28 lug 2016

LUOGHI MISTICI IN SICILIA OCCIDENTALE

Viaggiare tra storia, cultura, misteri e fantasia della SICILIA OCCIDENTALE 

Qui troverete le indicazioni per trovare posti misteriosi ed affascinanti della Sicilia, luoghi di una regione misteriosa ed intrigante con i racconti e le storie, le passioni che li hanno animati 
Posti in cui sono nascosti tesori, dell'arte, della passione o "semplicemente" d'oro e gioielli ma comunque sempre da visitare per i loro misteri e le loro storie avvincenti,le loro leggende magiche e ricche di fascino.

Se volete fare un viaggio in Sicilia, se cercate un posto per un viaggio alla scoperta di parchi e di luoghi da vedere per il fascino che emanano. Qui troverete consigli di viaggio per visite a città, paesi, rocche e castelli, costruzioni ed ambienti medioevali, da rivivere lasciandosi avvolgere dalla poesia e dalla fantasia.


-Palermo - Il castello della Zisa, leggenda tra tesori, paradiso e diavoli: 

La parola "Zisa" deriva dall'arabo al.Aziz, ovvero "la splendida". Secondo la testimonianza di Romualdo di Salerno, il re volle questo castello come "sollatium" (luogo di piacere) e "lo circondò di magnifici alberi da frutto e di bellissimi giardini che rese ameni con vari corsi d'acqua e grandi vasche per pesci". Secondo un'iscrizione in caratteri cufici, conservata nel muretto d’attico del palazzo, si può far risalire al 1175 la data di completamento dei lavori del sollatium reale. I primi sostanziosi interventi di restauro furono eseguiti negli anni 1635-36, quando Giovanni de Sandoval acquistò la Zisa. Successivamente, nel 1806, la Zisa pervenne ai Principi Notarbartolo, rappresentanti della piu' antica nobiltà siciliana ed eredi della Casa Ducale dei Sandoval de Leon, famiglia a cui il Re di Spagna aveva concesso nel 1672 il titolo di Principe della Zisa. Nel 1955 il palazzo fu espropriato dallo Stato. L'assenza di lavori di restauro portarono a 15 anni d’incuria ed abbandono cosicchè nel 1971 l’ala destra crollò. Il progetto per la ricostruzione strutturale, il restauro filologico e la fruizione, venne affidato al Prof. Giuseppe Caronia, il quale, dopo circa vent'anni di appassionato lavoro e rilettura integrale, nel giugno del 1991, restituì alla storia, uno dei monumenti più belli e suggestivi della civiltà siculo normanna. Attualmente la Zisa ospita il Museo d'Arte Islamica con numerose ceramiche del'XI e XIII secolo, vasi di ottone battuto lavorati a niello e risalenti al XIII e XV secolo, legni egizi di epoca. L'elemento architettonico più caratteristico è senz'altro la Sala della Fontana. Nella nicchia sull’asse dell’ingresso principale si trova la fontana sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro, sotto il quale scaturisce l’acqua che, scivolando su una lastra marmorea decorata a chevrons posta in posizione obliqua, viene canalizzata in una canaletta che taglia al centro il pavimento della stanza e che arriva alla peschiera antistante. Facevano parte del complesso monumentale normanno anche un edificio termale, i cui resti furono scoperti ad ovest della residenza principale durante i lavori di restauro del palazzo, ed una cappella palatina posta poco più ad ovest. Il Castello della Zisa era un vero paradiso e sorgeva fuori le mura della città di Palermo, all’interno del parco reale normanno, il Genoardo (dall’arabo Jannat al-ar ovvero "giardino o paradiso della terra"), che si estendeva con splendidi padiglioni, rigogliosi giardini e bacini d’acqua da Altofonte fino alle mura del palazzo reale. 
Ma come può esserci un paradiso terrestre senza diavoli ? ed infatti all’entrata della Zisa sono dipinte delle figure mitologiche chiamate "diavoli" disposti in un modo tanto particolare da renderne impossibile il computo. Chi li guarda nel giorno della festa dell’Annunziata (25 di marzo) vede che essi si muovono e non si finisce mai di contarli. C’è chi dice siano tredici, chi quindici, chi di più, nessuno è mai riuscito a sapere con esattezza quanti siano. 
Ma perchè questa difficoltà ?  La leggenda racconta che il palazzo nasconda il tesoro dell' Imperatore costituito da un forziere pieno di monete d'oro. Per tutelare questo tesoro fu fatto un incantesimo. A tenere l’incantesimo, a guardia del tesoro, ci sono appunto questi Diavoli che lo proteggono dai Cristiani. La leggenda dice che chi sarà in grado di contare il numero esatto dei diavoli raffigurati , diventerà immediatamente ricco. Nessuno finora sembra riuscito a contarli, tuttavia temo che la soluzione di questo problema fornisca solo il primo indizio nella ricerca del tesoro.
Vi ricordate la scritta a caratteri cufici che riporta la data di completamento del castello ? Bene ! questa è posta sulla cornice in alto a chiudere la costruzione e, tra l'altro, riporta un' iscrizione dedicatoria purtroppo oggi molto lacunosa e solo in parte tuttora visibile nel muretto d’attico del palazzo. Questa scritta stranamente non indica il nome del re fondatore del castello, come è usanza, ma sembra riportare un segreto o un'indicazione che purtroppo oggi è solo in parte leggibile perchè è stata tagliata ad intervalli regolari nel tardo medioevo, quando la struttura fu trasformata in fortezza. 
Forse unendo i vari indizi, compresi quelli che lo collocano nella cripta, sarà possibile risalire al luogo dove è nascosto il tesoro. Comunque se andate a Palermo non vi potete perdere questo tesoro architettonico.
Quando a Palermo le civiltà coesistevano e le culture si integravano : una pietra sepolcrale con un'iscrizione in quattro lingue : latina, greca, ebraica, araba.
È conservata nel castello della Zisa, stupendo edificio di epoca normanna e di concezione araba.



-Agrigento - Gli apogei del Purgatorio ed il tesoro di Falaride: 

Gli ipogei stanno nascosti sotto il suolo della città, camminiamo su di loro, indifferenti alla loro esistenza senza immaginare la loro presenza, il loro significato, la loro storia, il loro mistero. 
Questo mondo sottorraneo nasconde un grande tesoro: il tesoro di Falaride. Tutto quanto si sa di preciso sull’argomento è che i sotterranei sono curati da mani sconosciute e che sembrano abitate solo da pipistrelli.

Il tesoro di Falaride sembra sia celato negli Ipogei del Purgatorio o del Labirinto - Agrigento
E senz'altro qualcosa di vero deve esserci se tanti ricercatori hanno tentato la ricerca, si dice, per ora, invano. Nella storia e nelle legende spesso si narra di molti cercatori di tesori discesi nelle viscere della terra alla ricerca di tesori e che 
molti di loro non sono più tornati alla superficie. Anche molti di coloro che sono partiti alla ricerca del tesoro di Falaride nonsono ritornati "a riveder le stelle". Da qui deriva la credenza che gli ipogei siano incantati; a questa credenza ed alla difficoltà di ritornare in superficie ha senz'altro contribuito il suo celebre costruttore, il famoso DEDALO. La tecnica costruttiva e la predisposizione del terreno portano poi a che il vento vi infuri, per via dei tanti corridoi che vi si snodano. 
Che le ricchezze vi siano veramente, sepolte nel fango e nell’oscurità ?

-Agrigento – Il fenomeno del ‘portavoce’ nella cattedrale di San Gerlando

Nella cattedrale, fondata alla fine dell'XI secolo, si verifica uno strano evento. Chiunque si trovi nel presbiterio (dove viene celebrata la Messa), può sentire ciò che viene detto, anche a bassissima voce, da una persona posizionata all'ingresso della chiesa, ad una distanza di 85 metri. Il fenomeno è reso ancora più curioso dall'impossibilità di ripeterlo nel senso inverso.

