Da giù il panorama è da incanto, con la nebbia che avvolge la montagna di Erice regalando al tramonto sfumature meravigliose. Uno scenario ancora molto più suggestivo dalle saline di Trapani, dove i colori all’imbrunire ed i riflessi tra canali e vasche regalano paesaggi davvero unici. Praticamente trecentosessantacinque giorni l’anno. Anche durante l’inverno. Lo spettacolo è assicurato! Con quelle montagnette di sale e gli antichi mulini che fanno da contorno. I fenicotteri e tutti gli altri uccelli che vivono in questo angolo di paradiso ad un tiro di schioppo dalla città: un luogo che pulsa di trapanesità, avvolto nei silenzi ed in un’atmosfera di quiete e pace. Con il solo sottofondo dei gabbiani che fanno da spola con il vicino mare. Che emozione passeggiare da queste parti. E sullo sfondo c’è sempre “lui”, il Monte, così imponente e maestoso, che tutto osserva e domina. Con quella sua “nuvoletta” che sembra quasi volere nascondere chissà quanti e quali segreti, così gelosamente custoditi nei silenzi di questa montagna bellissima, autenticamente tra cielo e mare.
La nebbia che avvolge Monte Erice da queste parti viene chiamata “cappello” o, più romanticamente, come preferiscono gli ericini, “l’abbraccio di Venere”, a ricordo di quella che per secoli fu la montagna della dea dell’amore e della fecondità, identificata, in base alle epoche ed ai popoli che nei millenni si sono susseguiti nell’acrocoro dove sorgeva il tempio, con vari nomi: Ibla per i Sicani, Pothia con gli elimi. Ed ancora Toruc quando arrivarono i fenici e successivamente Astarte con i cartaginesi. Infine Venere sotto la dominazione romana.
Tanti nomi per quell’immagine femminile simbolo della grande bellezza che non ha mai lasciato questa montagna. E quando ad Erice arriva la nebbia fa un certo effetto pensare a quel banco di umidità come la dea Venere che torna nella sua montagna. Nebbia che sale dal mare, quasi a volere dare ristoro e protezione a questi luoghi che pulsano ovunque di sacralità. Tra l’altro la leggenda vuole che Afrodite, chiamata così dai greci, sia nata proprio dalla schiuma bianca delle onde. Una dea venuta fuori da una conchiglia, venerata per millenni in una montagna che guarda verso il mare e che dalla rocca dove oggi sorge il castello normanno dava protezione ed indicava la giusta rotta ai marinai. Oggi dell’antico tempio della dea non resta più nulla, se non l'area dove sorgeva, anche se non c’è nemmeno certezza sull’esatto punto in cui si trovava l’altare. Ci sono solo diverse ipotesi. E’ invece arrivato ai giorni nostri il “pozzo di Venere“, dove secondo la leggenda la dea faceva il bagno. Ci sono poi le nove croci incastonate sul lato Sud del muro della chiesa madre di Erice, che secondo la tradizione sarebbero state realizzate proprio con il materiale proveniente dal tempio man mano che veniva smantellato. I riti legati alla prostituzione sacra praticata dalle sacerdotesse di Venere, le ierodule, resistettero per diversi secoli anche dopo l’avvento del Cristianesimo, che, come ovvio, cercò in tutti i modi di estirpare le pratiche pagane. Fu attorno al sedicesimo secolo che ad Erice si affermò un nuovo culto, quello legato alla Madonna di Custonaci, oggi la patrona di tutto l’Agroericino. Ma il ricordo della dea è comunque sopravvissuto, anche se restano davvero pochi simboli, come la statua della fontana di Venere, nel cuore dei giardini del Balio. Ci sono poi le mura imponenti mura del Castello normanno, meglio noto come “Castello di Venere”. A memoria di quello che fu il sito che ospitò il tempio della dea dell’amore. E poi c’è la nebbia, “quell'abbraccio” di umidità, a volte fittissima, che arriva dal mare per avvolgere il borgo medievale. Regalando un senso di tranquillità impareggiabile. Unico al mondo. E con un po’ di immaginazione, a volte, in quel gioco di nuvole e nuvolette, tra le mille sagome che la fantasia suggerisce, si intravede anche una figura femminile dai contorni delicati e aggraziati…che fa salire strani brividi lungo la schiena!
Naturalmente una cosa è vederla da giù, una cosa è starci dentro, vivendola in tutto il suo fascino. La nebbia che avvolge la cima di Erice regala nel borgo medievale delle atmosfere magiche. A tratti proprio surreali. In alcuni punti si ha la sensazione di essere avvolti da un alone di mistero. Di ignoto. Spariscono i colori ed i panorami mozzafiato su Trapani, l’Agroericino e Cofano. Tutto diventa grigio. Forse anche un po’ malinconico. Ed i silenzi ancora più penetranti.
L’intero paese, con i suoi campanili, le chiese, le strade selciate e le case in pietra, sembra quasi voler svanire, in un mix di ombre e lineamenti molto suggestivo. Che richiama leggende e spettri del passato. Ogni angolo, qui, ha una storia da raccontare. Dove il “vedo e non vedo” riesce, incredibilmente, a rendere il tutto ancora più stupendo. Come per il Duomo, la splendida chiesa madre di Erice, ancora più affascinante con il suo tipico coronamento merlato e lo slancio verso l’alto del campanile che si perdono nella nebbia. Uno spettacolo ancora più unico di notte. Passeggiare in questo contesto regala delle sensazioni uniche.
Ed un giretto nei sentieri del bosco che costeggiano le millenarie mura elimo-puniche, dette anche ciclopiche, che da porta Trapani arrivano fino al Quartiere Spagnolo, può fare vivere le emozioni di un trekking davvero particolare, con il sottofondo del fruscio degli alberi e le prospettive ridotte che catapultano l’escursione verso una dimensione decisamente più interiore. Dove sembra quasi di entrare in empatia con la natura circostante, capace di accompagnare la mente in un cammino guidato dagli occhi del cuore.
Anche questo fa parte della magia di Erice! Un luogo incantato, dove il tempo sembra essersi fermato in chissà quale epoca: forse al tempo di dame e cavalieri o ancora prima ai fasti di Astarte o Venere che sia. Quando questa montagna era il simbolo della forza dell’amore. Di quel potere che alberga nell’immagine femminile e nell’idea della fecondità di madre natura che tutto può e avvolge. Un antichissimo richiamo che ancora oggi resiste nella bellezza di questi posti meravigliosi. Capaci di entrare dentro il cuore di ciascuno per non lasciarlo mai più. La forza dell’amore, per l’appunto. Che arriva con il primo abbraccio, al salir quella soffice nuvoletta. Che annuncia il ritorno della dea nella sua montagna.
Mario Torrente
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