allevamento. Allo stato attuale delle conoscenze, il territorio di Trapani non ha restituito resti di insediamenti rurali paragonabili a quelli scoperti nella Sicilia centro-orientale (è il caso della Villa del Casale, del Tellaro, di Patti), ciononostante alcuni insediamenti assunsero notevole dimensione e ricchezza. È il caso dell’insediamento di contrada La Chinea, dove le arature profonde, agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, dissotterrarono ampie porzioni delle murature e delle pavimentazioni in cocciopesto, i cui resti vennero scaricati nelle vicine acque della diga Rubino.

Nel tardo-impero gli Itineraria romani, e in particolare la Tabula Peutingeriana e l’Itinerarium Antonini, entrambi redatti nel corso del IV secolo d.C. (pur utilizzando indicazioni antecedenti e mostrando aggiunte di epoche successive), ci offrono utili informazioni per comprendere l’assetto delle più importanti arterie viarie che attraversavano il triangolo di territorio compreso fra Panormus, Drepanum e Lilibeo. 
La Tabula (un itinerarium pictum, una sorta di grande stradario dell’Impero nel quale sono indicate le distanze fra i principali centri urbani o i luoghi particolarmente significativi, segnalati da differenti rappresentazioni iconografiche) evidenzia come la strada che da Palermo raggiungeva la costa occidentale dell’isola, dopo aver toccato Segesta, si dirigeva direttamente verso Trapani (Drepanis) anziché, come ci si aspetterebbe, verso quello che doveva essere il maggiore centro urbano, Lilibeo. A ciò si aggiunge che sulla carta l’icona riferita a Drepanis è di dimensioni maggiori di quella che segnala Lilibeo; queste due osservazioni indurrebbero a credere, pur in assenza di prove storico-archeologiche, che in età post-costantiniana Drepanis dovette assumere un ruolo di rilievo, probabilmente pari a quello di Lilibeo, quale scalo intermedio lungo la rotta fra il Nord-Africa e l’Italia, ma anche, o soprattutto, quale principale sbocco al mare del ricco hinterland agricolo.

Foto:
Tabula Peutingeriana
La Tabula Peutingeriana è un itinerario “pictum”, contenente anche l’indicazione di varie “stationes”.

di ANTONINO FILIPPI

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