La storia di Trapani ed Erice si intreccia continuamente nei secoli con un'alternarsi di unioni e di allontanamenti. A partire dalle origini della città falcata (Drepanon), che nasce proprio come approdo per la vetta consacrata a Venere (Eryx), ad opera degli stessi abitanti della città ericina, passando, come ci racconta lo storico Diodoro Siculo, per la successiva distruzione di Eryx - ad eccezione del tempio - da parte del generale cartaginese Amilcare e il conseguente trasferimento, in vista dello scontro con i romani, di tutti gli ericini all'interno della città fatta fortificare sul promontorio che si distende a forma di falce sul mare (Drepanon), ed ivi fece costruire la fortezza della Colombaia e il Castello di Terra.
Inizialmente, nei secoli successivi non vi fu un netto distacco tra le due città, ma le vicissitudini dovettero essere abbastanza comuni e complementari e i legami tra le due comunità abbastanza stretti, come si potrebbe evincere anche dal culto comune di San Giuliano Martire cartaginese e Sant'Alberto degli Abbate.
Come scrive Salvatore Corso , si trattava si di compagine economica, certamente complementare nelle sue parti, sebbene diversificata ma non fino al punto da distanziare le due città come avvenne gradatamente a partire dal viceregno spagnolo.
Invece un radicale mutamento del rapporto tra le due città si verificò quando l’ampliamento del territorio ericino, attribuito a Federico II, si consolidò al punto da raggiungere l’autonomia dalla città marinara, autonomia supportata con l’estensione dei privilegi di Trapani e perseguita sin dai primordi del viceregno spagnolo: si accentuò la vocazione agro-pastorale della città del Monte, che la configurò come “città dei burgisi ricchi”.
Da quel periodo le vicende delle due città seguirono destini diversi e a volte contrapposti, essendo Trapani proiettata verso il mare ed aperta alle nazioni ed ai traffici marittimi, mentre Erice rivolse ad est il suo sguardo all'interno dell'immenso territorio del suo entroterra agricolo, esprimendo a pieno la sua vocazione agricolo-pastorale.
A partire dalla fine del XVIII secolo, la storia di Trapani ed Erice comincia a riavvicinarsi con un graduale processo di compenetrazione delle due comunità.
Nel 1786 in Sicilia fu nominato vicerè Carlo d'Aquino, principe di Caramanico.
Il Caramanico avvio una politica economica e sociale mirata alla costituzione della piccola proprietà contadina con quotizzazione dei demani comunali. Così diede il compito di censire gli immensi possedimenti terrieri facenti capo alla manomorta demaniale ed ecclesiastica, affinché fossero poi divise in lotti da concedere in enfiteusi a borghesi e contadini.
Con la censuazione del patrimonio demaniale di Monte S. Giuliano (1790/91), si era proceduto ad assegnare a 306 famiglie di coloni, proprietari e allevatori di bestiame quasi cinque mila salme di terra misurate secondo la corda locale. Questo determinò l’emigrazione a valle delle famiglie contadine che, prima quasi tutte raccolte nel centro urbano sulla vetta, ora s’insediano nei nuovi borghi rurali, che poi daranno vita ai comuni di Valderice, Custonaci, San vito lo Capo e Buseto Palizzolo.
Il territorio della città di Monte San Giuliano comprendeva, infatti, fino alla prima metà del 1900, il vasto territorio che da monte Erice giunge a Castellammare del Golfo. Appartenevano al territorio ericino anche i feudi baronali di Scopello, Inici, Balata di Baida e Fraginesi che in seguito l'amministrazione borbonica aggregherà al territorio di Castellammare del golfo.
Come scrive il prof. Costanza, l’ insediamento dei coloni ericini a valle segna l’inizio della disaffezione degli emigrati riguardo ai miti della devozione municipale e determina la rivendicazione di una propria identità. Nello stesso tempo si attua il processo di una graduale compenetrazione fra la vicina Trapani e la campagna subericina, la quale manifesterà in seguito nelle sue classi rurali un atteggiamento di crescente contrapposizione etico sociale nei confronti del capoluogo amministrativo sulla vetta.
La nuova borghesia agraria, formatasi sull’acquisto delle terre demaniali e sulla rovina dei patrimoni baronali e della nobiltà minore, non può sottrarsi, per la sua stessa natura di classe aperta, agl’influssi del mercato fondiario e ai contatti esterni. È dunque nel generarsi del nuovo ordinamento fondiario, e nel dispiegarsi dei nuovi rapporti città/campagna, che si afferma una diversa articolazione delle forze sociali e degl’interessi municipali, mentre s’incrina il «valore» della reciproca estraneità che aveva caratterizzato nel corso dei secoli la vita delle comunità di Monte S. Giuliano e di Trapani.
Allo stesso modo, a Trapani, si manifesta sempre più (e ancor prima del 1860) la tendenza a uscire dalle mura segnate a levante della città dal bastione dell’Impossibile e dal Castello di terra, per raggiungere lungo la via consolare il santuario dell’Annunziata e insediarvi tutt’intorno un nuovo borgo, una colonia industre di attività manifatturiere e mercantili.
Questa zona urbanizzata, posta alle falde del monte Erice, costituirà il punto di raccordo tra città e campagna, assumendo, dopo l’Unità, una funzione economica ben precisa coi suoi opifici e col suo moderno ceto d’imprenditori, mediatori e operai.
Trapani, quindi, avrà una modificazione strutturale dell'economia, affiancando alla sua tradizionale vocazione marinara una proiezione rurale verso il suo entroterra agricolo, determinato da spinte di rinnovamento e crisi congiunturali e, infine, dal tracollo dell’impianto industriale e la perdita dei mercati marittimi.
Ai giorni nostri la situazione è sotto gli occhi di tutti: Trapani ed Erice sono due realtà che s’intersecano tra loro. Un unico territorio che, seguendo gli sviluppi storici, vide il Comune di Erice accogliere l'espansione urbanistica della città di Trapani. Poche città al mondo si trovano nelle stesse condizioni di Trapani ed Erice, dove ad un certo punto una linea immaginaria segna il passaggio da una "città" all'altra, con un marciapiedi che appartiene ad una e quello opposto all'altra città. Trapani nel secolo scorso, vista la conformazione del suo territorio, si è dovuta necessariamente estendere proprio verso le pendici del monte Erice. Così si cominciarono a costruire, il nuovo ospedale, lo stadio, la cittadella della salute (ex ospedale psichiatrico), il quartiere San Giuliano e via via tutti gli edifici residenziali.
In tal modo, Erice che, come scrive Fabrizio Fonte nel suo saggio "La Grande Erice", dopo l'emancipazione delle frazioni dell'agro ericino negli anni 48-55, era rimasta con una popolazione di poche migliaia di abitanti, oggi paradossalmente conta, come agli inizi del ‘900, circa 29.000 abitanti, ma stavolta quasi tutti residenti (circa il 90 %) sul versante trapanese (e di fatto trapanesi), mentre allora, invece, si distribuivano tra la vetta e le borgate dell’agro.
L’esplosione demografica, avvenuta negli anni ’60-’70 del Novecento, della città di Trapani ha prodotto, anche a seguito dello spopolamento del centro storico, uno sviluppo urbano, pressoché obbligato, verso le pendici dell’antico Monte San Giuliano creando la popolosa zona di Casa Santa.
Questo se da un lato ha portato ad una battuta d'arresto della crescita demografica del comune capoluogo, ha determinato per converso la formazione di una nuova comunità, quella ericino-trapanese. Che a ben vedere, in un attenta e completa lettura della storia, altro non è che un ritorno alle antiche origini comuni.