-Bagheria (PA) – Villa Palagonia, la Villa dei mostri

Villa Palagonia, in Sicilia, è una villa appartenente al principe omonimo ma le credenze relative ai mostri scolpiti sull’antico viale che doveva fare da ingresso alla Villa, sono numerose. Veri mostri o solo leggende? Villa Palagonia è situata a Bagheria, in Sicilia e fu fatta costruire dal Principe di Palagonia ovvero Francesco Ferdinando Gravina Cruyllas nel 1715. La villa non solo è molto grande ed ancora oggi se ne possono ammirare i resti, ma è contornata da una serie di “mostri”. 
Fu il nipote del principe di Palagonia, chiamato Francesco Ferdinando II, detto “Il Negromante”, a far costruire la sfilza di figure mostruose intorno alle mura, in particolare disseminate lungo il viale che faceva da ingresso.
I “Mostri” furono scolpiti in pietra arenaria ed oggi ne sopravvivono solo sessantadue mentre il numero originario era di circa duecento.
Nel 1885 la villa venne acquistata da privati, che ne sono tuttora in possesso, ed è parzialmente aperta al pubblico. I “Mostri” allora sono scomparsi? Niente affatto. I mostri ci sono ancora e con loro, la serie di leggende che si portano dietro.
Prima di tutto, si crede che nella villa viva ancora il fantasma di Francesco Ferdinando Gravina mentre altri sostengono che le figure mostruose, portavano disgrazie come aborti e che abbiano ancora il potere di far accadere queste cose.
Una testimonianza di alcuni ragazzi siciliani che erano andati a visitare la villa, racconta che dopo aver visitato il giardino, erano saliti nella sala degli specchi perché avevano trovato la porta aperta. Dopo che erano rimasti per circa un’ora ad ammirare la bella vista, i fiori ed il giardino ben curato dal balcone, uno dei ragazzi del gruppo però aveva notato un’ombra che toglieva la sicura dalla porta e la chiudeva da dentro, dall’interno. Una ragazza racconta di ricordarsi benissimo di aver esclamato “Ma si è sganciata e si è richiusa da sola!“. 
Tutti avevano sentito tra l’altro, lo schianto violento prodotto dal chiudersi della porta. I ragazzi avevano creduto che fosse stato il custode a chiudere volontariamente. In seguito a vani tentativi e grida utili solo a far andare via la voce, finalmente li aveva sentiti la signora che viveva nel piano di sotto, che aveva spiegato loro che il vecchio padrone della villa, il principe Don Ferdinando Gravina, spesso faceva questi scherzi ai visitatori. 
Per quanto riguarda le statue dei mostri invece, essi erano stati fatti erigere dal nipote di Gravina, “Il Negromante” perché voleva che essi fossero dei “guardiani” degli uomini. Egli spese una follia per realizzare l’intero progetto di costruzione e forse fu anche questo ad aumentare le leggende relative ai “mostri”. Essi, una volta costruiti, avrebbero cominciato a causare aborti o parti mostruosi alle donne.
Queste costruzioni raffiguravano animali fantastici, figure antropomorfe, statue di dame e cavalieri, musicisti, gnomi, centauri, draghi, suonatori di curiosi strumenti, figure mitologiche, mostri di tutti i tipi e tempi, caricature varie. Addirittura sembra che il principe avesse deciso di realizzare le figure dei mostri mettendo teste di animali a corpi di uomini e viceversa e creando almeno cinque-sei “mostri” di cui non se ne conosce la presenza in natura. 
Insomma, fin dalla sua realizzazione, le statue sembrano avere qualcosa di “insano”, come se questi mostri-guardiani stessero pronti ad attaccare. Chissà, magari sono pronti ad attaccare appena il loro padrone, il cui fantasma si aggira ancora tra le mura della villa per fare dispetto, glielo ordina. (di Giada Fiordaliso) 

-Calatafimi (TP), Segesta – Il misterioso tempio a cielo aperto



-Cefalu’ (PA) – Le sorprendenti conchiglie musicali

Le bizzarre conchiglie del Museo Mandralisca a Cefalù

-Cefalu’ (PA) – Il tempio di Diana, un misterioso santuario preistorico


Sulla balza che sovrasta l'abitato è il santuario preistorico detto tempio di Diana, costruzione megalitica del sec. IX a.C. sulla quale in epoca greca (sec. V-IV a.C.) fu edificato un altro edificio, poi trasformato in chiesa bizantina. Annessa al santuario è una cisterna con copertura a lastroni megalitici, dove sono stati rinvenuti materiali dell'età del Bronzo. Ingresso gratuito

-Erice (TP) – La geometria sacra

-Erice (TP) – Grotta di Polifemo, il labirinto più antico del mondo ad Erice svela i suoi misteri al solstizio d'estate. 


