8 lug 2016

TANTE SICILIE. PERCHÉ'?






























“Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è dispari, mischiato, cangiante, come nel più ibrido dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. 

Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è la Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è la Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio. 

Ma perché tante Sicilie? Perché l’isola ha avuto la sorte di trovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, fra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e la canicole della passione”.

Questo scrive Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano che di sicilianità sicuramente se ne intendeva. La Storia della Sicilia è stata influenzata da tanti dominatori. Sicani, Greci, Romani, Arabi, Saraceni, Normanni, Francesi, Spagnoli tutti sono passati di qui e tutti hanno lasciato il loro segno. Come una spugna, l’Isola ha assorbito le culture, le tradizioni, gli usi delle molteplici civiltà che l’hanno abitata. Un mix che nel tempo l’ha resa unica e incommensurabile.

La costa orientale pullula di bellezze barocche. L’impronta greca è ancora visibile in città come Siracusa, Taormina, Agrigento e Selinunte. La tipica pianta araba caratterizza città come Palermo. E poi c’è il mare, il cibo, il dialetto, gli usi, le tradizioni diverse da una città all’altra. 

La Sicilia non è una, ne esistono di infinite. È impossibile contarle. È impossibile conoscerla fino in fondo, perché ogni volta cambia, perché è come un diamante posto davanti ai raggi del sole, che riesce a mostrare una miriade di sfaccettature impossibili da contare, misteriose e incredibilmente preziose e affascinanti.

Vi sono mille Sicilie, non si finirà mai di contarle.




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La Sicilia nella Storia: un intreccio di dominazioni




Sono state le bellezze artistiche e architettoniche della Sicilia a porre l’isola al centro dell’attenzione della vita culturale europea e a dare un notevole impulso a quel fenomeno culturale d’inizio Settecento noto come Grand Tour. In un periodo di grande fervore intellettuale, quale fu il Settecento, i maggiori eruditi tedeschi, francesi, inglesi, russi e di altre nazionalità iniziarono a percorrere non facili e non sicuri itinerari per riferire ai propri connazionali, interessati e incuriositi, di una terra estrema ai confini della civiltà del vecchio continente. Nascono in questo modo le prime “guide turistiche” della Sicilia.

Ma perché mai un’isoletta apparentemente insignificante doveva essere la meta più gettonata dei turisti del tempo? Sicuramente l’importante ruolo che l’isola ha da sempre esercitato nella Storia è in gran parte dovuto alla sua strategica posizione, al centro del Mediterraneo, che la pone come crocevia tra il Mediterraneo Occidentale e quello Orientale, tra l’Europa e l’Africa. Questa posizione, che l’ha sempre fatta oggetto di migrazioni e di invasioni, ha determinato il succedersi ininterrotto ed inevitabile di dominazioni nei secoli. Così, di volta in volta, la Sicilia è stata greca, fenicia, romana, bizantina, araba, normanna, sveva, angioina, aragonese, spagnola, sabauda, austriaca, borbonica, senza però mai perdere i caratteri peculiari della propria individualità storica. 

A differenza di quanto si potrebbe pensare, il succedersi di dominazioni diverse non ha causato nette cesure nella continuità delle vicende del popolo siciliano. Al contrario in Sicilia è rimasta costante una tradizione di esperienze ormai sedimentate, che le ha dato la fisionomia inconfondibile di un Paese di antica civiltà e con una cultura composita ma nello stesso tempo unitaria, armonica e senza dubbio notevolmente ricca.

Le numerose tradizioni e la profonda spiritualità del suo popolo hanno trovato una chiara espressione nella lingua, nei consumi e nell’arte, generando al contempo personalità singolari e talora eccezionali, che vanno da Archimede a Ettore Majorana nelle scienze, da Teocrito a Salvatore Quasimodo nella poesia, da Epicarmo a Luigi Pirandello nel teatro, da Antonello da Messina a Filippo Juvarra nelle arti figurative, da Giovanni Verga a Giuseppe Tomasi di Lampedusa nella letteratura, da Francesco Crispi a Luigi Sturzo nella politica, da Alessandro Scarlatti a Vincenzo Bellini nella musica.

Da questo breve ed esaustivo excursus storico-culturale, non mi sembra che la Sicilia possa essere vista come il fanalino di coda dell’Italia o come la terra dove nessuno ha voglia di lavorare e dove si vive da parassiti come invece vuole farci credere la moderna storiografia che ha creato l’immagine delle “due Italie”, settentrionale e meridionale, considerando quest’ultima solo in funzione della prima.

