19 dic 2016

Il percorso storico della comunità ericino-trapanese



La storia di Trapani ed Erice si intreccia continuamente nei secoli con un'alternarsi di unioni e di allontanamenti. A partire dalle origini della città falcata (Drepanon), che nasce proprio come approdo per la vetta consacrata a Venere (Eryx), ad opera degli stessi abitanti della città ericina, passando, come ci racconta lo storico Diodoro Siculo, per la successiva distruzione di Eryx - ad eccezione del tempio - da parte del generale cartaginese Amilcare e il conseguente trasferimento, in vista dello scontro con i romani, di tutti gli ericini all'interno della città fatta fortificare sul promontorio che si distende a forma di falce sul mare (Drepanon), ed ivi fece costruire la fortezza della Colombaia e il Castello di Terra.

Inizialmente, nei secoli successivi non vi fu un netto distacco tra le due città, ma le vicissitudini dovettero essere abbastanza comuni e complementari e i legami tra le due comunità abbastanza stretti, come si potrebbe evincere anche dal culto comune di San Giuliano Martire cartaginese e Sant'Alberto degli Abbate.

Come scrive Salvatore Corso , si trattava si di compagine economica, certamente complementare nelle sue parti, sebbene diversificata ma non fino al punto da distanziare le due città come avvenne gradatamente a partire dal viceregno spagnolo.

Invece un radicale mutamento del rapporto tra le due città si verificò quando l’ampliamento del territorio ericino, attribuito a Federico II, si consolidò al punto da raggiungere l’autonomia dalla città marinara, autonomia supportata con l’estensione dei privilegi di Trapani e perseguita sin dai primordi del viceregno spagnolo: si accentuò la vocazione agro-pastorale della città del Monte, che la configurò come “città dei burgisi ricchi”.

Da quel periodo le vicende delle due città seguirono destini diversi e a volte contrapposti, essendo Trapani proiettata verso il mare ed aperta alle nazioni ed ai traffici marittimi, mentre Erice rivolse ad est il suo sguardo all'interno dell'immenso territorio del suo entroterra agricolo, esprimendo a pieno la sua vocazione agricolo-pastorale.

A partire dalla fine del XVIII secolo, la storia di Trapani ed Erice comincia a riavvicinarsi con un graduale processo di compenetrazione delle due comunità.

Nel 1786 in Sicilia fu nominato vicerè Carlo d'Aquino, principe di Caramanico.
Il Caramanico avvio una politica economica e sociale mirata alla costituzione della piccola proprietà contadina con quotizzazione dei demani comunali. Così diede il compito di censire gli immensi possedimenti terrieri facenti capo alla manomorta demaniale ed ecclesiastica, affinché fossero poi divise in lotti da concedere in enfiteusi a borghesi e contadini.

Con la censuazione del patrimonio demaniale di Monte S. Giuliano (1790/91), si era proceduto ad assegnare a 306 famiglie di coloni, proprietari e allevatori di bestiame quasi cinque mila salme di terra misurate secondo la corda locale. Questo determinò l’emigrazione a valle delle famiglie contadine che, prima quasi tutte raccolte nel centro urbano sulla vetta, ora s’insediano nei nuovi borghi rurali, che poi daranno vita ai comuni di Valderice, Custonaci, San vito lo Capo e Buseto Palizzolo.
Il territorio della città di Monte San Giuliano comprendeva, infatti, fino alla prima metà del 1900, il vasto territorio che da monte Erice giunge a Castellammare del Golfo. Appartenevano al territorio ericino anche i feudi baronali di Scopello, Inici, Balata di Baida e Fraginesi che in seguito l'amministrazione borbonica aggregherà al territorio di Castellammare del golfo.

Come scrive il prof. Costanza, l’ insediamento dei coloni ericini a valle segna l’inizio della disaffezione degli emigrati riguardo ai miti della devozione municipale e determina la rivendicazione di una propria identità. Nello stesso tempo si attua il processo di una graduale compenetrazione fra la vicina Trapani e la campagna subericina, la quale manifesterà in seguito nelle sue classi rurali un atteggiamento di crescente contrapposizione etico sociale nei confronti del capoluogo amministrativo sulla vetta.