Scoperto nel 1986 da Giovanni Vultaggio, presidente dell'Archeoclub di Trapani, il pittogramma presente sul soffitto della Grotta di Polifemo - sul litorale del territorio di Erice - che rappresenta un arcaico labirinto di tipo classico, venne datato dall'archeologo Sebastiano Tusa al 3000 a. C. (M. Rigoglioso, The oldest labirinth in the world?, in: Caerdroia 29, 1988). Più vecchio, quindi, dei più antichi esemplari di labirinti presenti nella Carelia e nel Baltico, datati dagli archeologi russi al III – II millennio prima di Cristo (G. Pavat et al., Fino all'ultimo Labirinto, Youcanprint, 2013, p. 221). 
Posta proprio accanto alla più nota ed agevole Grotta Emiliana, ad un'altezza di una cinquantina di metri s. l. m., la Grotta di Polifemo se ne distingue dalla precedente sia per la sua divisione in almeno due grandi vani, separati tra loro da uno stalagmite che si congiunge al soffitto come un pilastro, sia per le conformazioni rocciose varie ed eterogenee al suo interno, sia infine per le numerose rocce presenti specie all'ingresso, probabilmente frutto di frane o smottamenti avvenuti nel corso dei millenni (dettaglio da tenere presente come si vedrà in seguito).
Il vano rialzato costituito dalla metà sinistra della grotta, profondo all'incirca 7 metri, presenta un soffitto piuttosto basso e digradante verso il fondo. Su di esso ad un'altezza di 1 metro e 30, si trova appunto il pittogramma del labirinto in ocra rossa, costituito da sei volute concentriche e grossomodo ellittiche per un diametro massimo di 30 cm. Immediatamente di lato - nonostante il forte degrado del colore - si indovina anche una figura antropomorfa, sempre di colore rosso, che anche a detta degli archeologi che l'hanno studiata, sembra essere costituita da una testa stilizzata, due braccia alzate, ed una lunga tunica “a campana”. Con la mano sinistra essa sembra reggere qualcosa, come un corno, dipinto in colore scuro.
L'immagine ne ricorda un'altra, antichissima, ovvero la “Venere di Laussel”, una delle tante raffigurazioni paleolitiche della Grande Madre dalle forme prosperose ritrovate un po' in tutta Europa. La Venere di Laussel (Francia) regge appunto nella mano destra un corno con tredici tacche, simboli della luna e del numero di lunazioni (o anche cicli femminili secondo alcuni) esistenti nell'arco di un anno. La medesima immagine con la testa stilizzata, le braccia alzate, e la lunga gonna a campana ricorda per un altro verso anche le raffigurazioni e le statuette delle più antiche divinità femminili cretesi, anche del periodo più arcaico dell'isola minoica. Ma mentre queste ultime sono più o meno contemporanee all'età stimata dei pittogrammi, la Venere di Laussel ha un'età di 20.000 anni, troppo antica dunque per avere qualche collegamento con le figure della Grotta di Polifemo, le quali esaminando le prove archeoastronomiche - come si vedrà più avanti - vennero prodotte proprio intorno al 3.000 a. C., e forse più precisamente tra il 3183 ed il 3039 a.C.
Per completare la descrizione della grotta, sul soffitto roccioso a poca distanza dal labirinto e dalla dea, si riconoscono le tracce sbiadite di altre figure, quali un toro in stile orientale, due code di pesci – forse tonni – che emergono da una chiazza rosso ocra, e parecchie macchioline sempre rosse che alcuni studiosi hanno ipotizzato trattarsi di stelle o costellazioni.
L'ingresso della caverna guarda verso nord-ovest, il che significa che è potenzialmente allineato col tramonto del sole nel giorno del solstizio d'estate. Il punto dell'orizzonte dove da quelle parti tramonta il sole al solstizio estivo è l'azimuth 301 (ponendo chiaramente 0 = Nord, 180 = Sud, ecc.). Ed in effetti dall'interno della grotta quel punto è visibile sull'orizzonte marino proprio immediatamente sotto uno sperone roccioso che si protende verso il distante litorale. Da osservazioni e rilevamenti effettuati da me personalmente nei giorni del 21 e 22 giugno 2015 e documentati con le foto allegate, risulta che nei giorni a cavallo del solstizio i raggi del sole al tramonto penetrano nella grotta con effetti spettacolari. Anche se infatti l'interno della parte sinistra della grotta (dove vi sono il labirinto e gli altri pittogrammi) viene illuminato dalla gialla luce solare per alcune settimane precedenti e successive al 21 giugno, è soltanto in corrispondenza dei tre giorni a cavallo del solstizio estivo che il sole subito prima di tramontare riesce a superare di poco il basso sperone roccioso sullo sfondo, e ormai rosso e prossimo a toccare il mare inonda di luce color granata l'interno della caverna, con effetti a dir poco suggestivi. Questo effetto scenografico non poteva certo passare inosservato agli antichi, che diedero un valore sacro alla Grotta di Polifemo, e dopo averla dotata dell'immagine del labirinto, della Dea Madre e di altre figure simboliche, iniziarono a svolgervi i loro riti solari in corrispondenza appunto del solstizio estivo.
Proprio la correlazione tra il ciclo annuale del sole, la Grande Madre e la relativa semplicità arcaica dei simboli, svela non solo il significato dell'immagine della Grotta di Polifemo, ma in realtà anche di tutti i labirinti (perlomeno di quelli dell'età antica). A differenza degli esempi dei labirinti classici più tardi, come quelli micenei, etruschi, ecc., il labirinto della Grotta di Polifemo possiede non sette, bensì solo sei volute concentriche: proprio come i sei mesi che intercorrono tra un solstizio e l'altro. I cerchi concentrici in altre parole simboleggiano le differenti altezze nel cielo che il moto apparente del sole percorre dal solstizio invernale a quello estivo, per poi tornare a ripercorrere in senso calante il medesimo cammino nella seconda parte dell'anno. Probabilmente allora non è nemmeno un caso che le tre linee/orbite superiori del pittogramma siano interrotte da quella piccola imperfezione grigia della roccia a forma di occhio. Esisteva certamente già prima che vi venisse dipinto il labirinto, ma gli antichi artisti lo inglobarono nel loro affresco proprio a simboleggiare il disco solare che nei periodi dell'anno di maggiore altezza – corrispondenti ai tre mesi primaverili (in ascesa) ed estivi (in discesa) – esprime tutta la sua potenza stagionale.
In analogia con altri riti di altre culture, mediterranee ed europee, la Grotta di Polifemo doveva servire anche come luogo sacro per eseguire riti funebri, in cui il corpo del defunto veniva illuminato dalla luce solare, e con l'aiuto della Dea Madre Terra – di cui le pareti illuminate di rosso riproducono simbolicamente le intime viscere - ottenere una nuova gestazione e una nuova reincarnazione, a somiglianza del seme interrato che riemerge alla luce in forma di pianta. Le volute inferiori del labirinto dipinto sul soffitto della caverna dovrebbero infatti riprodurre il percorso sotterraneo del sole "defunto" che molti popoli antichi – ad es. gli Egizi – immaginavano dopo il tramonto nel corso della notte, in attesa che la Madre Terra (la dea Hathor per gli Egizi) partorisse nuovamente all'alba l'astro diurno. 
Si ripropone insomma quanto già detto in altre sedi a proposito della interpretazione del (molto più tardo) mito del labirinto cretese in chiave solare: la Dea Madre del mondo dei morti, Arianna (la "purissima" o la "luminosa" secondo l'etimologia del suo nome), dona allo spirito del defunto, simboleggiato da Teseo, il rosso filo di lana, ovvero il raggio di sole, affinchè dopo avere sconfitto i mostri minacciosi degli inferi (l'antropofago Minotauro) possa venire guidato dal medesimo filo rosso/raggio solare verso la luce, con una nuova nascita (cfr. I. Burgio, Le civiltà stellari, Narcissus.me, p. 128).
Anche i Minoici di Creta del resto veneravano caverne-santuari (utilizzate sia come necropoli che per altri usi) chiamate in lingua asiatica labra, da cui secondo alcuni studiosi – come F. Vian - sarebbe derivato il termine "labirinto". I ricercatori infatti ormai da parecchio tempo non danno più credito alla classica etimologia proposta da Plutarco che interpretava il termine arcaico labrys come "ascia bipenne" (che in realtà era pelekysper i Greci, e Wad per i cretesi), e secondo un'altra diversa interpretazione fanno risalire la parola labirinto al termine minoico Da-pyr-into, con la quale gli antichi Cretesi si riferivano alle divinità ctonie, come la Dea Madre Terra (G. Pavat, Fino all'ultimo labirinto, cit. pp. 39-40). 
Da-pyr-into, di difficile interpretazione, forse può venir tradotto con l'espressione "il fuoco (spirito, vita) dentro la terra (Da)". Una delle più famose caverne dell'isola di Creta era l'Antro di Amniso, dedicato alla Dea Madre Ilizia, dove al compiersi dei nove mesi le donne incinte si recavano per partorire (F. Vian, Le religioni della Creta minoica e della Grecia achea, Laterza, p. 10). 
Tornando alla Grotta di Polifemo, è bene precisare comunque che nonostante gli straordinari effetti solari al suo interno, né i più forti raggi gialli, né quelli rossi del sole arrivano a toccare la figura femminile o il labirinto, ma si arrestano a pochi centimetri dalle immagini. Tuttavia è possibile che anticamente il sole riuscisse ad illuminarli, poiché sono proprio i massi all'ingresso della grotta che sbarrano la via agli ultimi raggi: probabilmente quei massi all'ingresso sono il frutto di frane o terremoti che in questi cinquemila anni si sono verificati nella zona (come del resto è anche il parere di alcuni studiosi).
In ogni caso sembra che gli artefici delle figure presenti nella Grotta di Polifemo dovessero appartenere a quelle genti originarie del Mediterraneo orientale, di cultura e religione anatolica-egea – i famosi e misteriosi "Pelasgi" – che, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici, nascondendosi agli occhi degli storici antichi sotto il nome di Elimi, diffusero proprio intorno al 3000 a. C. anche in Sicilia (oltre che in Sardegna), il culto della Grande Madre, dei cicli stagionali del sole, e della rinascita della natura e delle anime dopo la morte, strettamente connessi tra loro (terza "ondata migratoria" in Sicilia dopo le precedenti culture di Stentinello e della "ceramica dipinta" – cfr. L. Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Il Saggiatore, 1966, p. 58 e sgg.). Quelle stesse genti che nell'arcipelago maltese costruirono i templi megalitici di Tarxien, Mnajdra, Ggigantija, Hagar Qim, pieni di statue e simboli della Madre Terra, in cui i raggi del sole producono spettacolari effetti di luce ai solstizi ed agli equinozi. E che molto probabilmente fondarono anche nel Lazio meridionale, centri urbani dallo stile megalitico, di cui ancora oggi rimangono ad esempio le imponenti mura della cittadina di Alatri (Fr).
Vi sono tuttavia anche altri straordinari fenomeni astronomici legati alla Grotta di Polifemo ed al solstizio estivo, che fanno sospettare una stretta connessione con una civiltà ancora più sofisticata anche dal punto di vista astronomico, ovvero quella dei Sumeri.

