Nel 1154, il geografo arabo Al-Idrisi nel suo trattato di geografia, il cosiddetto Libro di Ruggero, così descrive Erice, chiamata in arabo Gabal Hamid: « ... è montagna enorme, di superba cima ed alto pinnacolo, difendevole per l'erta salita; ma stendesi al sommo un terreno piano da seminare. Abbonda d'acque. Avvi una fortezza che non si custodisce né alcun vi bada».
Scrive Ferdinando Maurici, in ERICE: PROBLEMI STORICI E TOPOGRAFICO-ARCHEOLOGICI FRA L'ETA' BIZANTINA ED IL VESPRO: Le considerazioni sulle caratteristiche morfologiche del monte e sulla presenza di sorgenti sono estremamente precise. Non è invece del tutto chiaro se ldrisi descrivesse come «fortezza che non si custodisce» l'area dell'abitato antico con le sue mura o solo la più circoscritta zona del tempio di Afrodite, dove di lì a poco si impianterà il castello normanno. Comunque sia, l'abbandono del sito sembrerebbe in quel momento totale ed ipoteticamente perdurante da lungo tempo.
Una trentina di anni dopo la situazione appare completamente diversa.
Jbn Jubayr, che fu in Sicilia fra 1184 e 1185, così descrive Monte Erice: «gran monte, altissimo, vasto, sormontato da una rupe che spiccasi dal resto. Su la rupe è un fortilizio dei Rum, al quale si passa dalla montagna per un ponte: contiguo poi al fortalizio dalla parte della montagna giace un grosso paese [abitato anche] dai Rum. Si dice che qui le donne sian le più belle dell'isola tutta: che Dio le renda cattive dei Musulmani. In questo monte son delle vigne e dei seminati: ci fu detto poi che vi scaturiscono da quattrocento sorgenti d 'acqua. Chiamasi Gabal Hamid . La salita è agevole da un lato soltanto: e però pensano [i Cristiani] che da questo monte dipenda, se Dio voglia, il conquisto dell'isola: e non c'è modo che vi lascian salire un Musulmano. Per lo stesso motivo hanno munito benissimo questo formidabile fortalizio. Al primo romor di pericoli, vi metterebbero in salvo le donne: taglierebbero il ponte, ed un gran fosso il separerebbe da chi si trovasse nella contigua sommità del monte».
La descrizione è interessantissima e fornisce molti dati. In primo luogo, rispetto al testo di Idrisi, vi è la grande novità dell'esistenza di un centro abitato. Evidentemente questo dovette sorgere fra gli ultimi anni del regno di Ruggero II e l'età di Guglielmo il Buono. Ibn Jubayr mette in evidenza la grande rilevanza strategica e militare del monte, anche se certamente era esagerato ritenere che dal controllo di Erice dipendesse la conquista di tutta l' isola. Comunque, l'importanza di questa posizione è ribadita chiaramente dal divieto di residenza o anche di semplice accesso ai musulmani.
La rifondazione normanna di Erice sembra quindi potersi inquadrare anche in un programma di fortificazione e difesa (da nemici interni ed ester i) varato dalla corona.
[...]
Secondo Ibn Jubayr le zone coltivabili del monte Erice erano occupate da vigneti e seminati: il paesaggio agricolo del monte sembrerebbe quindi essere stato simile alla fine del XII secolo a quello descritto più di cento anni dopo dai documenti del notaio Maiorana.
Molto interessanti sono in particolare le notizie che lbn Jubayr fornisce sul castello di Erice: esse sono tanto più preziose quanto più i lavori di riadattamento e di restauro hanno mutato nel corso dei secoli l'aspetto del monumento e la stessa conformazione dell'area su cui esso sorge. Afferma quindi Ibn Jubayr che il "fortalizio dei Rum" occupava una rupe isolata dal pianoro sommitale del monte. Il cosiddetto castello di Venere sorge in effetti su rupi elevatissime che lo isolano totalmente su tre lati. Attualmente l 'accesso è possibile dal lato della città, ma fino al XVII secolo anche su questo versante il fortilizio rimaneva isolato dal resto della montagna da un profonda fenditura, colmata per iniziativa del castellano A. Palma. L'attuale cordonata a gradini sostituì allora il ponticelio in muratura documentato da una rara immagine ed erede a sua volta del ponte levatoio, o comunque della passerella volante, attestata da Ibn Jubayr.