La nuova borghesia agraria, formatasi sull’acquisto delle terre demaniali e sulla rovina dei patrimoni baronali e della nobiltà minore, non può sottrarsi, per la sua stessa natura di classe aperta, agl’influssi del mercato fondiario e ai contatti esterni. È dunque nel generarsi del nuovo ordinamento fondiario, e nel dispiegarsi dei nuovi rapporti città/campagna, che si afferma una diversa articolazione delle forze sociali e degl’interessi municipali, mentre s’incrina il «valore» della reciproca estraneità che aveva caratterizzato nel corso dei secoli la vita delle comunità di Monte S. Giuliano e di Trapani.

Allo stesso modo, a Trapani, si manifesta sempre più (e ancor prima del 1860) la tendenza a uscire dalle mura segnate a levante della città dal bastione dell’Impossibile e dal Castello di terra, per raggiungere lungo la via consolare il santuario dell’Annunziata e insediarvi tutt’intorno un nuovo borgo, una colonia industre di attività manifatturiere e mercantili. 

Questa zona urbanizzata, posta alle falde del monte Erice, costituirà il punto di raccordo tra città e campagna, assumendo, dopo l’Unità, una funzione economica ben precisa coi suoi opifici e col suo moderno ceto d’imprenditori, mediatori e operai. 

Trapani, quindi, avrà una modificazione strutturale dell'economia, affiancando alla sua tradizionale vocazione marinara una proiezione rurale verso il suo entroterra agricolo, determinato da spinte di rinnovamento e crisi congiunturali e, infine, dal tracollo dell’impianto industriale e la perdita dei mercati marittimi.

Ai giorni nostri la situazione è sotto gli occhi di tutti: Trapani ed Erice sono due realtà che s’intersecano tra loro. Un unico territorio che, seguendo gli sviluppi storici, vide il Comune di Erice accogliere l'espansione urbanistica della città di Trapani. Poche città al mondo si trovano nelle stesse condizioni di Trapani ed Erice, dove ad un certo punto una linea immaginaria segna il passaggio da una "città" all'altra, con un marciapiedi che appartiene ad una e quello opposto all'altra città. Trapani nel secolo scorso, vista la conformazione del suo territorio, si è dovuta necessariamente estendere proprio verso le pendici del monte Erice. Così si cominciarono a costruire, il nuovo ospedale, lo stadio, la cittadella della salute (ex ospedale psichiatrico), il quartiere San Giuliano e via via tutti gli edifici residenziali. 

In tal modo, Erice che, come scrive Fabrizio Fonte nel suo saggio "La Grande Erice", dopo l'emancipazione delle frazioni dell'agro ericino negli anni 48-55, era rimasta con una popolazione di poche migliaia di abitanti, oggi paradossalmente conta, come agli inizi del ‘900, circa 29.000 abitanti, ma stavolta quasi tutti residenti (circa il 90 %) sul versante trapanese (e di fatto trapanesi), mentre allora, invece, si distribuivano tra la vetta e le borgate dell’agro.

L’esplosione demografica, avvenuta negli anni ’60-’70 del Novecento, della città di Trapani ha prodotto, anche a seguito dello spopolamento del centro storico, uno sviluppo urbano, pressoché obbligato, verso le pendici dell’antico Monte San Giuliano creando la popolosa zona di Casa Santa.

Questo se da un lato ha portato ad una battuta d'arresto della crescita demografica del comune capoluogo, ha determinato per converso la formazione di una nuova comunità, quella ericino-trapanese. Che a ben vedere, in un attenta e completa lettura della storia, altro non è che un ritorno alle antiche origini comuni.

Privilegi e consuetudini di Trapani


Con diploma del 1314 Federico D'Aragona concede a Trapani i privilegi già goduti da Messina e Siracusa e nel 1331 l’uso delle consuetudini di Messina.

Come scrive Annamaria Precopi Lombardo:

L’evento del Vespro e i successivi regni di Pietro, Giacomo e Federico sono fondamentali per la storia di Trapani e dei suoi abitanti. Infatti, come afferma C. Trasselli, la crisi di Messina determina lo spostamento dell’asse economico. Il porto di Trapani, già potenziato da Carlo d’Angiò per la necessità della sua politica mediterranea, assume un ruolo fondamentale nel quadro della politica economica catalano-aragonese e incrementa i propri contatti con l’Africa settentrionale. La popolazione aumenta, anche grazie alle immigrazioni di siciliani e mercanti stranieri, e la terra di Trapani pulsa di nuova vita. La riforma urbanistica di Giacomo, con la creazione del quartiere Palazzo, ha dilatato gli spazi e consentito lo sviluppo delle arti e dei mestieri. 