Le sorprese di Venere: Se con un buon programma informatico di astronomia (ad es. Stellarium) si torna indietro nel tempo e si ricostruisce la mappa del cielo intorno al 3000 a. C. si può osservare qualcosa di interessante: al solstizio d'estate – che all'epoca per effetto della precessione degli equinozi avveniva nella costellazione del Leone – il pianeta Venere ogni otto anni tramonta dopo il sole nel medesimo punto dell'orizzonte, ovvero l'azimuth 301. Anche la luminosa "stella della sera", seguendo il suo ciclo ottennale, dava dunque spettacolo di sé a chi si trovava all'interno della grotta, seguendo il sole oltre l'orizzonte nel suo viaggio notturno di rinascita all'interno della Madre Terra. Questa precisa congiunzione astronomica tuttavia poteva avvenire soltanto tra il 3183 ed il 3039 a. C. Dopo tale data infatti, sempre per effetto della precessione, la coincidenza non risulta più precisa, e ai nostri giorni il pianeta Venere non "si tuffa" più in mare nello stesso punto del sole, ma tramonta dietro lo sperone roccioso. Certamente anche per un tale spettacolo astronomico, dai precisi significati simbolici e religiosi per le genti dell'epoca, venne scelta proprio la Grotta di Polifemo come "luogo di culto".

Questa osservazione è importante non solo perchè potrebbe dare un'ulteriore conferma della datazione del labirinto e degli altri pittogrammi fornita da Sebastiano Tusa (retrodatandola semmai di qualche centinaio di anni), ma anche perchè è in grado di chiarire tanti altri enigmi. 
Esattamente nel medesimo periodo infatti in Sardegna, veniva edificato il primo nucleo di un tempio piramidale oggi noto come "la zigurrat" di Monte d'Accodi, a poca distanza dalla città di Sassari. Come hanno scoperto gli archeologi anticamente essa era dipinta di rosso, ed un paio di secoli dopo venne inglobata all'interno di una costruzione più grande "a terrazze", come una vera e propria zigurrath mesopotamica. Gli scavi nella zona hanno permesso di recuperare numerose statuette femminili, di stile egeo-cicladico, un contenitore con resti di ocra rossa, ed una stele con disegni di losanghe e spirali. I ritrovamenti più interessanti tuttavia sono stati una lastra di altare con sette fori, una pietra sferica raffigurante secondo alcuni studiosi le costellazioni, diverse tombe ipogee, ma soprattutto tre menhir con precisi allineamenti: verso mezzogiorno, verso le fasi lunari ed anche, cosa che sorprende ancora adesso gli archeologi, verso le fasi del pianeta Venere!
Se per un verso insomma può risultare certamente verosimile che furono i navigatori pelasgi provenienti dall'Egeo, dalle Cicladi, dall'Anatolia, e via dicendo, a diffondere anche nel Mediterraneo centrale le conoscenze astronomiche di base – come la suddivisione dell'anno in due gruppi di mesi luni-solari di trenta giorni, da solstizio a solstizio – oltre che i culti religiosi della Grande Madre, del sole e della rinascita, insieme ai connessi simboli della spirale e del toro; per un altro verso sorge il sospetto che tra di essi vi fossero anche genti mesopotamiche, probabilmente mercanti, dalle conoscenze astronomiche più sofisticate, quali appunto quelle relative al pianeta Venere ed alle sue fasi.

La Uruk di Sicilia: La fase iniziale della civiltà sumera, ben prima del 3000 a.C., venne contraddistinta nella Mesopotamia meridionale dallo sviluppo di grandi centri urbani a scapito delle zone rurali circostanti. Fra queste città, in particolare Uruk nella parte più a sud, prospiciente il Golfo Persico, assunse grande importanza. Nume tutelare di essa era Inanna, che all'interno del pantheon sumerico era la dea della vegetazione, dell'amore e della guerra. Sotto il punto di vista astronomico, essa veniva identificata naturalmente col pianeta Venere. Secondo la religione sumerica era sorella sia del dio del sole Utu, come anche di un'altra dea, Ereskigal, sovrana degli inferi: due sorelle-divinità antitetiche eredi della Grande Dea Madre anatolica ed imparentate ambedue col sole, che rappresentavano ovviamente le due parti dell'anno separate dai due solstizi, quella col sole ascendente e positivo, e quella discendente e negativa.

Nel mito sumerico Inanna agli Inferi, la dea luminosa della bellezza e dell'amore scende nel regno dei morti per far visita a sua sorella. Gli inferi sumerici sono circondati da sette mura e chiusi da sette porte, ed ogni volta che Inanna ne varca una viene privata dai guardiani di uno degli attributi divini che costituiscono il suo potere, finchè dopo averli persi tutti e sette si ritrova inerme di fronte alla perfida sorella. E costei presa da astio la uccide con lo sguardo. Ci penserà Enki, dio delle acque, a riportarla in vita, ma la dea sumera dell'amore per lasciare il mondo dei morti e tornare tra i viventi dovrà trovare un sostituto che rimanga al posto suo agli inferi, e lo troverà prima in Dumuzi, suo sposo, e poi anche nella sorella di questi, Geshtinanna, che si farà carico di sostituire il fratello nel mondo dei morti per sei mesi l'anno. 
Questo mito sumerico, lontano antenato dei corrispondenti miti greci di Demetra e Persefone, è naturalmente anche all'origine del mito classico della nascita (o meglio: rinascita) di Venere che ogni otto anni, nel medesimo punto dell'orizzonte, rinasce dal mare e da una conchiglia (che in tempi remoti doveva essere non una comoda e larga patera, bensì una conchiglia a spirale – figura del mondo sotterraneo da cui ritornare alla luce dopo un tortuoso e lungo percorso). Da quanto emerge dalle antiche tavolette cuneiformi, già prima del III millennio a. C. gli astronomi Sumeri conoscevano bene il pianeta Venere ed i suoi correlati cicli celesti.
La ricca e potente città sumera di Uruk, già intorno al 3000 a. C. - come attestato dalle tavolette cuneiformi e dagli scavi – intratteneva una fitta rete di scambi con molte regioni anche distanti e remote, persino con l'Anatolia, il Mar Egeo e l'Egitto, diffondendo in tal modo anche il culto della dea Inanna, i suoi miti e le conoscenze astronomiche relative al pianeta Venere. I mercanti della metropoli sumera devono aver raggiunto oltre Malta, anche la Sicilia, la Sardegna e forse anche il Lazio. Sulle robuste navi dei primi fiorenti centri dell'Egeo – Milo, Paro, Poliochni, ecc. - devono aver fondato insieme ai Pelasgi-Elimi empori e colonie anche sulla costa occidentale della Sicilia. Su quest'isola le tracce del loro passaggio sono ormai praticamente scomparse, ed anche le iscrizioni cuneiformi scoperte nel 2012 dall'archeologo Alberto Scuderi nella Valle dello Jato (Pa), così come la "zigurrath" tronca di Cerumbelle a Pietraperzia (Cl), secondo gli studiosi sono più giovani di almeno duemila anni. 
Tuttavia, proprio sopra l'altipiano montuoso che ospita lungo la costa la Grotta di Polifemo insieme alle tante altre caverne, esiste ancora oggi la loro antichissima città principale, chiamata Iruk nella loro arcaica lingua, Erech nella lingua semitica dei Cartaginesi (il medesimo termine che nella Bibbia indica proprio la città mesopotamica di Uruk), ed Erice, nelle lingue più recenti. Proprio come la loro madrepatria mesopotamica, essa era anticamente famosa per un grande tempio dedicato alla dea della bellezza e dell'amore – l'Inanna sumerica, l'Ishtar babilonese, l'Ashtar (Astarte) fenicia, la Tanit punica, e l'Afrodite/Venere greco-romana – famoso presso tutti i marinai e i naviganti che transitavano per il Canale di Sicilia. Questo tempio scomparve insieme all'età antica ed al suo posto si trova adesso un castello medievale. Ma dell'antica Uruk/Erice rimangono ancora soprattutto le imponenti mura ciclopiche, costruite con massi megalitici lunghi anche quasi due metri, e le tre porte d'ingresso alla città, perfettamente orientate ai tre tramonti più significativi dell'anno: il tramonto del solstizio estivo (Porta Spada, azimut 301); quello del solstizio invernale (Porta Trapani, azimuth 240); ed il tramonto all'equinozio primaverile ed autunnale (Porta Carmine, azimuth 270).
E naturalmente rimangono anche gli straordinari pittogrammi della sottostante Grotta di Polifemo, il cui labirinto, l'esempio più antico finora scoperto al mondo, potrebbe rivelarsi benissimo anche il primo esempio mai sviluppato nel corso della storia di questo simbolo: un archetipo, partorito da una geniale mano anonima, desiderosa di produrre qualcosa di diverso, più raffinato e sofisticato, rispetto alle solite spirali. Così l'idea di fondere l'immagine femminile della spirale – l'utero della Madre Terra – con la raffigurazione del ciclo solare alle differenti altezze nel cielo, diede vita ad un simbolo apotropaico di vita e rinascita, la cui fortuna dura ancora oggi da più di cinquemila anni! (di Ignazio Burgio) 