Anche il castello, quindi, trent'anni dopo l' attestazione di Idrisi che lo voleva deserto e privo di presidio (il che non esclude che all'occorrenza potesse costituire un possibile rifugio per i cristiani di Trapani), appare svolgere pienamente le sue funzioni.
[....]
In via di ipotesi è verosimile ritenere, sulla base delle due testimonianze di Idrisi ed Ibn Jubayr, che sull'area del santuario venissero realizzati, fra 1150 circa e 1185, interventi tali da riadattare a fini difensivi le rovine esistenti, sovrapponendovi anche nuovi corpi di fabbrica. Ritengo probabile, inoltre, che venisse realizzata in età normanna anche la cinta esterna del castello, che oggi, isolata da interventi di restauro ottocenteschi dal nucleo del fortilizio, sembra costituire un insieme edilizio a sé stante, tradizionalmente quanto impropriamente definito 'torri del Balio'.
In realtà, la cortina turrita detta 'torri del Balio', fino al secolo scorso manteneva inalterato l'organico collegamento originario con il nucleo del castello, con l'area cioè dell'antico santuario. Due rare immagini tratte dal manoscritto inedito dell 'erudito ericino Carvini (tav. LII, l) mostrano senza alcun dubbio come le ' torri del Balio' fossero in realtà la prima cinta del castello, delimitando un vasto cortile antistante il nucleo fortificato.
A questo proposito occorre notare che la spiegazione corrente del toponimo 'torri del Balio' come ricordo dell'antica residenza del Baiulus o Baiulo, non è per nulla convincente.
Vista la originaria situazione topografica, ben evidente dalle immagini nel manoscritto del Carvini, mi pare molto più probabile che il toponimo ' Balio' derivi dal ballium o bailey, dalla basse court, cioè, del castello normanno. La parola, e quindi lo schema castrale a baglio, è documentata in Sicilia nel1194 per il castello di Vicari, dove risulta chiaro che il ballium è un cortile chiuso, in parte composto anche da case, che precede e difende il nucleo principale del castello.
La spiegazione è tanto semplice da doversi dare per scontata.
Tanto più che, non essendo il castello di Erice residenza di una famiglia feudale e di un piccolo numero di accoliti, ma dovendo in origine servire ad ospitare tutta la popolazione in caso di necessità, era obbligatorio prevedere ampi spazi per dar ricetto ad alcune centinaia di persone e probabilmente anche a numerosi capi di bestiame. A ciò potevano egregiamente servire tanto il baglio esterno che il cortile interno, erede del temenos del tempio di Afrodite.
L'originale organicità del complesso era, ripeto, evidente fino al secolo scorso. A partire dal 1872 il conte A. Pepoli realizzò a sue spese una serie di lavori di ' restauro ' che modificarono sensibilmente la situazione originaria.
L'intervento più rilevante riguardò la cortina muraria che raccordava sul versante SO le ' torri del Balio' al nucleo del castello. Il tratto di muro venne smontato e ricostruito arretrandolo quanto bastava a lasciare all'esterno del cortile la rampa d'accesso al 'castello di Venere'. Contemporaneamente si provvide a spianare l'area antistante le 'torri del Balio', destinata a divenire giardino pubblico.
Vennero inoltre consolidate e risarcite le muraglie, per decenni utilizzate come cava di pietre, e le torri: fu anche realizzata la sopraelevazione pentagonale della torre mediana del 'Bali o' di cui esisteva solo un tronco ne. Sull'ala di levante, infine, vennero costruiti di bel nuovo, in stile medievaleggiante, alcuni ambienti destinati ad alloggio di custodi ed ospiti. Anche l' interno dell'antico baglio venne in parte regolarizzato e trasformato in pineta. Lavori oggi piuttosto discutibili, dunque, quelli realizzati dal singolare mecenate. Essi ebbero comunque il merito di frenare un degrado oramai secolare e che è ripreso negli ultimi decenni, facendo scomparire il tratto di muro ricostruito ad est fra le 'torri del Balio' ed il 'castello d i Venere'.