Questo risveglio della vita economica e sociale e l’importanza strategica del porto, nella guerra del Vespro, vengono consacrati e altresi potenziati dalle concessioni di Federico III del 1314, con il godimento dei privilegi della città di Messina e Siracusa, e del 1331 con l’uso delle consuetudini di Messina.

Il Regesto Poligrafo, custodito presso la Biblioteca Fardelliana, il Rollo dei privilegi e delle consuetudini presso il Museo Pepoli, insieme alle raccolte dei privilegi dei pescatori, sono i testi fondamentali da cui si rileva la benevola attenzione dei sovrani nei riguardi di Messina prima e dei trapanesi poi, per quanto attiene all’economia e alla vita associativa.

La concessione dei privilegi e delle consuetudini dei messinesi pone Trapani nella posizione di erede dei provvedimenti che i sovrani precedenti avevano concesso ai messinesi in una situazione storica diversa; la terra di Trapani si trova, con il provvedimento di Federico III, ad utilizzare strumenti legislativi che la pongono in una posizione di grande vantaggio rispetto ad altre città dell’Isola, primo fra tutti il controverso privilegio del re Ruggero che nel 1129 avrebbe istituito il Consolato del Mare.

Il Consolato del mare era stato concesso ai messinesi, come ha dimostrato C. Trasselli, anteriormente al 1315 e veniva concessa la facoltà di eleggere un proprio console nelle terre in cui si trovano in numero superiore a tre, ai trapanesi viene consentita, anche l’autorità di inviare un proprio rappresentante a Tunisi. I Consoli del mare di Trapani sono gli antenati eletti dei consoli dei secoli successi che saranno gli amministratori eletti delle categorie artigiane.

I mercanti e i marinai trapanesi, dopo il provvedimento di Federico III, ebbero cosi la possibilità di eleggere i propri consoli che li rappresentavano e li difendevano, che curavano i loro interessi in caso di naufragio, insolvenza, vendita di naviglio, riscossione delle paghe. I consoli devono sorvegliare il corretto svolgimento delle attività e dirimere ogni questione civile inerente alla categoria. Essi provvedono alla processione del cero nel giorno dell’Assunta.

Nel trecento sono solo i marinai e i mercanti e le categorie che ad essi si riferiscono, pescatori, sarti, panneri, bottegai che possono, avvalersi di una magistratura elettiva, ma ormai è aperta la strada alle rappresentanze consolari e sarà proprio la religione, con i santi patroni e la processione del cero, che darà individualità alle varie categorie.

Il Parlamento siciliano per ragioni politiche tenta di bloccare il proliferarsi dei consolati e proibisce la nomina dei Consoli. Nel 1457 viene nuovamente riconosciuta alle maestranze la facoltà di eleggere Consoli; nel 1499 Ferdinando il Cattolico ristabilisce e autorizza a Trapani la processione dei ceri; nel 1523 Giovanna e Carlo stabiliscono che si conservi la tradizione della processione del cero; le arti che vi devono partecipare sono i mercanti, i marinai, i pescatori, gli speziali, gli argentieri, i sarti, i muratori, i barbieri, i carpentieri, i pianellari, i bottai, i ferrari, i tavernieri,gli ortolani e i bottegai.

Nel XVI secolo dopo i provvedimenti di ripristino dei consolati i popolani entrarono a far parte insieme ai burgesi e ai nobili dei pubblici Consigli Cittadini, anche se non accedevano al reale governo della città, detenuto saldamente dai giurati di origine nobiliare, tuttavia svolgevano una forma di consulenza e di controllo sulle pubbliche necessità.

Questo il testo del diploma di Federico (1314) con il quale si concede a Trapani l'uso dei privilegi già concessi a Messina e Siracusa, contenuto nel Regesto Poligrafo della Biblioteca Fardelliana di Trapani. : 