-Marsala (TP) – La Grotta e l’acqua della Sibilla: 

L’acqua è uno dei principali simboli dell’origine della vita, impiegato nelle celebrazioni cristiane per la congiunzione dell’uomo con il divino e, in egual modo nella cultura popolare per dilavare l’anima dal peccato o la buona riuscita di incantesimi; infatti questo semplice liquido trasparente acquista proprietà magiche e spirituali riuscendo ad avere effetti a dir poco miracolosi. In alcuni rituali cledonomantici l’acqua può addirittura regalare il dono della profezia. Nel comune di Marsala, in provincia di Trapani, nella famosa cripta di San Giovanni, nota anche come “la grotta della Sibilla” ogni anno, per la vigilia della festa del Battista che avviene intorno il 24 giugno, molti fedeli vi accorrono per assistere a particolari riti di arte divinatoria. La cripta si trova nella zona ipogea della chiesa di San Giovanni Battista al capo Boeo, costruita dai gesuiti intorno all’anno 1500. Tradizione vuole che chi beve l’acqua che sgorga dalle spalle della statua del santo può acquistare il dono della profezia. Secondo il rito antico, alla vigilia della festa, le donne del paese si recano in massa per consultare la sibilla che, vivrebbe proprio tra quelle acque, ma sotto forma di pitonessa. “Alla vigilia della festa del Battista le donne del popolo accorrono numerose alla cripta per consultare l’antica pitonessa che vive nell’acqua. – afferma E.G – Vicino il pozzo si “ascuta” la Sibilla. C’è chi addirittura cade in una specie di trance o delirio mistico, anche se qualcuno dice che questi effetti sono dovuti al fatto che l’acqua non sia troppo potabile”.
“L’ascutu” l’ascolto delle parole dell’oracolo sono essenziali per chi giunge ai piedi della statua portando con se un bagaglio di favori e desideri da chiedere alla sibilla, affinché quest’ultima possa segnare la via più giusta per la buona riuscita di sogni e aspirazioni.
La “cara Sibilla”, come la chiamano i marsalesi viene descritta sempre come una donna bellissima con poteri taumaturgici che ascolta paziente le richieste di coloro che si recano da lei per avere responsi e, attraverso rituali cledonomantici, la sibilla parla e risponde per mezzo di particolari segnali che solamente chi fa le richieste potrà comprendere.
“La sibilla, a differenza delle altre donne presenti nella cultura popolare, pagana – afferma E.G – mantiene una lunga tradizione alle spalle. Non si può definire solo una phantasmata su cui la Chiesa all’inizio avrebbe potuto sorvolare come un semplice fatto di donnette. La Sibilla rappresenta un oracolo, un dio. E la Chiesa piuttosto che far scomparire la figura della Sibilla, o demonizzarla, l’ha quasi sostituita con quella di un santo o di una santa, facendo assorbire da questi i tratti qualificativi. La stessa Pizia viene citata nella Bibbia nel passo in cui si descrive l’incontro del re Saul con una donna dai poteri oracolari di nome Python che prediceva il futuro, appunto dalle sembianze di pitone, come la sibilla”.
Nell’antica leggenda dell’oracolo di Delfi, Pizia era infatti la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo nel santuario di Delfi proprio nell’omphalos, nell’ombelico del mondo ed aveva, come la Sibilla, la capacità di ascoltare e consigliare coloro che invocavano il suo aiuto.
“Come nell’oracolo di Delfi, anche la grotta della Sibilla è scavata nella roccia- continua E.G – E non è un caso che la festa a cui fa riferimento la grotta della Sibilla sia quella del S.Giovanni Battista. Il battesimo infatti celebrato dal discepolo di Cristo, esorcizza il peccato attraverso l’acqua; acqua che simbolicamente assume questa funzione catartica.
Paradossalmente, con l’avvento del cristianesimo, la figura della Sibilla che è un chiaro simbolo pagano non scompare, anzi il suo profilo si congiunge a quello del Battista– continua E.G – La Sibilla e San Giovanni hanno infatti in comune la profezia come atto, sia in onore di Apollo per la Sibilla, e per la figura di Cristo per il san Giovanni. In tutte e due i casi l’acqua assume un significato metaforico che rasenta il miracoloso poiché offre una conoscenza e una chiarezza a chi a questa si avvicina”. Credenza popolare tra sacre ricorrenze e trasformazioni di simbologie che rasentano il pagano. Ancora una volta tra magia, mito e leggenda per un sistema millenario di credenze che continuano a vivere forse in forme differenti da quelle tramandateci, pur sempre continuando in ogni caso ad “stregare”. (di Margherita Ingoglia) 

-Marsala (TP) – Il collante della ‘Liburna Faenica’

-Marsala (TP) – La prodigiosa statua mariana

-Palermo (PA) – Luci sacre e profane


-Palermo (PA) – Le catacombe dei Cappuccini

Le Catacombe, piu' precisamente sarebbero le cripte della chiesa di Santa Maria della Pace, hanno una storia antica 500 anni, che inizio' casualmente. I monaci, alla fine del 1500, usavano seppellire i confratelli defunti in fosse comuni situate sotto la chiesa; quando ampliarono il cimitero sotterraneo (da qui il termine catacombe), traslando le salme, si accorsero che 45 di queste si erano mummificate naturalmente. L'evento fu considerato un segno di benevolenza divina, e i 45 corpi furono esposti in delle apposite nicchie. Col tempo, alla fine del 1700, i frati decisero di accogliere nel loro cimitero anche quei laici che potevano permettersi il costo, non indifferente, dell'imbalsamazione. Fino alla fine dell'800, personaggi facoltosi appartenenti alla nobiltà siciliana, affidarono i loro defunti ai Cappuccini che, dopo l'imbalsamazione, esponevano le salme nei corridoi della cripta cosi' che i parenti ancora in vita potessero far loro visita, in una sorta di continuità tra pre e post-mortem. Nel 1900 solo due defunti venero accolti nel cimitero: un viceconsole americano nel 1911, e la piccola Rosalia Lombardo nel 1920. La piccola Rosalia, la "mummia piu' bella del mondo" era una bambina morta di polmonite all'età di 2 anni. Il padre, nonostante la pratica fosse quasi in disuso, vole fortemente sottoporla all'imbalsamazione, eseguita da un grande esperto dell'epoca, il professor Salafia. Utilizzando miscele, la cui composizione è stata scoperta solo pochi anni fà, Salafia riuscì a dare alla bimba un aspetto del tutto naturale, come se fosse immersa nel sonno, tanto che viene chiamata la "bella addormentata". Circa un'anno fa, un piccolo mistero ha avvolto la mummia di Rosalia: la bambina apriva e chiudeva gli occhi, piu' volte al giorno. Il fenomeno è stata registrato dalle telecamere installate nella stanza dove riposa la bambina, e inizialmente nessuna riusciva a dare una spiegazione, cosi' qualcuno ha gridato al miracolo, qualcuno ha parlato di fenomeno paranormale, qualcuno l'ha considerato una sorta di trovata pubblicitaria... Secondo Dario Piombino Mascali, il conservatore del sito, pare che il mistero, e per alcuni versi inquietante fenomeno, abbia pero' una semplice spiegazione: "Si tratta solo di un'illusione ottica - ha detto - prodotta dalla luce che filtra dalle finestre laterali, e che durante il giorno è soggetta a cambiamenti. Inoltre la mummia ha cambiato posizione: prima era inclinata grazie a un supporto ligneo, adesso, nella nuova vetrina, è invece in posizione orizzontale. Si osserva, quindi, meglio che in passato, che le palpebre non sono totalmente chiuse, nè lo sono mai state". Resta il fatto che alcuni video mostrano chiaramente le palpebre in movimento...