Se da un lato è vero che le complesse vicende storiche isolane, testimoniate da uno dei più grandi patrimoni artistici di tutto l’Occidente, diversificano la storia della Sicilia da quella del resto dell’Italia, rendendola di certo non meno significativa, dall’altro è anche vero che alcuni aspetti della sua Storia anticipano addirittura quelli della penisola. Proprio in Sicilia fu organizzato, sotto la dominazione normanna, il primo Stato nel senso moderno del termine e, in pieno periodo napoleonico, sorse, anche se per breve tempo, un esperimento di monarchia costituzionale sul modello di quella inglese di consolidata tradizione, alla quale l’Italia si sarebbe affacciata solo molto più tardi. E che dire poi della prima lirica d’arte in lingua italiana fiorita a Palermo presso la corte di Federico II di Svevia?


Miti e leggende sull’origine della Sicilia


Anche all’origine dello stemma siciliano, storia e mitologia rinnovano il loro matrimonio. La trinacria è composta dalla testa della Gorgone, i cui capelli sono serpenti intrecciati con spighe di grano, dalla quale si irradiano tre gambe piegate all’altezza del ginocchio.

La Gorgone è un personaggio mitologico che, secondo il poeta greco Esiodo, era ognuna delle tre figlie delle due divinità marine Forco e Ceto: Medusa (la gorgone per antonomasia), Steno (“la forte”), Euriale (“la spaziosa”). Avevano zanne di cinghiale, mani di bronzo, ali d’oro, serpenti sulla testa e nella vita, abitavano presso le Esperidi ed erano in grado, con uno sguardo, di pietrificare gli uomini. Le spighe di grano, sulla testa di Medusa, rappresentano l’abbondanza e la fertilità del territorio isolano. Le tre gambe rappresentano i tre promontori, punti estremi dell’isola: capo Peloro nel nord-est, capo Passero a sud oltre Siracusa, capo Lilibeo ad ovest nei pressi di Marsala.

Il nome Trinacria affonda le sue radici etimologiche fra greco e latino: da “Trikeles”, parola greca composta che sta per “tre promontori”; madre del termine latino “Triquetra”, che sta, invece, per “tre vertici”. Secondo un’altra versione sull’origine del nome Trinacria e del suo simbolo, si racconta che i tre promontori ai tre vertici dell’Isola sarebbero sorti grazie a tre ninfe. Queste tre splendide creature vagavano danzando per il mondo prelevando manciate di terra, piccoli sassi e frutti dalle aree più fertili. Ad un certo punto si fermarono in una regione del globo che aveva un cielo particolarmente limpido ed azzurro. Lì la danza si fece più elegante, gioiosa e fra un passo e l’altro le tre ninfe gettarono in mare tutto quello che avevano raccolto per il mondo. 

Il mare si illuminò come un arcobaleno e dalle onde emerse una terra tutta nuova, ricca, profumata, splendente. Aveva la forma di un triangolo in quanto riempì lo spazio fra i promontori che si erano creati proprio lì dove le tre ninfe, danzando, avevano gettato tutto il loro ricco carico. E che dire poi del giovane Colapesce, abile nuotatore, che per evitare che la sua isola affondasse, decise di vivere negli abissi e sorreggerla per sempre?

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I siciliani e la Sicilia



Sant’Agostino scrisse che “il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge solo una pagina”. Una metafora che mi piace molto e che fa ben capire quanto intrecciato e vario può essere il mondo e quanto intrigante e bello può essere viaggiare. Purtroppo non tutti hanno la fortuna e la possibilità di girare il mondo, di conoscere nuove culture, nuovi costumi, nuovi cibi, nuovi sapori, nuovi odori. Non tutti possono spostarsi agevolmente da un punto all’altro del globo o trascorrere mesi in paesi stranieri. Girare il mondo è il sogno di tutti ma quasi nessuno riesce a realizzarlo. Quasi nessuno riesce a leggere per intero questo fantastico libro. Tutti però dovrebbero leggerne almeno le pagine iniziali. Spesso le cose più belle sono a due passi da noi. Nel raggio di 100-200 Km da casa troverai sicuramente qualcosa da visitare, qualcosa di nuovo da scoprire. Soprattutto se hai la fortuna di vivere in Sicilia.

Le nostra città, le nostre montagne, i nostri boschi, le nostre cale, i nostri golfi, le nostre piazze ci riservano delle meraviglie, degli scorci e degli scenari che mai avremmo immaginato. Il viaggio più importante da fare è quello “dietro” casa. Il viaggio più bello è quello che ci porta alla scoperta delle nostre radici. Conoscere i posti in cui i nostri antenati sono nati ed hanno combattuto, conoscere le proprie tradizioni è di fondamentale importanza se si vuole cominciare a conoscere il mondo. Leggere le prime pagine del libro significa conoscere in parte la propria cultura. È vero che il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge solo una pagina ma prima di girare il mondo provate a conoscere meglio ciò che vi circonda. Ne varrà sicuramente la pena.

(da ilovesicilies.altervista.org)

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