Fridericius Dei gratia Rex Sicilie. Regalibus actendit titulis ad augumentum et principalis honoris decus et gloria rutilat cum fidelium suorum merita, quos grata fidelitatis obsequia condignos approbat et ostendit, beneficiis, libertatibus et gratiis liberaliter recompensat. Per presens itaque privilegium notum fieri volumus universis tam presentibus quam futuris quod nos diligentius actendentes labores innumeros, vigilias multas et sollicitudines euriosas, quas Trapanenses fideles nostri, dum hostes nostri terram nostrana Trapani tenerent obsessam, in custodiendo, defendendo et conservando cum fidelitate nostri domimi, promptis voluntatibus subiecerunt, fidei nostre observantiam quibuslibet dannis et duris accidentibus preponentes , ut fidei virtus et devotionis zelus, que in eisdem viguisse noscuntur, non essent a premio sequestrate. Universis burgensibus habitatoribus in dieta terra Trapani et eorum heredibus in perpetuum de liberalitate mera, et speciali gratia et ex certa nostra scientia concessimus et concedimus, quod ipsi Ubertatibus, immunitatibus et gratiis, quibus Messanenses cives Messane et Syracusani cives Syracusie utuntur et gaudent, uti valeant et gaudere , ac perpetuo gaudeant et utantur, fìdelitate nostra necnon Constitucionibus serenissimi domini lacobi Aragonum et olim Sicilie regis illustris et reverendi et chiarissimi fratris nostri, dum regno Sicilie prefuit editis, atque nostre Curie et cuiuslibet alterius juribus semper salvis. Universis officialibus curie nostre et personis aliis fidelibus nostris presentis privilegii tenore mandantes, ut nullus cuiuscumque gradus seu conditionis existat, Trapanenses predictos vel aliquos seu aliquem eorum super predictìs immunitatibus, libertatibus et gratiis contra huiusmodi privilegii formam inquietare vel molestare presumat. In cuius rei testimonium, certitudinem et cautelam presens privilegium sibi exinde fieri et sigillo nostro pendenti jussimus communiri. Datum in urbe felici Panormi per nobilem Fridericum de Incisa militem regni Sicilie cancellarium, anno Dominice Incamationia M°CCC°XIIUJ° mense februarii, XXJ° eiusdem, XIIJ° Indictionis.

Alcuni privilegi e capitoli di Consuetudini di Trapani furono estesi pure ai cittadini di Monte San Giuliano.

Vito La Mantia (Cerda, 6 novembre 1822 – Palermo, 16 giugno 1904) , giurista e storico italiano, nel suo scritto del 1897 "Consuetudini di Trapani nelle quali è contenuto il testo antico delle consuetudini di Messina" scrive:

Il Regesto Poligrafo, è una delle migliori raccolte di leggi patrie e documenti di vario genere, che in quell'età si fossero formate nei Bolli e Regesti delle principali città di Sicilia. E notevole che per buona ventura nel Regesto Poligrafo si sono conservate le copie più antiche del testo delle Consuetudini ed Osservanze, e di molti importanti privilegi e documenti inediti , mentre nella città di Messina si perdettero gli originali e le copie di molti capitoli e documenti, che la città di Trapani ebbe cura in quei tempi di raccogliere in copie esatte e conservarle nei Rolli e Regesti, importanti per la storia e la giurisprudenza.

Tra i tanti privilegi della città Trapani l'autore menziona: 
Il capitolo del re Martino del 1392 sul diritto dei Trapanesi di esercitare la promitisi (prelazione) nel territorio di Monte S.Giuliano:
De jure recuperationis super territorio Montis
Il capitolo del 1400 su la eguaglianza reciproca di diritti dei cittadini di Trapani e Cagliari.
Il privilegio di Federico (1331), che annuisce alla petizione di Trapani si per la conferma dei privilegi già concessi (1314), e si per l'uso delle Consuetudini di Messina.
Il re Ludovico (1342) faceva la conferma generale d' immunità , privilegi e onsuetudini concesse anco dai re Federico e Pietro 
A fol. 325 è un privilegio di re Pietro per diritti concessi agli esteri 
che con famiglia venivano ad abitare in Trapani e vi dimoravano oltre V anno. 
Simile concessione speciale era fatta a quei del Monte S. Giuliano dopo la dimora di un anno in Trapani. 

Altro importante documento è il Libro Rosso dei privilegi e delle consuetudini presso il Museo Pepoli (1601). É un volume in foglio rilegato in pelle rossa con lo stemma borbonico impresso ai lati. Nel dorso ha titolo: Rollus Privilegiorum civitatis Drepani.

Nel primo foglio è il titolo: Rollus Consuetudinum, observantiarum, privilegiorum, litterarum regiarum, viceregiarum, ordinationum omniumque stabilementorum Invictissimae Civitatis Drepani .