-Palermo – Il segreto delle Mummie Salafia, l’imbalsamatore che sconfiggeva la morte: 

La leggenda racconta che il segreto dell´imbalsamazione dei corpi finì con lui nella tomba. E, in effetti, colpito da un ictus nel 1933, il palermitano Alfredo Salafia, nato nel 1869, non ebbe certo il tempo di rivelare il suo metodo sperimentato fin dal 1901. Ma oggi grazie allo studio dei suoi appunti, Dario Piombino Mascali, ricercatore all´Istituto per le mummie e assistente dell´antropologo Luca Sineo, è riuscito a riportare alla luce la formula miracolosa e fino a oggi segretissima.Una miscela chimica che fa sì che la piccola Rosalia Lombardo, morta nel 1920 a soli due anni per broncopolmonite, sembri ancora oggi una bellissima bambina dai capelli biondi raccolti in un fiocco giallo, addormentata nella cripta dei Cappuccini. Una sola iniezione intravascolare di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico, a cui Salafia spesso aggiungeva un trattamento di paraffina disciolta in etere per mantenere un aspetto vivo e rotondeggiante del volto. Anche Rosalia, infatti, ha il viso paffuto e l´epidermide apparentemente morbida come se non fosse trascorso un solo giorno dalla sua morte.
«La scoperta ha certamente un importante valore storico-medico – dice Piombino, di origine messinese, che attualmente può considerarsi l´unico esperto siciliano di paleopatologia – Perché la soluzione messa a punto da Salafia è uno dei primi esempi dell´uso della formaldeide per l´imbalsamazione umana. Tale sostanza fu scoperta del 1868, ma le sue proprietà antisettiche e conservative vennero divulgate solo a partire dal 1892. E dall´anno successivo una sua soluzione acquosa, la cosiddetta “formalina”, fu messa in commercio su larga scala, trovando vario impiego nei campi della zoologia, dell´istologia e dell´anatomia. Ma il più grande merito di Salafia è quello di aver rivolto una grandissima attenzione all´aspetto estetico del defunto, improntato a dare l´illusione non di un cadavere ma di un dormiente. E fu uno dei primi a non usare per l´imbalsamazione l´arsenico e il mercurio nocivi per gli studiosi che li maneggiavano». Un metodo così efficace che il corpo della bambina analizzato recentemente con una sofisticatissima macchina radiografica rivela ancora oggi la presenza di tutti gli organi interni. In particolare del cervello, del fegato e dei polmoni. «I sali di zinco – dice Albert Zink, che ha diretto lo staff di ricerca – hanno permesso di conservare anche gli organi interni. In questi anni il corpo ha ovviamente subito delle modifiche anche per effetto della luce che lo danneggia. Il nostro scopo è quello di salvare la mummia da un ulteriore degrado, dal momento che le condizioni climatiche della cripta dei Cappuccini non sono più quelle di una volta. Rosalia alla vista sembra una bambola, ma in realtà è un corpo imbalsamato alla perfezione. Sicuramente una delle mummie più importanti del ventesimo secolo».
La vita del tassidermista e imbalsamatore Salafia, che durante la sua vita non conseguì mai la laurea in Medicina, saranno oggetto di un libro di prossima pubblicazione scritto da Dario Piombino per la casa editrice palermitana Ila Palma. «Ho ricostruito – continua lo studioso – la genealogia della famiglia Salafia e della famiglia Lombardo per sfatare ogni tipo di leggenda metropolitana e dare voce alla scienza. Le due famiglie erano amiche e io sono attualmente in contatto con gli eredi. E soprattutto volevo rendere giustizia a una figura straordinaria come quella di Salafia. Grazie alla sua autorità riuscì a far seppellire Rosalia nelle catacombe quando non era più consentito. Avere scoperto oggi la formula di un metodo che non venne mai patentato sarà utile per pilotare il restauro e la conservazione della piccola Rosalia che prevederà anche la costruzione di una speciale teca a vetri in cui riporre il corpo, dotata di un microclima controllato». Figlio di una numerosa famiglia benestante, con un padre eroe militare che teneva in piedi negozi di pianoforti e spartiti musicali, Salafia trascorse tutta la sua vita a Palermo, eccetto un breve periodo a New York in cui cerò di pubblicizzare il suo metodo e di imporlo in quello che era un mercato davvero competitivo. Era il 1909 e Salafia decise di raggiungere il nipote che aveva una ditta di pompe funebri a New York. «Bisogna ricordare che le sperimentazioni di Salafia – racconta Piombino – che furono fatte in un primo tempo sugli animali, si inscrivono nel periodo della fine dell´Ottocento in cui si sviluppava un´importante scuola siciliana di anatomia e di imbalsamazione. Lui seguì le orme dei suoi predecessori, a iniziare da Giuseppe Tranchina, ma gli elementi e le dosi della sua formula erano perfetti. Per imbalsamare i propri cari i familiari erano disposti a spendere anche cinquecento lire che per allora erano una cifra considerevole».
Nell´arco della sua vita Salafia imbalsamò oltre cento corpi, fra cui personaggi illustri come Francesco Crispi di cui restaurò il corpo, e ancora il cardinale Michelangelo Celesia, il senatore Giacomo Armò, l´etnografo Giuseppe Pitrè e il conte di Francavilla. E fra quelli ancora oggi conservati nella cripta dei cappuccini, oltre alla piccola Rosalia, il fratello Ernesto Salafia e il vice console Giovanni Paterniti. E alla fine, lui che dedicò tutta la sua vita a combattere la dissoluzione del corpo umano, è scomparso nel nulla. «Al momento della sua morte – conclude Piombino – fu sepolto al cimitero di Santa Maria di Gesù. Ma nel 2000 quando fu fatto lo spurgo della tomba nessun familiare fu convocato, così attualmente non si sa dove siano fintii i suoi resti. Una grande beffa del destino per uno come lui».
Gli studi su Alfredo Salafia e sulla piccola Rosalia Lombardo sono il primo atto di un progetto più ampio di recupero delle catacombe dei Cappuccini che vede la collaborazione di Giuseppe Carotenuto, Luca Sineo e Franco Palla dei dipartimenti di Biologia animale e vegetale dell´Università di Palermo. (di Claudia Brunetto)



-Palermo – Bisonti in Sicilia?: 

-Palermo - Santa Rosalia – La montagna sacra e la grotta santa

Il Santuario sorse su Monte Pellegrino nel 1625 attorno alla grotta dove secondo la tradizione, la Santa visse da eremita e dove furono ritrovati i suoi resti. La facciata della Chiesa si trova a ridosso della parete rocciosa e si raggiunge attraverso una lunga gradinata. La scultura settecentesca della Santa è collocata in un'edicola sulla sinistra della facciata. Ricca raccolta di ex voto. Il culto di Santa Rosalia risale al Seicento, quando una violenta pestilenza, abbattutasi sulla città in seguito all'arrivo di un vascello dalla Tunisia, venne contenuta in seguito ad una processione che portava le reliquie della Santa. All'interno si trovano due altari, un crocifisso in legno risalente al Quattrocento, alcune lapidi e numerosi ex voto. Attraverso una cancellata di ferro si accede alla grotta, profonda quasi venticinque metri, dove vennero trovate le spoglie di Santa Rosalia. In questo ambiente si trova un altare dietro al quale, in una rientranza della roccia, è collocata la scultura settecentesca in marmo dell'Immacolata. In un altro incavo della roccia si trova la testa della Santa, realizzata in marmo. Sulla sinistra vi è una grande teca in vetro che contiene la statua di Santa Rosalia, realizzata nel Seicento da Gregorio Tedeschi, rivestita con una lamina dorata e circondata da ex voto. Il soffitto della grotta è percorso da canaline in metallo per raccogliere l'acqua che esce dalla roccia, ritenuta santa. L'ambiente è illuminato da piccoli fari. Adiacente alla Chiesa si trova il convento che ospita l'Istituto di Opera Don Orione. Rosalia, figlia del duca Sinibaldo di Quisquina e delle Rose, nipote per parte di madre di re Ruggero d’Altavilla, crebbe nel XII secolo alla corte dello zio, a Palermo. Era molto bella e suscitava interessi terreni, fra i tanti quello del principe Baldovino, all’epoca ospite di riguardo alla corte di Ruggero. La leggenda narra che, durante una battuta di caccia grossa, sul monte Pellegrino, la montagna sopra Palermo, un leone stava per uccidere re Ruggero; Baldovino, coraggiosamente, lo salvò uccidendo il leone. Re Ruggero chiese a Baldovino di indicare egli stesso un premio per la sua eroica azione, e quest’ultimo chiese la mano di Rosalia, che, in seguito alla proposta di matrimonio, fuggirà gettando nello sconforto la madre, lo zio e l’intera guarnigione di stanza a Palazzo Reale (o dei Normanni).Vissuta per poco tempo alla corte di Ruggero II, in seguito alla morte del re, chiese ed ottenne il permesso di vivere da eremita in una grotta sul monte Quisquina, dove trascorse dodici anni della sua vita. Successivamente, si trasferì in una grotta sul monte Pellegrino, dove visse “a vita di contemplazione” fino alla morte. Il suo culto si collega ad un evento particolare accaduto a Palermo in occasione di un’epidemia di peste. Il 7 maggio del 1624, infatti, attraccò nel porto della città un vascello proveniente da Tunisi, sospettato di essere stato contagiato dal morbo. Ben presto era stato dato l’allarme ma il viceré, mal consigliato, si lasciò convincere e fece scaricare dal vascello il carico. Palermo si trasformò in un lazzaretto sotto il cielo. Il resto è leggenda, mito e prodigio. Il miracolo, invece, fu attribuito alle reliquie di Santa Rosalia, le quali, portate in processione, impedirono l’ulteriore diffondersi dell’epidemia.


