Se davvero non vogliono mangiare, almeno bevano!" esclamò
beffardamente il console Publio Claudio Pulcro, stizzito del responso negativo fornito dal pullario nel constatare che i polli sacri non uscivano dalla loro gabbia per andare a mangiare.
Quell'auspicio chiaramente infausto, verificatosi proprio sul ponte della sua nave ammiraglia, risultò insopportabile al comandante in capo romano, visto ch'egli voleva attaccare immediatamente la flotta punica ormeggiata a Trapani, sicuro di coglierla di sorpresa. Ordinò pertanto di gettare quella gabbia a mare e si diresse con la sua flotta di 120 quinqueremi verso la più vicina imboccatura del porto.
Così iniziò l'infelice battaglia navale di Trapani (249 a.C.), a proposito della quale gli scrittori romani hanno posto l'accento sulla questione degli auspici (VAL. MAX. 1, 4, 3; FLOR. epit. 1, 18, 29; EUTR. 2, 26).
Per i Romani, i polli in questione non erano una "specie protetta", né erano oggetto di specifici tabù religiosi, ma il comportamento sprezzante del console fu comunque un errore imperdonabile perché fornì agli equipaggi la sensazione di affrontare il combattimento in un contesto nefasto e, pertanto, di andare incontro ad una inevitabile sciagura. Cosa che si verificò puntualmente. La superbia e l'impulsività erano sempre stati i difetti congeniti della gens Claudia, ma in nessun'altra occasione avevano provocato delle conseguenze di tale gravità.
Affogato il pollame, l'arroganza del console si era ben presto tramutata in viva preoccupazione e poi nel disperato tentativo di salvare il salvabile, perché la contromossa dei Cartaginesi, usciti dall'opposta imboccatura del porto mentre le navi romane ancora stavano entrando, aveva scompaginato a tal punto la flotta del console da far subire ai Romani la prima ed unica grande sconfitta navale della loro storia. Il console riuscì a portare in salvo solo una trentina delle sue navi - con un temerario stratagemma che ingannò il nemico - mentre le rimanenti caddero in mano punica.
E siccome le disgrazie non vengono mai sole, l'esiziale psicosi dei perdenti si impadronì anche della seconda flotta, comandata dall'altro console, Lucio Giunio Pullo. Costui, per sottrarsi all'ingaggio del nemico affrontò nel modo peggiore la burrasca, venendo quindi sconfitto da questa anziché da quello. ( DIOD. 24, 1: Raggiunse Lilibeo con due sole quinqueremi, mentre tutte le altre navi affondarono o divennero inservibili per i danni subiti.)
In tal modo i Romani, nell'arco di una sola estate, persero entrambe le flotte di cui disponevano: in totale un migliaio di navi, da guerra ed onerarie. (Cic. nat. deor. 2, 7: Pulcro fu condannato dal popolo, Pullo si suicidò).
Tratto da:
Corsari romani di
DOMENICO CARRO
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