In tale foglio è la figura della Madonna di Trapani e ai suoi lati sono S. Alberto e S. Ivone, e sotto è scritto «S. Albertus», e «S. Ivus V. I. D.», e sotto la figura della Madonna: « Sub tuum presidium ». Nella parte inferiore sono tre stemmi, due della città, ed uno reale. 

In esso è contenuto anche il privilegio concesso a Trapani da Carlo V nel 1535.

É premessa al testo dei capìtoli questa notizia: 

Nota come nel mese di settembre anno 1535 la Maestà di Carlo Quinto imperatore e re di Spagna venne in questa città di Trapani con una potente armata e grosso esercito per passare nelle parti di Barbarla, et vi stette continui quattro giorni, e nello intrare che fece li Jurati di quel tempo fecero che nella Chiesa di Santo Agostino di questa città, giurasse di osservare non solamente li privilegi che tiene detta città, ma tutto il regno, et di questo ne nasce che nel sigillo di detta città si legge : Ubi Caesar primum iuravit.

Segue il testo...
Capitula immunitates et gratiae civitatis Drepani sibi concessa per Maiestatem Caesaream Caroli Quinti imperatoris in hoc regno et in civitate praedicta advenientis. 

Capitoli, Privilegi, gratii et immunitati, li quali humiliter et gratiose 
a vostra Maestà Cesarea ce adimanda la fidele vestra città di Trapani. 

In primis che vestra Cesarea Maestà se degni confirmare, aceptare et de novo concedere tutte quelle gratie, privilegi, immunitati, capituli, instituti, Consuetudini et observantie concessi, ordinate et confirmate per li recolende memorie delli retro Principi di vostra Catholica Cesarea Maestà, sicut continentur in Rollo Universitatis, si como promisi et jurao vestra Catholica Cesarea Maestà confirmare con tutta l'autorità che teni, in la felici et prospera venuta di vestra Catholica Cesarea Maestà in detta città in la ecclesia di Santo Agostino, non obstante fossero in alcuna parte interrotte — Plaze a Su Magestad comò stan en possession. 

Per il testo completo continua: 

Questo privilegio è dato da Palermo a 6 ottobre 1535. L' Imperatore avea giurato in Trapani nella Chiesa di S. Agostino di confermare i privilegi e Consuetudini della città, e si trova in quella chiesa nel lato sinistro entrando dalla porta maggiore questa iscrizione, che è giusto riferire. 

a Deo Optimo Maximo 

« Divoque Augustine sacra illustrissimi Senatus Drepanitani pervetusta Domus, ubi Concilia Malora Cogit. Disputationis examine medicos approbat, auditque Senatus idem Quadragesimae Conciones, ac ubi Tunete expugnata Siciliam adveniens, maximus Caesarum, Carolus Quintus anathema victoriae Purpuram appendi t, primumque iuravit Verbi Hominis Anno MDXXXV».

Carlo V si riserbò di sottoscrivere il privilegio in Palermo, come appare dal testo sopra inserito.

Il Conte Agostino Sieri Pepoli e la Torretta Pepoli ad Erice


Agostino Pepoli nacque a Trapani 5 agosto 1848 da una nobile famiglia trapanese di lontane origini bolognesi. Conte, barone di Culcasi, fu storico, archeologo, musicista, scultore, architetto, restauratore ed anche compositore, ma soprattutto un appassionato ed inquieto collezionista e mecenate. Si deve a lui, alla sua volontà, alle sue capacità organizzative e al suo mecenatismo, la nascita del Museo “ Conte A. Pepoli” a Trapani.

A tal fine, il conte propose in dono al Comune, della sua città natia, le collezioni in suo possesso, con la condizione di poterle collocare in un museo prestigioso che potesse essere al servizio dei cittadini trapanesi. Ottenne che con Regio Decreto del 1° ottobre 1909 si istituisse, quale Ente Morale, il Museo Civico “Pepoli” in Trapani. Morì il 23 marzo 1910 dopo aver realizzato il tanto desiderato museo con sede nei locali dell’ex convento dei Padri Carmelitani.