-Palma di Montechiaro (AG) – Rapporti matematici: 

-Palma di Montechiaro (AG) – La ‘Lettera del diavolo’:

Un monastero in Sicilia, fondato nel ‘600 da un antenato dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, una monaca dell’epoca, suor Maria Crocifissa, fatta santa: fra storia e leggenda, si narra di una vita di privazioni, di preghiere, di estasi , e di incessanti tentazioni del Demonio. Durante un’apparizione, Satana le avrebbe perfino scritto una lettera. La pagina oscura, vergata in caratteri mai decifrati, è conservata in un armadio-bacheca che si trova nella cella della «Venerabile».
Questo ed altri misteri racchiude il convento di clausura di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento. Le sei monache benedettine che oggi lo abitano (un tempo erano molto più numerose), rette dalla badessa suor Maria Nazarena, oltre le grate, continuano a lavorare e a pregare, nel segno di suor Maria Crocifissa. Preparano dolcetti alle mandorle, che i visitatori ottengono in cambio di offerte attraverso la «Ruota», la stessa utilizzata in passato per abbandonarvi i neonati «figli di nessuno». Il monastero, oltre ai segreti, custodisce cimeli, quadri, statue. Di solito inaccessibile, in via del tutto eccezionale sabato 21 e domenica 22 maggio aprirà le porte al pubblico (l’ultima volta accadde due anni fa), permettendo di scoprire le parti più remote. E dunque anche la cella dove c’è la lettera del diavolo. Si deve all’attività e all’interessamento dell’Archeo Club di Palma di Montechiaro se è stato possibile organizzare le visite guidate. Sandro Giganti e Alfonso Di Vincenzo, architetti dell’ Archeo Club, ci hanno fornito informazioni e fotografie per la realizzazione del servizio de «la Lettura», pubblicato sul numero #233 in edicola fino a sabato 21 maggio.
A Palma, «la Lettura» ha incontrato la badessa; inoltre, ha parlato con un studioso agrigentino a proposito di un altro inquietante e misterioso episodio (correva l’anno 1945), ripreso da Andrea Camilleri nel volumetto Le pecore e il pastore (Sellerio, 2007): il «sacrificio umano» di una decina di monache offerto a Dio per ottenere la guarigione del loro vescovo, gravemente ferito durante un attentato.

-Pantelleria (TP), Mursia-Sesi – Ulisse e il perduto popolo dei Sesi: 

I primi abitanti che popolarono l’isola furono i Sesioti, che si stanziarono lungo la costa nord-occidentale, nelle contrade di Mursia e Cimillia. Ci rimangono numerose testimonianze del loro insediamento, rappresentate da piccoli resti di abitazioni e dagli importanti monumenti funebri chiamati Sesi. I Sesioti nel corso della loro evoluzione praticarono attività come l’artigianato, il commercio, l’agricoltura, la caccia, l’allevamento e l’estrazione dell’ossidiana. Il popolo dei Sesioti fu sterminato da un altro popolo, ma in seguito una misteriosa epidemia sterminò vincitori e vinti. Il posto venne occupato dal popolo fenicio, un popolo di abili navigatori che trasformò il centro urbano in una città ricca ed efficiente.
La leggenda racconta che Pantelleria fu una delle mete di Ulisse nel suo lungo viaggio di ritorno a casa: Pantelleria è stata, secondo gli storici, l’isola di Ogigia, la casa della dea Calypso. Con il progredire del popolo cartaginese (o fenicio), Pantelleria, chiamata dai fenici Yrmn, divenne una città-stato fortificata con una propria economia e una propria moneta.
Durante la seconda guerra punica Pantelleria venne conquistata dai Romani che la ribattezzarono Cossyra. Il popolo romano non fece che fortificare l’economia e la cultura degli abitanti del posto, ma con la caduta dell’impero Romano d’Occidente cadde anche l’economia dell’isola che, rimasta senza padroni, era vittima di continui saccheggi da parte dei pirati.
Nel 534 i Bizantini sconfissero i Vandali in Africa e presero possesso dell’isola cercando di sfruttare la sua economia e la sua posizione strategica; ma il dominio bizantino durò pochissimo, perché fu subito contrastato dagli Arabi, che saccheggiarono e uccisero quasi tutti gli abitanti dell’isola distruggendo ogni centro di potere e fortezza bizantina. Una volta che la conquistarono, gli Arabi rimediarono ai danni provocati: distribuirono territorio a chiunque volesse coltivarlo arricchendo l’agricoltura connuovi prodotti come il cotone, gli agrumi, l’ulivo, il fico e l’orzo. Il dominio Arabo è stato il più importante e influente dell’isola, le cui tracce si trovano ancora oggi; di origine araba sono per esempioi famosi dammusi panteschi e i giardini arabi.
Il regno Arabo venne contrastato dagli altri popoli di mare dell’Italia Tirrenica e dopo di loro vennero i Normanni, che sotto Federico II di Svevia si disinteressarono dell’importanza strategica dell’isola, facendo decadere la sua economia. Per loro l’isola era solo un semplice possedimento di poca importanza, in balia dei pirati turchi che sempre più spesso saccheggiavano i piccoli villaggi presenti.
Dopo i Normanni arrivarono gli Angioni, conosciuti per le ingenti tasse che imponevano a tutta la Sicilia, che si differenziavano a seconda dei possedimenti e della popolazione: un caso analogo toccò proprio a Pantelleria dove non si conoscevano i dati richiesti e per cui questi dati venivano scritti assurdamente, caricando gli abitanti di tasse pesantissime.
In seguito arrivarono gli Aragonesi e i Genovesi, ma dopo la scoperta del nuovo mondo, nel 1492 d.C.Pantelleria seguì le sorti della Sicilia e di tutto il Mediterraneo.