Come scrive Valeria Patrizia Li Vigni Tusa, «Agostino Pepoli sin da bambino mostrò uno spirito libero e, pur avendo deciso di intraprendere gli studi di economia politica, non arrivò a laurearsi, e poté quindi dedicarsi con maggior tenacia alla sua passione per i viaggi durante i quali acquistava oggetti di pregio. Nel 1871 chiese al sindaco di Erice, in affidamento, le torri del castello, che si impegnò a restaurare preoccupandosi della costruzione della strada a servizio delle stesse. Acquistò dai privati i terreni sottostanti il Balio, dove fece costruire la Torretta Pepoli, oggi di proprietà comunale e oggetto di restauro da parte della Soprintendenza di Trapani.

Nella sua Torretta Pepoli si rifugiava in estate, ricevendo i suoi amici letterati ed artisti - tra cui il letterato Ugo Antonio Amico, l'artista Alberto Favara, l'archeologo Antonio Salinas , il ministro Nunzio Nasi - e lavorando al progetto del suo museo, che rappresentò l’obiettivo primario della sua vita, e per il quale raccoglieva le testimonianze più significative del territorio trapanese, regionale, nazionale ed europeo. Era un uomo di gran cuore, sempre pronto ad alleviare i problemi del prossimo. Ricercò con passione le origini della sua famiglia e amava riprodurre il blasone del suo casato sia nelle pareti della Torretta che nel chiostro e nelle sale del museo. Amava profondamente la musica, tanto da aiutare il giovane musicista Antonio Scontrino, e da scrivere e musicare l’opera lirica Mercedes».

La torretta, articolata su 4 livelli, è realizzata in stile liberty. Al suo interno verrà allestito un museo multimediale, dove sarà possibile rivivere attraverso la voce del Conte Pepoli la storia, il mito, la cultura e la tradizione dei personaggi che hanno lasciato un impronta significativa nella città di Erice.

Invictissimae atque Fidelissimae urbis Drepani


Stemma della città di Trapani del 1818

Non essendo mai stata espugnata, nel 1478, Ferdinando il Cattolico concesse alla città il titolo di INVITTISSIMA per via « delle gloriose resistenze fatte sempre ai nemici del regno», e da allora non vi fu nessun atto ufficiale del Senato cittadino, lapide o atto notarile che non riportasse questo regio apprezzamento. Le lettere D.U.I.( Drepanum Urbs Invictissima), insieme alla falce e alle cinque torri sormontate da una corona, formerà anche il marchio degli argentieri trapanesi dal 1612 ai primi decenni del XIX secolo.

Il Titolo fu riconfermato dall'imperatore Carlo V, uno dei più grandi sovrani della storia moderna. Il suo impero era così vasto che si racconta si dicesse che su di esso non tramontasse mai il sole. Benigno da Santa Caterina così testualmente riferisce : 

Carlo V Imperadore nell’anno 1535, essendo sbarcato in Trapani, si conferì nel Tempio di S. Agostino, ed ivi giurò prima di tutte le città del Regno, di osservare i Privileggi di anzidetta Città, accordatigli da’ suoi Predecessori Sovrani. Quindi il Senato nel suo Sigillo intorno alle Armi di Trapani aggiunse le seguenti parole: Drepanum Civitas Invictissima, in qua Caesar primum iuravit”. 

Il 20 agosto 1535 l’imperatore Carlo V d’Asburgo, dopo aver espugnato Tunisi, che era stata conquistata dagli ottomani, sbarcò a Trapani, con i 20.000 schiavi cristiani liberati in Tunisia e qui si trattenne fino al 25 agosto risolvendo problemi cruciali per le finanze locali , con provvedimenti che andavano dal risarcimento dei danni subiti durante l’impresa alla riconferma della concessione delle franchigie relative ai diritti di dogana per mare e terra. 

Nella Chiesa di Sant’ Agostino, che ricordiamo essere stata dei cavalieri templari sin dal 1140, e che nel frattempo era diventata sempre piú importante, grazie anche alla vicinanza del palazzo del Senato cittadino, in pratica era diventata il Duomo nella cittá, l'Imperatore appese il suo drappo rosso, come ex-voto, e giuró: “Drepanum civitas invictissima in qua Caesar primum juravit” di confermare i privilegi giá concessi a Trapani da Alfonso il Magnanimo e Ferdinando il Cattolico "sicut et quemadmodum nunc gaudet civitas Messinae".  In questa occasione egli definí la cittá Chiave del Regno, e sul suo regno, ricordiamolo, non tramonava mai il sole.

Successivamente, nel 1640, venne invece attribuito da Filippo IV il titolo di Fedelissima.