-Partinico (PA) – Conservazione prodigiosa


-Piana degli Albanesi (PA) La teoria dei cerchi concentrici, Piana al centro del Mediterraneo: 

Il cerchio, dalle sue antiche origini fino ai giorni nostri, ha sempre mantenuto la sua espressione, creatività e rappresentazione in tutti i campi artistici, culturali, storici e scientifici. Esso emula la perfezione assoluta, la ciclicità del tempo. In esso s'inscrivono e si circoscrivono magnificamente, un insieme di altre figure piane come il triangolo equilatero, il quadrato e altri poligoni regolari, creando come in una magia, disegni complessi e fantastici. Legati insiemi da un punto detto centro o origine, imitano spesso e volentieri i disegni della Natura in armonia con l'Universo. In passato tutte le civiltà, da qualsiasi parte del mondo, hanno sempre edificato in base al cerchio. Per l'Umanità ha sempre indicato l'oggetto del desiderio, la mela di Adamo, la perfezione dell'essere nell'Universo, "L'uomo di Vitruvio" di Leonardo da Vinci, schiacciato dal quadrato (Terra) e che cerca nel cerchio la sua identità nell'Esteso infinito, (tra microcosmo e macrocosmo). Più cerchi che nascono della stessa origine significano perfezione assoluta: "I cerchi concentrici". La mia ricerca nata casualmente, mi ha portato a evidenziare un comune denominatore dei siti archeologici del Mediterraneo, secondo la loro posizione geografica e geometrica: essi sarebbero distribuiti a cerchi concentrici. Ho verificato che quasi tutti i siti archeologici euro-mediterranei e afro-asiatici, isole e vulcani terrestri e sottomarini siciliani, sono distribuiti a cerchi concentrici con un punto naturale di riferimento detto centro o origine: Megaliti, Dolmen, Menhir, Cattedrali, Città Francigene, Labirinti, Teatri Antichi, Monumenti Egizi e quant'altro. Una teoria rafforzata dal confronto con l’uomo vitruviano di "Leonardo da Vinci".

Ipotizzo inoltre che la posizione di tali siti archeologici, non casuale, è in relazione alla teoria dei cerchi concentrici nell'Universo e della tettonica delle placche. Gli antichi popoli da sempre consapevoli di questo principio universale, dove proprio le placche africane con quelle europee si comprimono, emulavano con le loro opere l'energia tellurica a cerchi concentrici. La mitica Atlantide ad esempio, esistita secondo avveniristiche ipotesi al centro del Mediterraneo, si poteva trovare dove curiosamente ha origine anche la mia ricerca. Sembra quindi che nel corso della storia umana, gli antichi costruivano le loro enigmatiche opere sempre più elaborate, in armonia con l'Universo e spesso e volentieri sopra quelle precedenti, mantenendo un disegno orografico primitivo: un picchetto riproposto sullo stesso punto, una sorta di faro universale per non perdere l'orientamento totale.
In seguito alle mie ricerche, ho notato che precedenti studiosi come Alfred Watkins, con la sua teoria "Ley lines" e altri contemporanei di siti archeologici come John Burke, hanno cercato di dare un'interpretazione alla posizione di tali monumenti del passato, senza inoltrare oltre l'orizzonte dell'immaginazione e intuizione. La mia impressione è che la storia accomuna tutte le antiche civiltà in una direzione unica: si spostavano sistematicamente e volutamente con le loro opere, in cerchi concentrici e a forma spirale, come i gusci delle ammoniti, come la doppia spirale nel DNA e in una danza armonica, in sintonia delle galassie a forma spirale di cui erano inspiegabilmente a conoscenza. Testimonianze sono le loro megalitiche opere: come se volessero sfidare o emulare qualcuno o essere guidati nel loro compimento. Nelle loro testimonianze hanno lasciato disegni, immagini, costruzioni a forma di cerchi concentrici. In passato, navigatori come il famoso Piri Reis, scrittori, poeti e altri, come il primo astronauta italiano in orbita terrestre, Luca Parmitano, hanno elogiato la Sicilia come l'ombelico del mediterraneo, senza solcare oltre l'orizzonte.
Tutto ha origine da Piana degli Albanesi: Piana degli Albanesi, fatalmente battezzata prima Piana dei (Greci), Comune della provincia di Palermo, non è solo il luogo della mia nascita, ma anche di altre anomale coincidenze. E' circondato come in un antico teatro greco a cerchi concentrici da montagne mediterranee: "Kumeta", tra le più elevate, osservata da diversi orientamenti, sembra preludere misteriosamente a tutto il mio racconto. Vista da est assume una splendida forma di piramide egizia, mentre da nord nella sua lunghezza globale si presenta ripida e scoscesa: appare come una doppia sfinge simmetrica con al centro un solo cranio che ha la forma del leone che invece di avere la folta criniera, possiede un appariscente copricapo, molto simile al famoso "Nemes". Questa gigantesca parete da cui si evidenzia perfettamente la forma della sfinge egizia, osservata attentamente procedendo verso ovest, si può notare curiosamente che cambia aspetto: assume chiaramente la forma di un volto umano con la barba, rievocandomi l'antico dio egiziano dell'oltretomba Osiride e il suo successore Gesù Cristo in croce, specialmente a ogni tramonto, quando si copre di uno spettacolare rosso porpora che rievoca gli antichi popoli di quest'isola. In tanti anni che salgo sopra questa rupe, avverto una sensazione strana, quasi magica e talvolta fantastica: è come se il tempo si fermasse.
Ho notato che in giornate particolarmente nitide, si vedono a occhio nudo quasi tutte le isole attorno alla Sicilia, compresi i tre vertici e il vulcano Etna. Questo perchè mi trovo proprio sopra il baricentro geografico, geometrico e storico culturale della Sicilia con le isole comprese, vulcani terrestri e sottomarini. Ma non solo tutti questi siti ruotano attorno a me apparentemente a cerchi concentrici, ma nel contesto si inseriscono altri siti archeologici inizialmente in territorio regionale per poi estendersi a quello più globale, interessando anche l'area dell'Anello di Fuoco nel Pacifico. Ti senti come "L'uomo di Vitruvio" al centro di una gravità permanente. Da questo fulcro naturale in giornate nitide d'inverno, puoi avere l'onore di un incontro ravvicinato del terzo tipo, con quasi tutte le isole che ti circondano: Ustica, Eolie, Egadi, Pantelleria, i tre vertici della Sicilia e il vulcano Etna, tutti insiemi equidistanti da questo panorama. Il fatto ancora più intrigante è che tutti gli antichi teatri siciliani e le isole circostanti con i relativi vulcani sottomarini, come Ferdinandea, Marsilli ed altri, ruotano da questo punto in cerchi concentrici. Al centro, detto anche origine, risiede il Teatro di Monte Jato, adiacente al monte Kumeta di qualche chilometro, a cui ruotano attorno altri teatri con le rispettive isole siciliani e vulcani. Primo cerchio concentrico partendo dall'origine: Teatro di Solunto, Teatro di Hippana, Teatro di Segesta. Secondo cerchio concentrico: Teatro di Eraclea Minoa, Teatro di Selinute (identificazione dubbia). 
Terzo cerchio concentrico: Teatro di Akragas (non rinvenuta), Teatro di Halasea, Ustica, Levanzo, Favignana, Ferdinandea. 
Quarto cerchio concentrico: Teatro di Henna (non rinvenuta), Marettimo. 
Quinto cerchio concentrico: Teatro di Agira, Teatro di Morgantina, Alicudi. 
Sesto cerchio concentrico: Teatro di Kakuana (non rinvenuta), Etna, Teatro di Tindari, Vulcano, Lipari, Salina, Pantelleria. 
Settimo cerchio concentrico: Teatro di Akai, Teatro di Catania, Teatro di Taormina. 
Ottavo cerchio concentrico: Teatro di Eloro, Teatro di Siracusa, Teatro di Messina, Stromboli.
Come l'ombelico del Mondo, si procede a toccare con una serie di collegamenti a linee e cerchi concentrici, i principali luoghi archeologici del mondo come Santiago, Stonehenge, Chartres, Gobleki Tepe, Gerusalemme, Giza, Karnac.
Popoli antichi consapevoli di trovarsi al centro di un teatro naturale del Mediterraneo.

Ecco perché le antiche costruzioni come megaliti, dolmen, teatri, cattedrali e altre testimonianze archeologiche sempre a forma di cerchi concentrici sono state collocate, dai nostri predecessori, idealmente a cerchi concentrici, equidistanti da questo luogo specifico. Hanno voluto emulare l’Universo esteso a cerchi concentrici ed essere quindi in sintonia con tutto quello che lo circonda, dal più piccolo al più grande corpo celeste: Atomi, Placche Tettoniche, Pianeti, Sistemi Solari, Galassie, Nebulose, Buchi Neri, l’Universo. (di Vito Zuccaro) 



-Santo Stefano Quisquina (AG) – Gli scheletri guardiani

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